Principalmente giochi di ruolo, ma anche modellismo. Riflessioni e poesie, quando sono in vena. Quel che di volta in volta mi sento di condividere, insomma.
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giovedì 31 dicembre 2009
Nehtrmanus
Questa volta vi propongo di nuovo la rivisitazione di un mostro classico non convertito per ragioni di copyright. Si tratta di una reinterpretazione piuttosto libera, basata più sul concetto "uomo-serpente" che non sulla sua incarnazione in D&D.
Per il nome "nehtrmanus" ho affrontato una piccola ricerca filologica: si tratta di un nome derivato da due radici indoeuropee ricostruite, "nehtr" serpente e "manu" uomo.
Nehtrmanus
lunedì 28 dicembre 2009
Un nuovo inizio s'apre ai miei occhi
Risale a due settimane fa, ma ultimamente sono stato un po' troppo impegnato per scrivere qualcosa.
Un nuovo inizio s'apre ai miei occhi,
Una via nuova, ingombra di sciocchi
Che ignorano il gioco della vita
E la sua malizia infinita:
Ritengono, pensando a se stessi,
D'ottener chissà quali successi.
E non sanno che il mondo è intriso
Di altri sciocchi dal comico viso
Che avranno dall'egoismo spinto
Solo una tomba, di fiori un cinto,
Un mausoleo monumentale.
Come se un'urna non fosse uguale
Circondata da spoglie di guerra
O semplicemente sotto terra.
Lasciamoli, lasciamoli fare,
Ché sappiamo come andrà a parare:
Loro saranno ceneri morte,
Mentre la nostra memoria, forte,
Resterà in terra, lei, duratura,
Anche nell'ombra d'era futura.
Perché abbiamo fatto un dono a tutti
Gradito, di quelli mai distrutti,
Offerto a genti d'ogni nazione
Senza fare alcuna distinzione.
Tale è il potere della nostra arte,
Dono di cui tutti sono a parte.
Questo è il frutto della poesia,
E quanto ancora umile è la mia
Rispetto a ciò che voglio cantare.
Ma un giorno la farò migliorare.
giovedì 24 dicembre 2009
La Sfida del Presepe
E' un gioco in tema con la tematica natalizia e, soprattutto, un gioco poco serio: non vuole offendere nessuno, piuttosto far divertire tutti.
Godetevelo, è il mio regalo di natale. ^^
La Sfida Del Presepe
mercoledì 23 dicembre 2009
Fuori programma: aggiornamento
Ho modificato e integrato il lavoro per Pathfinder di giovedì scorso, spero che vi piaccia di più del precedente. ;)
Legge e Caos in Pathfinder 2.0
lunedì 21 dicembre 2009
Un lavoro di media lunghezza.
Non è lunga come altri componimenti che ho tirato fuori, ma è probabilmente il lavoro più lungo che abbia scritto con questo schema metrico.
No, non pensare che io sia immune
Alla pietà ed ai sentimenti,
O che il mio amore fosse quel comune
Bramare per due momenti
Di possedere la tua giovinezza,
Volerti avere, e nulla più:
Non ti amavo per la mera bellezza,
Il sogno, la musa, eri tu.
Mi levavo in alto lungo i pensieri,
Fino a perdermi in te, assai spesso;
Le parole, i modi, erano sinceri,
Ti avrei donato me stesso.
Ma tu mi hai rifiutato. Ora l'accetto.
Io, che ti avrei dato tutto,
Io, che amavo ogni tuo difetto,
Accetto di veder distrutto
Dal tuo calmo ma fermo rifiuto
Il bel sogno, il mio sperare.
Tu hai scelto, ed io rimango muto:
Al cuore si può comandare.
Ho messo a tacere l'amore. Molto
Ne soffro, certo, ma non quanto
Ho sofferto per il dono non colto,
Dolore che trascende il pianto.
No, non ho più lacrime da versarti.
E non ne verso più per me.
No, non sono certo giunto ad odiarti,
E non ho astio verso di te.
Non rinnego quello che per me è stato,
E la sofferenza non scordo.
Ma l'amore mio per te è andato;
Resta appena, lieve, un ricordo.
giovedì 17 dicembre 2009
Legge e Caos in Pathfinder
Stavolta, vi propongo quattro archetipi, volti a fornire alla Legge e al Caos le stesse "potenzialità regolistiche" che in Pathfinder hanno Bene e Male.
Legge e Caos in Pathfinder
lunedì 14 dicembre 2009
Di nuovo archeologia poetica
La seconda, invece, risale a qualche tempo fa, ed è un lavoro un po' più scherzoso.
Sto arrivando a capire molte cose,
Finalmente, e forse perfino
Ad accettarle. Colui che rispose
Con tanto astio al suo destino
Ormai se n'è andato: resto io solo,
Immerso fra i cocci dei miei
Sogni infranti, caduti dopo il volo
Che ci rese pari agli dei.
Ma nella rovina mi scopro privo
Di lacrime. A lungo ho pianto,
Sino quasi a non sentirmi più vivo,
Ed ho affidato spesso al canto
Questi pensieri, quasi che potessi
Così liberarmi di loro.
Solo accettando, vivendo con essi
Ho imparato ad aver ristoro.
Chi di giunger prima non vede l'ora
Va dritto in braccio alla Nera Signora.
Chi si consuma con fretta incalzante
Non si godrà mai il suo tempo restante.
Chi sostiene che il tempo sia denaro
Scoprirà che lo deve pagar caro:
Per ogni istante che avrà risparmiato
Un attimo di vita andrà sprecato.
Vivi con calma, se vuoi darmi ascolto:
Così nulla di tuo ti sarà tolto.
giovedì 10 dicembre 2009
Nephandum per Pathfinder
Eccovi la prima (e forse definitiva, chissà...) parte di questo mio lavoro.
Nephandum Per Pathfinder - Trasfigurati
lunedì 7 dicembre 2009
Nuova prova
La seconda, invece, è scritta col mio "classico" distico endecasillabo più enneasillabo.
Entrambe sono abbastanza attuali come ispirazione, ma hanno a che fare con sentimenti diversi.
Dovrei cantare lo sdegno e la vergogna
Di questi miei tempi oscuri,
Ma non ho forza per mettere alla gogna
Con modi forti e sicuri,
In modo che non si possan liberare
Mai, i nostri carcerieri
Menzogneri, maestri nell'ingannare,
Cuori cupi, animi neri.
Non ho forza: troppo grande è lo sfacelo,
La menzogna troppo oscena.
Ma avranno anche costoro, un dì, sotto il cielo,
La ben meritata pena.
E noi rideremo, fratelli, in quel giorno
Apertamente di loro:
Avranno una caduta senza ritorno,
Non avranno più ristoro.
Tempo d'attesa, d'esile speranza,
Di visioni quasi stentate
Che si affollano come in una danza,
Assieme a gioie inconfessate,
Lungo il fluire della mia mente
E poi affollano i pensieri.
Ed il mio sentire si fa assente,
Sperando che il sogno si avveri.
Ma poi mi riprendo, ma poi mi scuoto
Da questo sogno disperato,
Ripetendomi che esso è vano e vuoto.
Ma vorrei vederlo avverato.
giovedì 3 dicembre 2009
Filii Nephandi per Pathfinder
Anzi, se va tutto bene per le prossime settimane (sino a quella di natale) dovrei riuscire a rispettare il programma regolare.
Ultimamente Pathfinder mi sta prendendo sempre di più, e così ora vi propongo la versione semplificata (ma altrettanto interessante) di Filii Nephandi, il mio lavoro sui vampiri per D&D 3.5, riadattato al GdR della Paizo.
Ho optato per un approccio più leggero in termini di regole, evitando dove possibile doppioni e producendo un lavoro più leggero e utilizzabile senza sconvolgere le regole già esistenti.
Filii Nephandi Pathfinder
lunedì 30 novembre 2009
Dopo la tempesta
La tematica, in questo caso, è più leggera, surreale e "visionaria" rispetto a quella dell'altra poesia con cui condivide la forma.
Riguardo all'ispirazione, sono pesantemente debitore nei confronti di De André.
Negli alti cieli, dopo la tempesta,
Gli spiriti dell'aria ripuliscono
Le nubi, bagnate dopo la festa
Voluta da quanti ora ne gioiscono.
I santi stan facendo comunella
Per raccontarsi i segreti del cielo
Mentre i servitori, con la barella,
Portano via un corpo sotto il velo.
Ma poi, dopo la rappresentazione,
Shakespeare se ne scappa via veloce
Affinché nessuno nella nazione
Senza il gracchiare della sua voce.
E lo segue Amleto, in mano la spada,
Gridandogli: “Oh padre, dove mai corri?”
E poi, quando finiscono la strada,
Cadono in lacrime giù dalle torri.
Li raggiunge Plauto, sospeso in volo
Sulle sue grandi orecchie da mercante
Per riprendersi l'arte data a nolo
A quel drammaturgo così distante.
Se la ride Shakespeare del creditore;
Quindi Plauto, con cipiglio da mafioso,
Chiama Cesare, il grande vincitore,
Per punire il Bretone irrispettoso.
Amleto, proteggendo il creatore,
Cade morto, trafitto avvelenato
Mentre Shakespeare per il grande dolore
Esala l'anima tutta d'un fiato.
Tutto questo si guarda soddisfatto,
Ridendosela molto il bravo Alfieri,
Quand'ecco Napoleone d'un tratto
Gli rinfaccia gli insulti di ieri.
Il Francese lo assalta, valoroso,
Ma viene Foscolo, gli dà man forte,
E perciò Manzoni, mai a riposo,
Canterà del Corso una nuova morte.
Torna Cesare, da tutti omaggiato,
Imbrattato del sangue di Avoniano,
Ma non di Iago, Iago è risparmiato,
E già fa cenni a Bruto da lontano.
Pertanto quando passa l'arrotino
I congiurati affilano i pugnali
Per donar la corona al Valentino,
Per sostituire ai vecchi i nuovi mali.
E fanno omaggio, in processione, i papi
Ma guardan Virgilio con occhi tristi:
Rimproverano l'elogio delle api,
Piccoli animaletti comunisti.
Per cui Virgilio il suo parere muta.
“Nessuno”, dice, “insulta l'arte mia!”
E d'accompagnar Dante si rifiuta,
Lasciandolo perder lungo la via.
Torquemada lo vorrebbe bruciare,
Ma i letterati gli fan scudo attorno;
Il proposito deve abbandonare
Perché non è abbastanza grande il forno.
L'inquisitore arretra, intimidito,
Ed a Machiavelli viene un'idea:
Lo metton nel forno, tutto condito,
Recitando il “mors tua vita mea”.
Mentre Virgilio esalta i suoi seguaci,
Ringraziandoli perché l'han salvato,
Torquemada è quasi cotto alla brace
Con notevole sdegno del papato.
Leopardi poi serve la portata
Di cui tutti mangiano a sazietà:
Infine, l'Europa sì è vendicata
Di chi molto ha oppresso la libertà.
A tal vista scappan lesti i tiranni,
Ma scivolano nei fiumi di sangue
Che han fatto scorrere per molti anni,
E svengono tutti con l'aria esangue.
Restano per molto tempo svenuti:
Quando riapron gli occhi, in mezzo alle feste,
Scoprono, fra gli applausi ed i saluti,
Che di loro restan solo le teste.
Ed ognuno vuole dare un colpetto
Alle loro teste comiche e brutte;
Ma dopo che se ne è tratto diletto
Anche le teste vengono distrutte.
Quando la pioggia smette di lavare
Le coscienze e le menti dei presenti,
Gli invitati sono pronti ad andare
A portar questa gioia anche ai parenti.
E scendon dalle nubi salutando
Chi li ha fatti per un po' divertire
E diranno tutto ciò raccontando
Questa festa a chi non poté venire.
giovedì 26 novembre 2009
Altre poesie
Una, la più lunga, l'ho appena finita di scrivere, mentre la seconda in termini di dimensioni risale alla settimana scorsa ed assomiglia molto al componimento breve dello scorso aggiornamento (scritto infatti in contemporanea). Infine, la minipoesia non so neanche io quando l'ho scritta: mi sono limitato a ritrovarla in un quaderno.
Ho disegnato un cerchio dietro al cielo
Per celare lì il tuo nome,
E conoscere ristoro. Ma il velo
Delle nubi e del sole, come
Temevo, non splende certo abbastanza
Da farmi scordare il candore
Della tua anima, né la distanza
Può alleviare il mio dolore.
Ho disegnato un cerchio nella notte
Per bruciarvi il tuo ricordo.
Ma tu resti in tutte le mie rotte
La meta agognata, in accordo
Con i sogni e gli aneliti più lieti.
Pure, da quando ho osato dirti
Quel che per te sola provo, mi vieti
L'amore. Non posso obbedirti,
Anche se con molta gioia farei
Avverare quel che tu vuoi,
Perché nel cuore dei pensieri miei
Brillano sempre gli occhi tuoi.
Non la candida luna, non le stelle
Del volto, come diamanti i begli occhi,
Mi hanno vinto, ma le loro sorelle
Notturne. Pura, con le tue ombre tocchi
Il mio cuore, ormai vinto nel profondo
Dalla tua pudica ritrosia,
Che rende te sola, unica al mondo,
Sovrana amata dell'anima mia.
Attendiamo, sospesi lungo il giorno
Che esso si compia, o venga forse meno
La sua malinconia. Ma il ritorno
Non sarà piacevole, o meno alieno.
Qualcosa, ormai, si è perduto per sempre.
lunedì 23 novembre 2009
Dopo la pausa forzata, si ricomincia...
Ora come ora, sto avendo maggiori difficoltà a creare regole per i giochi di ruolo, ed è quindi probabile che anche gli aggiornamenti ludici si trasformino in aggiornamenti poetici.
Per ora, comunque, ecco un bel paio di poesie.
La prima è basata su una serie di fonti classiche (ma principalmente su Alceo), anche se lo stimolo per crearla è nato leggendo una breve poesia indiana.
La seconda invece è -molto banalmente- un sonetto autobiografico.
Infine, il terzo breve componimento è un po' la descrizione di quello che ho provato, per un attimo, mentre componevo un'altra poesia.
Dimmi, fratello, in cosa speri mai?
Perfino all'alba le giornate
Si fanno brevi per noi, tu lo sai,
E le ore spese sono andate.
Su, brindiamo assieme un'ultima volta;
Ora arriva la notte nera,
E presto la vita ci sarà tolta:
Sia l'ultima gioia sincera.
Sebbene sia successo molto in questi
Giorni, sebbene abbia risolto oscuri
Dubbi, ed alfine in alcuni contesti
Gli eventi prossimi siano sicuri;
Pure si fan sempre più manifesti
La mia tristezza e i dubbi futuri.
Temo i miei sentimenti: non onesti
Penso che siano, oppure non maturi?
Non ne ho ancora la certezza. Aspetto
Che sia il tempo, ora, a darmi risposta.
Non decido; sì, per questo difetto
Ho sofferto in passato. Ma lo accetto:
Il tempo è crudele, e so quanto costa
Trarne il caro, ricercato diletto.
Sublime nel profondo è questo istante.
Possa la sua memoria amata, pura,
Restare con me e mai abbandonarmi.
lunedì 9 novembre 2009
Due poesie
Il primo non ha un'occasione particolare, se non l'angoscia di aver lottato per qualcosa che ormai si è perso, angoscia molto viva in troppi momenti.
Il secondo, invece è una rivisitazione di un esempio di poesia indiana rivista anche in chiave autobiografica.
Ti ricordi ciò che ora è celato?
L'abbiamo cercato a lungo, in molti,
Quasi perdendo ogni nostra speranza;
Ma lo trovammo infine, fu trovato
Quando ormai era in dubbio la sua esistenza.
E fu lieto quel giorno, molto lieto.
Ma già si presagiva la sciagura,
Poiché un prezzo ben caro era richiesto;
E lo pagai fino all'ultima goccia
Della memoria, lo pagammo tutti.
Lo scordammo: conclusa è la ricerca,
Ma il suo bel frutto ci è stato sottratto.
Ogni speranza ormai è svanita.
Ti vedo; è passione che m'attanaglia
Nel contemplarti; e nasce subito,
Caldo, il desiderio. Ma poi lo tempra,
Rapida, l'anima, ed amore
Mi conquista, duraturo, baluardo
Contro l'ira, infida alleata
Per quanti intraprendono la via più dolce.
Ma segue l'ansia di vederti,
Di parlarti ancora, di rivelarti
Il mio sentire, dolce amata.
E da questo le pene, insopportabili
Pene, che sempre mi inquietano
Quando tu, mia diletta, dolce amore,
Anima bella, sei lontana.
giovedì 5 novembre 2009
Vigrahacora, mostro per Pathfinder
Comunque, mi sono più o meno ripreso.
E, per festeggiare, vi offro il mio primo lavoro per Pathfinder, il vigrahacora.
Il nome, sanscrito, significa "ladro di corpi", ed è una versione riveduta e personalizzata di uno dei mostri iconici di D&D non convertiti a Pathfinder.
Vigrahacora
martedì 27 ottobre 2009
Ritardi e scuse
A partire da lunedì prossimo, però, penso di poter riprendere il ritmo regolare.
martedì 20 ottobre 2009
Fuori programma: "e i figli di dio videro..."
Alla fine, ho abbandonato la tematica dei nephilim per concentrarmi di più sull'amore fra angelo e donna mortale e ridurre la lunghezza del componimento.
Comunque, anche così è venuto su un poemetto mica male in quanto a lunghezza. ^^
Spero che vi possa piacere. :)
Dal profondo dei cieli, oltre la luce
Vegliava sul mondo, spirito eletto.
Grande la potenza, volto mai truce,
Provava per gli uomini grande affetto.
Era un custode, angelico guardiano,
Forte e giusto, baluardo dei mortali.
Il mondo egli osservava da lontano
Lui solo, fra gli spazi siderali.
E vide un giorno il tuo volto, lo vide
Mentre alzato il capo tu sorridevi;
E come un naufrago fra le acque infide
Brama le spiagge, brama sabbie lievi
E nulla sente di desiderare
Più di quel dolce tocco sulla pelle,
Così l'angelo si scopre ad amare
Una giovane dalle chiome belle.
E allora egli lascia la sua alta sede,
Spinto da amore che forte richiama.
Nella discesa nient'altro egli vede
Se non quel bel volto che lui tanto ama.
Nella discesa la luce lo ammanta,
Mentre egli si veste di forma umana.
Nella discesa la sua anima canta,
Vibra nel cosmo melodia lontana.
Dopo eoni, gli pare, giunge alla terra,
Poiché lunghi gli istanti anche ai beati
Rende la passione quando li afferra;
Giunge alla terra sui suoi piedi alati.
Allora, beato, lui le si accosta;
Brillano gli occhi, e bello è il sembiante,
Ma la sua vera natura è nascosta,
La sua sede gloriosa ormai è distante.
E lei lo vede, bello più del sole,
Maestoso e dolce, simile e lontano.
La incuriosisce: sapere ella vuole
Chi è mai costui, uomo dal volto strano.
“Straniero, domanda, “chi mai voi siete?
Inusuale è il vostro aspetto, da re.”
L'angelo risponde parole liete
“Sono venuto”, risponde, “per te.
Da lontano ti ho ammirata, in passato,
Mentre osservavo, con te, il mondo intero.
Ti ho vista crescere e fiorire, grato,
Ma senza intendere il prodigio vero
Che ha fatto di te, bambina mortale,
Il fiore del mondo, dolce e perfetta,
Ragazza di cui non esiste eguale,
Ché in te nessuna virtù mai difetta.
Solo vedendoti matura e adulta,
Vedendo i tuoi capelli, come seta,
Il tuo volto su cui beltà esulta
Io ti ammirai, con l'anima inquieta;
Ti ammirai come per la prima volta
Sentivo amore sbocciare copioso,
E compresi che se tu mi fossi tolta
Ne soffrirei, sarei senza riposo.
Sì, per questo ho lasciato le mie sedi;
Poiché senza di te non io non son niente,
Son venuto qui da te, come vedi.”
“Dolce straniero, l'anima mia sente
Qualcosa, per voi. Ma troppo è il mistero,
Troppa la maestà: donde arrivate?
Siate voi con me, vi prego, sincero,
Se davvero così tanto mi amate.”
“Da lontano vengo, fanciulla pura,
Oltre le stelle ed oltre ogni ambizione
Dei mortali, da oltre la notte scura.
Non sono umano d'alcuna nazione,
Ma immortale d'alta stirpe divina;
Angeli, è così che voi ci chiamate,
E ci dite beati. Ma ferina
È la mia vita, e le giornate ingrate
Dacché ho fissato il tuo volto di luna,
E per amarti ai cieli ho rinunciato.
Senza di te non ho speranza alcuna,
Senza il tuo amore io sono condannato
Ad un orribile tormento eterno:
Tale sarebbe infatti la mia vita
Alla grande pena, all'oscuro inferno.
Amami, dama di grazia infinita,
Amami, bella fra le donne umane:
Io ti dono ora e per sempre il mio cuore,
Io che vivevo fra stelle lontane,
Io che fra gli angeli ero gran signore.”
“Colme di miele son le tue parole,
E risvegliano in me amore ancestrale,
Ma a sentirle il mio cuore pur si duole,
Perché una bella parola a che vale
Se non la sostiene la verità?
Provami, bell'angelo, quanto hai detto.
Se verace è il tuo amore il mio sarà
Tre volte più grande, mio bel diletto.
Ma provami, angelo, la tua natura.
Mostrami ora il tuo volto maestoso,
Sì che l'anima possa essere sicura
Nel concedersi a te, nel dar riposo
Al tuo grande tormento, amore mio,
Alla tua passione ora ricambiata.
Quale donna mai di un figlio di dio,
Non vorrebbe infatti essere l'amata?”
Lacrime rigano il bel volto angelico,
Ed egli sorride, piangendo forte:
“Non può esser mostrato, amore, l'eterico
Sembiante, esso darebbe fredda morte
A chiunque vi posasse mai il suo sguardo
Poiché grande, troppo grande splendore
Esso emana. Ed io con che riguardo
Potrei infligger tal pena a te, mio amore?”
“Pure è necessario, mio innamorato,”
Rispose lei, accostandosi lenta,
“Affinché il nostro amore sia temprato
Correre tal rischio.” E lo fissa attenta.
Allora egli si risolve a mostrarsi,
E un brivido scuote membra immortali
Mentre assume aspetto tal d'adorarsi.
Il volto è magnifico, senza eguali,
E risplende, la terra illuminando
Come oltre i grandi monti sorge il sole
Portando luce, il cuore riscaldando.
Egli si rivela, come ella vuole.
Lei trema a veder l'aspetto glorioso,
Ché non riconosce più in lui l'amato;
Fissare il volto è quasi doloroso,
Ma in esso brilla amore dichiarato
Per lei, e il suo grande angelico aspetto
Non le dona morte, ma gioia immensa,
Poiché sincero è stato il suo diletto.
Ed ora a nient'altro ormai ella pensa
Se non a lui, lui che attraverso i cieli
E' disceso da lei chiedendo amore,
Lui che per lei ha sollevato i veli
Della sua anima vera, gran fulgore,
Lui che, nume a vedersi, le sorride
E spalanca le braccia, gesto lieto,
Perché mai, mai così bella la vide.
Ed egli ignora, ignora il gran divieto
Che è dato ai potenti, agli angeli puri,
Di mostrarsi agli umani, star con loro.
Pena e distacco infatti son sicuri
Per quanti, col volto simile ad oro,
Si rivelano ai nati dalla terra
Trista stirpe, mai di certo invidiabile,
La piagan morte, fame, peste e guerra;
Eppure, più di ogni altra essa è amabile.
Ma di queste cose essi ora non hanno
Memoria, ed ignorano, innamorati
Che dal loro amore verrà gran danno,
Che il loro amore li ha già condannati.
Ignorano: non hanno occhi né mente
Per niente o nessuno, a parte l'amato.
Lei corre incontro; le labbra sue sente
Serrate alle proprie. Lei l'ha abbracciato
E lui l'accarezza, la stringe forte
Le mani fra i capelli, e lei fra i suoi.
“Mai ti lascerò”, egli dice, “alla morte”
“Per te,” ella dice, “sarò quel che vuoi.”
Ed ora si amano, si aman sinceri,
Ma già il cielo prepara la vendetta,
Per quanti sfidarono coi pensieri
E con azioni la catena stretta
Che è stata posta, vincolo ai beati,
Per separarli dalla stirpe umana.
Entrambi avranno posto fra i dannati.
Sarà questo amore senza peana
Poiché l'ira calerà annientatrice
A punire l'amore non concesso,
Non è mai permesso essere felice
A chi viola le leggi di dio stesso.
Ma la terra conserverà memoria,
Ed il vento serberà nei suoi canti
Le parole d'amore, e questa storia
Renderà immortali i miseri amanti.
E che sia monito, ed esempio eterno
A quanti amando patiscon dolore:
Perché non esiste, no, alcun inferno
Quando l'anima è ricolma d'amore.
Perché due spiriti, diversi e affini
Hanno mostrato esser forza maggiore
Dell'ira di dei, potenti e beghini
Il semplice, puro, e perfetto amore.
lunedì 19 ottobre 2009
Qualcosa di corposo
Ho pensato che, rifacendosi alla versione originale, il tema potrebbe essere trasferito molto bene in poesia, una poesia d'amore tragico e impossibile. Così, mi sono messo di buona lena e ho iniziato a scrivere.
Non sono ancora arrivato alla fine di questa fatica, ma c'è già qualcosa di apprezzabile da leggere.
In futuro, i prossimi aggiornamenti di poesie saranno il proseguimento di questo componimento, in quanto voglio terminarlo prima di passare ad altri lavori.
Dal profondo dei cieli, oltre la luce
Vegliava sul mondo, spirito eletto.
Sua era la speranza, volto mai truce,
Provava per gli uomini grande affetto.
Era un custode, angelico guardiano,
Forte e giusto, baluardo dei mortali.
Il mondo egli osservava da lontano
Lui solo, fra gli spazi siderali.
E vide un giorno il tuo volto, lo vide
Mentre alzato il capo tu sorridevi;
E come un naufrago fra le acque infide
Brama le spiagge, brama sabbie lievi
E nulla sente di desiderare
Più di quel dolce tocco sulla pelle,
Così l'angelo si scopre ad amare
Una giovane dalle chiome belle.
E allora egli lascia la sua alta sede,
Spinto da amore che forte richiama.
Nella discesa nient'altro egli vede
Se non quel bel volto che lui tanto ama.
Nella discesa la luce lo ammanta,
Mentre egli si veste di forma umana.
Nella discesa la sua anima canta,
Vibra nel cosmo melodia lontana.
Dopo eoni, gli pare, giunge alla terra,
Poiché lunghi gli istanti anche ai beati
Rende la passione quando li afferra;
Giunge alla terra sui suoi piedi alati.
Allora, beato, lui le si accosta;
Brillano gli occhi, e bello è il sembiante,
Ma la sua vera natura è nascosta,
La sua sede gloriosa ormai è distante.
E lei lo vede, bello più del sole,
Maestoso e dolce, simile e lontano.
La incuriosisce: sapere ella vuole
Chi è mai costui, uomo dal volto strano.
“Straniero, domanda, “chi mai voi siete?
Inusuale è il vostro aspetto, da re.”
L'angelo risponde parole liete
“Sono venuto”, risponde, “per te.
Da lontano ti ho ammirata, in passato,
Mentre osservavo, con te, il mondo intero.
Ti ho vista crescere e fiorire, grato,
Ma senza intendere il prodigio vero
Che ha fatto di te, bambina normale,
Il fiore del mondo, dolce e perfetta,
Ragazza di cui non esiste eguale,
Ché in te nessuna virtù mai difetta.
Solo vedendoti giovane e adulta,
Vedendo i tuoi capelli, come seta,
Il tuo volto su cui beltà esulta
Io ti ammirai, con l'anima inquieta;
Ti ammirai come per la prima volta
Sentivo amore sbocciare copioso,
E compresi che se tu mi fossi tolta
Ne soffrirei, sarei senza riposo.
Sì, per questo ho lasciato le mie sedi;
Poiché senza di te non io non son niente,
Son venuto qui da te, come vedi.”
“Dolce straniero, l'anima mia sente
Qualcosa, per voi. Ma troppo è il mistero,
Troppa la maestà: donde arrivate?
Siate voi con me, vi prego, sincero,
Se davvero così tanto mi amate.”
venerdì 16 ottobre 2009
VtM: Vampire Tremendamente Maschiacce
Pesantemente parodistico, può un po' essere considerato la summa di tutto l'umorismo sulle tipiche pupe maggiorate da film d'azione; e predata Tomb Raider di parecchi anni.
Due anni fa, in quel di Lucca, trovai una copia dell'edizione italiana a 1 euro.
Proprio in quel periodo, ero attanagliato da un dilemma: mi serviva un sistema di GdR per rendere il feeling della serie di Bloodrayne, serie di videogiochi splatter all'inverosimile dove si interpreta la classica sexy dampira armata di armi in coppia.
Maschiacce Armate Pesantemente fu la mia rivelazione.
In poco tempo, è nato Vampire Tremendamente Maschiacce, il più stupido supplemento vampiresco che la storia del GdR potrà mai ricordare.
Eccovelo qui.
Vampire Tremendamente Maschiacce
lunedì 12 ottobre 2009
Ritardo mostruoso
Una poesia vecchia di qualche mese, appartenente al mio filone "ribelle-apocalittico".
Verrò dal Caos come messaggero
A voi che siete senza coscienza,
E mistificate sempre il vero
Per la vostra sporca convenienza.
Verrò dal disordine profondo,
Non certo privo di coerenza,
Donde è nata l'anima del mondo
Stuprata da voi con gran violenza.
Vengo dal tutto, vengo dal niente,
Per vendicare la sofferenza
Imposta alla più misera gente
Con la vostra vile compiacenza.
Vengo dal popolo dei poeti
Senza l'ossequiosa riverenza
Per i potenti, ma sempre lieti
Di denunciar la loro indolenza.
Sono venuto per voi, signori,
Per la vostra tronfia incoerenza,
Affinché voi proviate i dolori
Che infliggeste con tanta irruenza.
Sono venuto per voi, gli eletti,
Che ci negaste la conoscenza
Voi, dannati, più che maledetti,
Imponendo la vostra potenza.
Tremerete nel vedere le stelle,
Ormai private d'ogni innocenza;
Notte e vendetta sono sorelle:
Col buio vi darò la sapienza.
venerdì 9 ottobre 2009
Druidismo in HARP
L'avevo creato per una campagna mai partita, in quanto un giocatore voleva un PG druido con incantesimi simili.
Druidismo
mercoledì 7 ottobre 2009
Stesso spunto, due poesie
La prima è stata riscritta circa sei mesi fa, mentre la seconda l'ho finita da qualche giorno.
Personalmente, preferisco il secondo componimento: è più breve, ma fatto meglio.
Quando le tele d'infami demiurghi
Ci avvolgono come sogni oscuri
Dove corriamo esausti e disperati,
In fuga da quel che sempre cerchiamo.
Quando il ricordo si fa impalpabile
Come memoria perduta, di altri,
Dove noi non abbiamo alcun posto
E non ne avremo mai in futuro.
Quando il tempo inclemente ci incalza
Come carcere selvaggio, e duro,
Dove il tessuto del fato ci stringe
Fra le sue odiate spire letali.
Quando il mondo ci crolla sopra il capo,
Come nemico ancestrale e spietato.
Quando annaspiamo in mari crudeli,
Neri di tempesta e disperazione.
E quando il pensiero è tortura atroce,
Ferita auto inflitta da tristi eoni.
Ci opprimono le tele, alte nel cielo,
Strozzando l'urlo dell'ultimo spirito.
Infami, le hanno volute i demiurghi
Forti e nere, per meglio intrappolare
Le ali nostre, striscianti sull'asfalto
Di strade troppo strette per volare
Oltre i grattacieli, oltre le alte torri,
Oltre le gabbie di fumo striato
E oltre ogni altra loro savia menzogna.
lunedì 5 ottobre 2009
Altro sonetto
Salute a voi, miei più cari profeti,
Esemplari in modi, parole e azioni,
Autori delle immortali canzoni,
Voi sapienti cantori, voi inquieti.
Salute alle celle ove voi languite,
Salute alle tombe colme di fiori,
Falso dono di chi vi ha fatto fuori
Temendo l'esempio di vostre vite.
Io vi onoro, e non sono certo il solo;
Poiché altri assieme a me, o in altri tempi,
Hanno svelato la realtà del dolo
Di chi vi ha inchiodati, strappati al suolo
Portando avanti patetici scempi
Per occultare il vostro vero ruolo.
Dionisiaca quinta
Dopo tanto io ora torno da te,
Dioniso beato, forte re
Di tragicommedie e burle estreme,
Di estasi e di morte e vino assieme,
Patrono di poeta vocato
Come di libero squinternato.
Seppur mio compagno di risata,
M'hai dato vicenda sfortunata;
Ma io ora la accetto, dopotutto
Non sei poi patrono così brutto.
Ci ho pensato sopra e perché no?
Della tragedia anch'io riderò,
Ché dal mio soffrire se ne rido
Verrà un sapere ancora più fido.
Ciò componeva il grande signore,
Il saggio calvo dal molto onore.
E se non hai tu oggi mente occupata
Donami, dai, una gran serata:
Così potrò svagarmi un pochino,
E poi alzarmi tardi al mattino.
Vampiri alternativi in D&D 3.5
Spero che sia decisamente migliore dei suoi precursori. ^_^
Filii Nephandi
venerdì 2 ottobre 2009
Il Fato nella 4^ edizione di D&D
Quindi, non avete scuse: scaricatele e godetevele! :)
Fato D&D 4^
mercoledì 30 settembre 2009
Sonetto
Secondo una mia docente, il sonetto è un po' il letto di Procuste della poesie: ti obbliga ad adattare il soggetto alla forma, dilatandolo o riducendolo in modo da farlo rientrare entro il suo schema preciso. Devo dire che mai come adesso ho capito quanto questo sia vero, anche se non è certo il primo sonetto che compongo.
Attesa; è cieco l'animo e placata
La tempesta. Ora, calmo, io attendo;
Ma incerti sono i segni, non tracciata
La via ch'io pure già intraprendo.
Ignota mi è la meta, ormai è andata
La passione, patimento tremendo
Eppure dolce, che a lungo è durata.
Niente rimpianti. Sto forse capendo?
Sì, infine intendo la vera lezione:
Per questo tanto ho amato, e sofferto;
Chiara mi è nell'animo la ragione.
Uno è l'amore, ma non la passione:
Essa è molteplice. E ho il cuore aperto
Pronto a una sua nuova dolce aggressione.
PS: probabilmente, l'aggiornamento di venerdì arriverà molto in ritardo, o potrebbe saltare direttamente... brutta cosa, gli esami universitari.
lunedì 28 settembre 2009
Catene del Fato
L'ho realizzato per il GdRItalia 24h-RPG Contest (crea un GdR in ventiquattro ore, partendo da una traccia che ti viene consegnata al momento) e, per quanto poco stimi attualmente quel che è diventata la community (sono pronto a ricredermi però, anzi: spero di dovermi ricredere in futuro), devo dire che arrivare 6° su 28 partecipanti è una bella soddisfazione.
Dopo il contest, ho ripreso in mano Catene del Fato per dargli una forma un po' più gradevole, oltre che per renderlo più chiaro e godibile.
Ecco a voi lo stato attuale del mio CdF. ;)
Catene Del Fato
Dionisiaca quarta
O meglio: non è proprio l'ultimo, ma fino a quando non trovo il quaderno in cui avevo scritto il successivo rimane ufficialmente tale.
Mio Dioniso, rosso, forte, e buono,
Veloce come il paterno tuono
Dammi per favore il tuo consiglio,
Tu del grande boccale buon figlio:
Grande, grandissima, un'incertezza
Mi toglie il sonno e la sicurezza.
M'è venuto incontro più d'un laccio
D'amore, che stimavo uno straccio
O forse meno, l'odiavo tanto,
Io che ora lo celebro col canto.
Io, mortale, cambio più di voi,
Dei che mutate, secondo noi,
Solo per l'utile del momento,
Quasi foste banderuole al vento.
Ma io divago, e sono prolisso;
Ritorniamo al mio cuore scisso
Fra tante ragazze assai graziose
Chi in questo, chi in quello ben virtuose.
Su quale, mi devi rivelare,
Mi converrebbe per te puntare?
Di donne, si sai, sei molto esperto,
Maestro di riti a cielo aperto,
Liberale in ciò più che ogni dio,
E proprio per questo amico mio.
Signore divino, grato a tutti,
Non lasciare che siano distrutti
I sogni, con gran costernazione,
Di questo tuo grande sbevazzone!
venerdì 25 settembre 2009
Archetipo per D&D 3.5
Non è un'uscita molto succosa, lo ammetto, ma se va tutto bene il prossimo materiale che vi metterò a disposizione per questo GdR saprà accontentarvi di più.
Creatura posseduta
mercoledì 23 settembre 2009
Vecchio e nuovo
La prima risale a più di un anno fa, ed è un tentativo di trasporre in italiano un metro greco molto antico, l'enoplio. Era un metro impiegato utilizzato dai soldati in marcia, e ho cercato di fare una poesia su ciò che considero un buon motivo per il quale "impugnare le armi".
Per cosa s'avanza voi dite,
Che cosa cerchiamo chiedete.
Speranza mai morta ci guida,
Ricordi beati cerchiamo,
Per tutti noi or ricordiamo:
Perché non si perda nel nulla
Il vero, perché la memoria
Rimanga con noi nell'eterno.
La seconda poesia, invece, è di un paio di giorni fa. In parte, mi sono ispirato a un celebre sonetto autodescrittivo di Alfieri, ma ho deciso di ampliarla facendo riferimento a un passo del poema epico indiano Mahābhārata, che suona più o meno così (vado a memoria e non ho il testo sanscrito sotto mano al momento): "il cuore di un brahmano è come burro fresco, ma nella lingua ha nascosto un rasoio dalla lama tagliente. Nello kshatriya (guerriero nobile) questi due sono invertiti: burro fresco nella voce, il cuore lama tagliente."
Truce è la faccia, il cipiglio ben cupo,
Sardonico riso, occhi di lupo.
Ma se sei amico sarò fedele,
L'agire mio con te come buon miele.
Diffida invece da quei ben vestiti,
Dai modi pacati, sempre compiti,
Cuore di squalo e sorrisi gentili,
Che del tuo destino vogliono i fili.
lunedì 21 settembre 2009
Ritorna l'ispirazione
Sembra che l'andare in pullman faccia bene alla mia vena poetica: ne ho composto altre due, comunque più brevi, e ho in mente di proporvele in settimana.
Brilla, luce dell'anima lontana,
Nel mio spirito ormai ingrigito;
Esso ancora brama, speranza vana,
Quel sogno lieto e infinito.
Brama che tu non sia solo un ricordo,
E gli occhi di poter posare
Su di te, placando il suo cuore sordo
Vorrebbe poterti abbracciare.
Ma tu, anima, dove sei mai ora?
Ignoto ti è questo sentire,
Non sai che io persevero, spero ancora
Che tu mi possa alfine capire.
Capire il mio amore, la sofferenza,
I rimorsi ed il gran rimpianto
Di cui è colpevole la tua innocenza,
Musa del mio misero canto.
Dionisiaca terza
Ancora una volta, qui riprendo alcuni episodi autobiografici caricandoli in chiave giambica; è la seconda delle due poesie dedicate alla morte del mio gattino (per me era rimasto sempre un cucciolotto anche se a un anno e mezzo pesava più di quattro kg e affettava i nasi dei cani come passatempo) Tas, stroncato dall'influenza felina l'inverno scorso.
Dopotutto, Dioniso Ferale,
Non tutto quello che parve male
Si rivelò esserlo davvero
Quando mi fu noto il caso intero.
E ti ringrazio, mio bel panzone,
Se non sono passato per coglione
Rivelando un amore mal riposto,
Il che m'avrebbe depresso tosto
Più di quanto non avesse fatto
La morte del mio più caro gatto.
E se m'ascolti ancora un pochino,
Ti raccomando il mio Tassino:
Era gatto amante dei piaceri,
Con molti modi dolci e sinceri;
Gli piaceva essere coccolato,
Fuseggiava appena accarezzato.
Mozza la coda, di tigre il pelo,
Occhi splendenti di verde cielo.
Se tu lo dovessi mai incontrare,
Ti prego il mio Tas di coccolare;
Digli che il padrone gli vuol bene,
E vorrebbe riaverlo assieme.
Quiria
Ho cercato di rifarmi al concetto secondo me più importante di un mondo di gioco: deve essere facile capirne i concetti fondamentali in pochi istanti. In quest'ottica, l'impero romano è una delle realtà "storiche" meglio note ai giocatori di ruolo italiani, e si presta molto bene a creare una ambientazione particolare (non il classico fantasy medievale) ma nel contempo di facile comprensione.
Se va tutto bene, lunedì prossimo vi presenterò un nuovo GdR completo fatto da me; se le cose vanno male, invece, dovrete "accontentarvi" di un abbozzo di regolamento per giochi di ruolo dal vivo.
Quiria
venerdì 18 settembre 2009
Razze D&D 4^ edizione
Razze 4^ edizione
mercoledì 16 settembre 2009
Scusate il ritardo...
La poesia l'ho composta per una ambientazione di GdR che sto creando; si basa su tutti quei miti relativi a crudeli creature fatate che abitano nel ventre della terra, scacciate dalla luce del sole per opera dei primi umani, e di cui è inquietantemente pieno l'immaginario di molte culture...
Vigile è il popolo della collina,
Da sempre esso attende l'ultima ora,
E quando è giunta la notte ferina
Preda il nostro mondo fino all'aurora.
Non confidare nel serico viso,
Non porre mai fede nelle parole
Di quanti incantano con un sorriso,
E svaniscono alla luce del sole.
Essi attendono, al buio, sotto terra,
Attendono da secoli vendetta,
Ed essi muovono, non visti, guerra,
Contro di noi, e serrano la stretta.
Non confidare nel serico viso,
Non porre mai fede nelle parole
Di quanti incantano con un sorriso,
E svaniscono alla luce del sole.
Banditi dai nostri progenitori,
Serbano ancora la dura memoria
Dello sterminio, dei molti dolori
Inflitti loro prima della storia.
Non confidare nel serico viso,
Non porre mai fede nelle parole
Di quanti incantano con un sorriso,
E svaniscono alla luce del sole.
Escon dai tumuli, tutte le sere,
False son le danze, falso l'amore,
Fredde le lame, le lame son vere,
Predan gli uomini, recano dolore.
Non confidare nel serico viso,
Non porre mai fede nelle parole
Di quanti incantano con un sorriso,
E svaniscono alla luce del sole.
Questa poesia, invece, è stata la prima che ho -da pazzo- scritto sul cellulare. Esperienza estenuante: il T9 NON è amico della poesia.
E la terra e il cielo si unirono
In un canto di reciproco amore.
Ma l'ultima luce del sole
Restituiva le tenebre alla luna;
E quando levai l'occhio stanco.
Non vidi altro che ceneri, e pianto.
Infine, questo breve componimento mi è stato ispirato da una notte di quasi un anno fa...
La luna alta nel cielo, solitaria,
Fra le tenui luci stellari.
Niente nubi: un vento freddo e crudele
Mi graffia con aria gelata.
lunedì 14 settembre 2009
Dionisiaca prima
Successivamente, ne ho scritte molte altre con la stessa metrica e lo stesso stile. Ho optato per un decasillabo in quanto mi sembra meno solenne dell'endecasillabo e più vicino al parlato, e mi sono più in generale ispirato alle tematiche della poesia giambica greca.
PS: la poesia, come la presento qui, è in versione "censurata"; non c'è niente di osceno nella versione originale, ma visto come siamo a libertà personale in Italia penso che per ora sia meglio evitare di mettere su internet l'altra variante.
Dioniso, Dioniso mio adorato,
Ascolta il tuo Angelo avvinazzato:
Dammi un buon birroncino da bere,
E assenzio, un buon mirto per le sere;
Dammi di vino una botte piena,
A ubriacarci l'amor, gran pena;
E poi dammi d'acqua gran tinozza,
Per affogarci la gente zozza.
Limes
E' il primo lavoro di GdR che ho fatto usando il formato A5 e probabilmente sarà anche l'ultimo, perché non trovo molto congeniale la capienza ridotta delle pagine.
Quindi è un pezzo ancora più raro: affrettatevi a scaricarlo! ;)
Limes
domenica 13 settembre 2009
Poca ispirazione...
Per domani, comunque, sono in arrivo un GdR completo e alcune vecchie poesie.
venerdì 11 settembre 2009
HARP senza livelli e professioni
Un semplice modo per modificare questo GdR per utilizzarlo senza livelli e professioni.
Mi scuso per la "leggerezza" di quanto vi offro oggi, ma state pronti: lunedì prossimo arriva un GdR completo, e il prossimo lavoro per HARP che vi metterò a disposizione sarà nientemeno che una ambientazione!
Harp Senza Livelli e Professioni
mercoledì 9 settembre 2009
Amore, amore, sei dolce enigma:
Un attimo smanio, invasato,
Un attimo dopo calcolo, freddo,
Vantaggi o guadagni da te.
Ma poi si fa lucida la passione,
E la brama, calda, mi prende.
Vorrei provare un sentimento puro,
Ma i miei dubbi sono feroci.
Mi sento quasi orrore fra le bestie,
Mostro di menzogne triviali.
Eppure, quale sia il turbamento,
La tua vista mi dà certezza
E, calmando il patimento interiore,
Suscita nuovo desiderio.
Questo componimento, il più lungo che abbia scritto sino ad ora in versi, risale all'autunno scorso ed è stato più volte abbandonato e ripreso, riveduto e corretto.
Ho usato diversi metri nel comporlo: nelle strofe uso decasillabi e settenari per l'ultimo verso, mentre i ritornelli sono in endecasillabi.
E' un tentativo di rendere conto in una sorta di ballata della mia utopia sociale.
Un uomo, lui solo, si levò
Quando i tempi incombevano, oscuri.
I saggi, i sapienti, i molti santi
Risero: “Tu, pazzo e visionario,
Che cerchi mai nel mondo corrotto?
Noi soli abbiamo la verità.
Essa non è, no, del nostro mondo,
Ma noi ne abbiamo, vedi, la chiave.
Vieni a noi, umano disperato:
Solo così avrai ciò che cerchi.”
Ma l'uomo vide una cupa brama
Risplendente negli occhi dei santi,
I santi tanto amati dal mondo.
Allora se ne andò.
E così lasciò il suolo paterno,
Attraversò monti e valli, da solo,
Alla ricerca del sogno eterno,
Nella tempesta il suo unico molo.
Varcati appena i noti confini,
Giunse in una terra sconosciuta.
Altri là erano chiamati santi,
Altri, sì, ma simili ai profeti,
Falsi sapienti della sua gente,
Araldi della stessa menzogna.
“Non qui troverò la verità”,
Pensò l'uomo, misero viandante,
Sperduto nelle terre straniere.
E riprese il suo viaggio.
E così lasciò il suolo paterno,
Attraversò monti e valli, da solo,
Alla ricerca del sogno eterno,
Nella tempesta il suo unico molo.
Arrivò in un luogo lontano,
Ospitale l'accolse la gente.
Ma, nelle loro feste e canzoni,
Non trovava la gioia voluta
Perché essi, assieme, soli godevano:
Ognuno per se stesso, da solo.
Fuggì allora dal falso popolo
Che coi canti celava l'orrore
D'una massa solitaria e triste.
Fuggì, amareggiato.
E così lasciò il suolo paterno,
Attraversò monti e valli, da solo,
Alla ricerca del sogno eterno,
Nella tempesta il suo unico molo.
Andò oltre, lontano, in una terra
Dove voce era giunta dei santi,
Sapienti patrii della sua gente.
E quel popolo lontano, pazzo,
Riveriva i sacerdoti, oscuri
Tiranni dai quali era fuggito.
Le tenebre d'una menzogna
Coprivano là gli animi umani.
Non era lì, no, la verità.
Triste, l'uomo andò.
E così lasciò il suolo paterno,
Attraversò monti e valli, da solo,
Alla ricerca del sogno eterno,
Nella tempesta il suo unico molo.
Altre terre, ottenebrate, vide;
Andò oltre, fuggì. Alfine giunse
Al nero mare, mare divino,
Dove i naviganti han visto tutto
E d'ogni inganno hanno memoria.
Delusi, in tutto vedono inganni,
E neppure in se stessi hanno fede:
Scontenti, privi di verità.
Nessun gradito dono al viandante,
Ed egli proseguì.
E così lasciò il suolo paterno,
Attraversò monti e valli, da solo,
Alla ricerca del sogno eterno,
Nella tempesta il suo unico molo.
Tutto il mondo percorse, ramingo,
Ed in patria, afflitto, ritornò
Senza aver trovato verità.
Ma con lui, da ogni terra percorsa
Altri, simili, s'eran levati:
Assieme percorsero il mondo,
E allora vide alfine il vero.
Sì, l'uomo vide nei suoi compagni,
Fratelli per scelta, altri viandanti,
Quel dono che aveva cercato
Per terre e per mari, sempre invano.
Uniti, cercatori del vero,
In ciascun altro essi lo trovarono.
E così andarono per il mondo,
Non più raminghi, non più solitari,
Sicuri, decisi fino in fondo
A mostrare il vero ai propri pari.
E così andarono per il mondo,
Non più raminghi, non più solitari,
Sicuri, decisi fino in fondo
A mostrare il vero ai propri pari.
lunedì 7 settembre 2009
Theogonian, ambientazione per D&D 4^ edizione
... poi mi è scesa la depressione per la 4^ edizione di D&D: sebbene riesca a giocarci, non la trovo stimolante per creare materiale personalizzato -forse perché risulta troppo poco personalizzabile per i miei gusti.
Nel documento si fa riferimento ad alcune razze create da me per questo GdR, che pubblicerò in seguito.
Theogonian
Amore e odio
Per tutte e due mi sono basato molto su modelli e suggestioni della lirica greca.
Sono dedicate a occasioni contingenti ma, scrivendole, ho voluto far sì che fossero abbastanza "forti" da risultare valide non dico per sempre, ma quantomeno in tante altre occasioni... spero di esserci riuscito!
C'è nel tuo sguardo, mio sogno felice,
La stessa scintilla che sento
Nel vederti un sorriso accennato
Quando incroci appena i miei occhi?
O è l'amore, il sublime inganno,
A riflettere in te la luce,
Calda, che mi avvolge nel rivederti
Ogni giorno sempre più bella?
Amore, mio bell'angelo terreno,
Anche per te io sono caro,
O mi sdegni, ardendo per un altro
Che appena un poco ti sorride?
Perché hai rifiutato l'amicizia
Con parole da falso fratello
Che tutto vuole ma nulla dona?
Bocca menzognera, falso agnello
Con le zanne di un coccodrillo,
Ti vedrò piangere i tuoi doli
Con lacrime calde di vergogna,
Come s'addice ai sangue-freddo,
Serpente strisciante e velenoso.
domenica 6 settembre 2009
La prima risale a fine Luglio, la seconda a metà Agosto.
Quando l'ultima stella sarà spenta
Io riderò della vostra arroganza;
E dovrete avere l'anima attenta,
Perché sarò io a guidare la danza.
Ci impegneremo affinché non si senta
Il fetido stridio della mattanza
Che la vostra perfidia, ben contenta,
Portava avanti con molta arroganza.
Son cadute ormai le maschere liete,
Strappate dalla nostra indignazione:
A tutti ormai è evidente quel che siete.
Non vi daremo pace, né quiete,
Noi saremo la vostra dannazione,
Araldi del tempo che tutto miete.
Aspetto; ora è quiete il mio momento,
Mentre si disperde il pensiero
Contro un male in silenzio, e che non sento,
Ben diverso da quello vero.
Grida e urla attorno a me, da ogni parte,
Molto si affannano, incalzanti,
Quasi emesse malignamente, ad arte,
Richiamo a spiriti distanti.
Ma ora volo alto, nonostante tutto,
Levato grazie al mio sperare.
Pure, quando il sogno sarà distrutto,
Verran per me le ore più amare.
venerdì 4 settembre 2009
Regole opzionali per D&D 3.5
Regole Opzionali Amatoriali Per D&D 3.5
mercoledì 2 settembre 2009
Non ogni sacrificio muta un cuore
In fredda pietra, congelata
Dall'ardire d'un esempio esigente,
Marmo ai posteri, idolo oscuro:
Voi avete dato la cara vita,
Sacrificandola all'altare
D'un pensiero più alto, di un'idea
Cui credevate senza indugi;
Ma il vostro cuore batte ancora, eterno,
Nei petti di chi segue l'ardua
Via, senz'alcuna uscita di favore,
Che voi ci tracciaste per sempre.
Commiato degli ultimi naviganti
Non è scritta rispettando la metrica, in quanto ho puntato più al contenuto e agli effetti che alla forma.
Oggi navighiamo verso la tempesta, fratelli.
Fenderemo i suoi flutti neri, feroci,
Con la nostra amata polena piangente.
Oggi, compagni, ci aspetta la burrasca:
Incombono su di noi nuvole e tuoni,
I fulmini ci opprimono, tenebrosi.
Oggi, amici, si va davvero per sempre.
Ma noi navigheremo ancora,
Eternati dal nostro andare coraggioso all'ignoto.
Perché cerchiamo la fine che vogliamo,
Il divenire luce, una guida
Per tutti,
Per sempre.
Non ci pesa, no, il triste destino,
Le onde ora sono carezza amabile,
I tuoni non ci spaventano più:
Abbiamo scelto il sacrificio.
lunedì 31 agosto 2009
SID - Sistema Interattivo-Descrittivo
E' stato il primo GdR serio che ho sviluppato bene, ed è attualmente il mio lavoro più corposo nell'ambito dei Giochi di Ruolo.
SID
Qualche poesia
Risalgono a circa un anno fa.
La prima, scritta durante una conferenza sul teatro greco, è stata ispirata dal vento di maestrale che quel giorno sferzava gli ulivi del mio paese.
Perché gli alberi cresceranno ancora,
E nuovamente tu soffierai, vento,
Fra i forti rami contorti e frondosi.
Essi cantano, quasi un epinicio,
Il grandioso inno alla propria materia,
Piegati, sì, ma mai vinti dall'etere.
E dal vecchio ramo, che ha visto i tempi
Piegarsi sotto il giogo del progresso,
Nasceranno di nuovo ricchi frutti.
E la loro linfa saprà di vita
Per quanti ancora verranno in futuro,
Com'era dolce vita per noi, i morti.
La seconda poesia, invece, è pesantemente debitrice nei confronti di alcuni mostri sacri della canzone italiana (Guccini e De André) e del carme Dei Sepolcri di Foscolo
Dopo il mio ultimo istante, fratelli,
Datemi, vi prego, memoria:
Voglio vivere per sempre con voi,
Nel vostro ricordo di me.
Non una fredda tomba, non di certo
Un misero pezzo di legno
Mi saran graditi dopo la morte,
Ma voi, danzanti sotto il sole,
Voi che ancora vi inebriate d'aria,
Onorando in canti i caduti.
La terza, infine, l'ho scritta una settimana dopo l'alluvione che a fine 2008 ha colpito molte zone della Sardegna, mentre mi trovavo in un luogo per me familiare colpito dalla sciagura.
Sono qui, io solo, ad aspettare,
A camminare, lento, fra i trifogli
Che son cresciuti, fitti e truffaldini,
Dove prima c'era solo del muschio.
Regna un silenzio quasi irreale,
Filtrato appena da suoni distanti,
Nel cortile verde e quasi discreto
Dove siedo in attesa pacata.