Risalgono a circa un anno fa.
La prima, scritta durante una conferenza sul teatro greco, è stata ispirata dal vento di maestrale che quel giorno sferzava gli ulivi del mio paese.
Perché gli alberi cresceranno ancora,
E nuovamente tu soffierai, vento,
Fra i forti rami contorti e frondosi.
Essi cantano, quasi un epinicio,
Il grandioso inno alla propria materia,
Piegati, sì, ma mai vinti dall'etere.
E dal vecchio ramo, che ha visto i tempi
Piegarsi sotto il giogo del progresso,
Nasceranno di nuovo ricchi frutti.
E la loro linfa saprà di vita
Per quanti ancora verranno in futuro,
Com'era dolce vita per noi, i morti.
La seconda poesia, invece, è pesantemente debitrice nei confronti di alcuni mostri sacri della canzone italiana (Guccini e De André) e del carme Dei Sepolcri di Foscolo
Dopo il mio ultimo istante, fratelli,
Datemi, vi prego, memoria:
Voglio vivere per sempre con voi,
Nel vostro ricordo di me.
Non una fredda tomba, non di certo
Un misero pezzo di legno
Mi saran graditi dopo la morte,
Ma voi, danzanti sotto il sole,
Voi che ancora vi inebriate d'aria,
Onorando in canti i caduti.
La terza, infine, l'ho scritta una settimana dopo l'alluvione che a fine 2008 ha colpito molte zone della Sardegna, mentre mi trovavo in un luogo per me familiare colpito dalla sciagura.
Sono qui, io solo, ad aspettare,
A camminare, lento, fra i trifogli
Che son cresciuti, fitti e truffaldini,
Dove prima c'era solo del muschio.
Regna un silenzio quasi irreale,
Filtrato appena da suoni distanti,
Nel cortile verde e quasi discreto
Dove siedo in attesa pacata.
Nessun commento:
Posta un commento