lunedì 22 dicembre 2014

Croniche pentadiendiare: atto V

Domenica scorsa (sì, sono in temibile ritardo) abbiamo giocato la quinta partita della nostra campagna. Avrei dovuto in teoria avere la Guida del Dungeon Master, ma a causa di quella distesa d'acqua nota come Tirreno, infame rallentatore di viaggi e spedizioni, la mia copia è arrivata solo il giorno dopo.
Anche con questo problema, tuttavia, è stata una giocata molto intensa, ricca di azione e soddisfazioni per i giocatori: hanno infatti raggiunto il 3° livello di esperienza, mica balle!


ATTO V


I due briganti stanno ancora danzando il ballo della corda quando attorno al villaggio di Ponte Nuovo si levano gli ululati minacciosi di innumerevoli lupi. In pochi istanti si scatena il panico fra la folla venuta ad assistere all'esecuzione, mentre le guardie e gli avventurieri si preparano a fronteggiare la nuova minaccia.
Nel fuggi-fuggi generale, nove bestie si scagliano contro i nostri, e nel loro agire c'è qualcosa di troppo metodico per far pensare al semplice disegno di un animale. Tre dei lupi, in particolare, hanno le dimensioni di piccoli cavalli e hanno nei loro occhi uno scintillio di intelligenza fuori dal comune.




Per fortuna gli aspiranti eroi/approfittatori avevano con sé il proprio equipaggiamento da combattimento (ma non le pozioni alchemiche strappate di mano ai banditi, purtroppo per loro), e hanno la prontezza di reagire con tempismo: mentre le guardie cittadine si danno da fare per eliminare i lupi che stanno attaccando il resto della folla, Nete scaglia un dardo della sua nuova balestra contro uno dei lupi giganti ancora in avvicinamento; Shamash le fa eco con una delle sue fide accette da lancio. Grande è la gioia degli avventurieri nello scoprire che, a differenza dell'esemplare incontrato in precedenza, queste bestie possono essere ferite dalle loro armi.
Dal canto suo Quarion preferisce piuttosto proteggere se stesso con un incantesimo di armatura magica.

I lupi più grandi sono ancora fuori dalla mischia, quasi che abbiano usato gli altri membri del branco come *avanguardia*, ma gli altri canidi attaccano in massa e riescono a colpire e buttare a terra sia il guerriero che la contessina, quest'ultima colpita in maniera alquanto grave.
Rialzatasi, dunque, la barda provvede a curare le proprie ferite con un incantesimo, mentre due dei lupi più piccoli cadono in preda al sonno magico dello stregone; (1) alzatosi da terra con il corpo e l'orgoglio alquanto ammaccati, il dragonide soffia la sua velenosa ira contro buona parte del branco: vengono colpiti tre dei lupi più piccoli, e uno dei lupi giganti sopraggiunti nel frattempo.
Ma quando arriva il loro turno le bestie non si fanno certo pregare, tempestando Shamash di morsi e buttandolo ancora una volta a terra. Anche Nete subisce diversi danni dai lupi, anche se riesce a evitare di essere buttata nuovamente a terra.
Lo stocco dell'infernale e il martello del dragonide lacerano le carni delle belve, mentre il mezz'elfo sfrutta l'erratico potere del Caos per rendere più preciso un dardo di fuoco. Purtroppo il guerriero, divenuto il bersaglio d'elezione del branco di canidi forse davvero molto ghiotti di carne draconica, cade a terra privo di sensi.


Nete e Quarion lo sanno bene: senza Shamash sono spacciati, e ci sono alte probabilità che vedendolo a terra i lupi decidano di pasteggiare con i suoi resti - una prospettiva per niente allettante.
Perciò la barda si inchina sul compagno caduto, e con una melodia mistica rimargina le sue ferite; dopo quello che passerà alla storia come uno dei più brevi svenimenti del mondo, nel giro di qualche secondo il dragonide riapre gli occhi, quasi abbagliati dalla luce scarlatta del tramonto, rossa come il sangue che sgorga ancora copioso dalle sue numerose ferite.
Così il quasi-risorto guerriero riprende a maciullare i lupi col suo martello da guerra, ma è il dardo incantato del mezz'elfo a porre fine alla vita di tre lupi, trafitti da proiettili invisibili ma non per questo meno letali; ironia della sorte, il Caos dei flussi magici riempie di rinnovato vigore lo stregone, l'unico del gruppo a non aver subito ferite. (2)
Questo però fa sì che il branco percepisca Quarion come un pericolo, e così anche lui deve difendersi, fortunatamente con successo, dalle fauci delle belve.
Ora che rimangono tre lupi giganti è su di essi che i nostri, fra un morso (a Shamash) e l'altro, concentrano le loro attenzioni: un ultimo dardo incantato sancisce la fine di uno di tali mostri, mentre gli altri vengono consumati a poco a poco da stoccate, martellate e dardi di fuoco.
Ma i lupi non si danno per vinti: in condizioni normali un branco si sarebbe già ritirato, non così questo, che anzi continua ad attaccare il guerriero e lo stregone con rinnovato vigore. I nemici cadono uno ad uno, mentre ormai i fratelli Sei Dita hanno smesso di contorcersi e pendono mestamente dalle loro corde. Sfortunatamente anche il dragonide, vero e proprio manicaretto della cucina lupesca o forse semplicemente identificato come il più grosso e minaccioso, cede alle ferite subite e chiude di nuovo gli occhi in preda a quel dolce oblio che precede la morte. Sta ancora una volta a Nete, cornuta infermiera del gruppo, strapparlo dalle braccia dell'oltretomba con un incantesimo di cura ferite.
E alla fine, anche se per poco Shamash non ci lasciava la pelle, la battaglia è vinta.

Anche gli altri lupi sono stati respinti o uccisi, con perdite tutto sommato limitate per la comunità. Ma i nostri non hanno neanche il tempo di rinfoderare le armi, perché subito arriva una guardia a chiedere rinforzi contro un animale che sembra invulnerabile a qualsiasi arma. Sarà lo stesso lupo incontrato giorni prima o esistono più bestie con quella strana facoltà?
Gli avventurieri fanno una rapida sosta alla magione di Lucilio Corsi, dove hanno lasciato le loro pozioni, e si preparano a combattere contro la nuova minaccia, ma sopraggiungono troppo tardi: lo strano lupo si è allontanato poco dopo aver ucciso una guardia e averne ferito un'altra; sembrava possedere un'intelligenza fuori dal comune, e dal collo gli pendeva uno strano collare. Rufio Salvi e il borgomastro, sopraggiunti poco dopo, non possono fare altro che ringraziare ancora una volta il gruppo e chiedere loro di fare il possibile per risolvere anche questa minaccia. Ma se ne riparlerà al mattino, dato che per quanto la notte sia tutto sommato luminosa il sole è ormai tramontato.
Tutti i feriti vengono radunati nella taverna, riaperta per l'occasione, dove vengono somministrate cure e la musica soprannaturale di Nete li aiuta a riprendersi più rapidamente dallo scontro. I nostri si fanno però sospettosi, e in qualche modo scaramantici, quando Caterina Fogliarossa, la già plurisospettata figlia del locandiere Atarasso, raccomanda loro di stare attenti quando affronteranno nuovamente i lupi. Che sappia qualcosa? Che sia collegata alle belve? Che gli "eroi" siano semplicemente molto, molto paranoici? (3)

Com'è come non è il giorno successivo, ripresisi dallo scontro, rifocillatisi e portandosi dietro le pozioni e le sostanze alchemiche saccheggiate dal covo dei briganti (rubare a un ladro non è un furto, vero?), gli avventurieri si preparano a esplorare il bosco. Il piano d'azione concordato è quello di recarsi in prima battuta dall'anziano eremita elfico che abita a mezza giornata di cammino da Ponte Nuovo, facendosi accompagnare da una guida locale.
Viene loro assegnato un cacciatore che conosce i territori circostanti, e sono ormai pronti a partire quando, fra vedere e non vedere, Shamash decide di trattenersi un attimo in più e va da Corsi a chiedergli di avere in prestito la mazza da guerra in argento che fu di suo padre: diverse creature soprannaturali sono vulnerabili alle armi in argento dopotutto, e il borgomastro non può negare questo favore a uno degli eroi che hanno sconfitto i banditi e difeso il villaggio più volte. L'idea piace alla barda che, sempre fra vedere e non vedere, chiede a Rufio di forgiare alcune delle sue monete d'argento in punte di quadrello da balestra.

Alfonso, il cacciatore quarantenne che accompagna i nostri, rivela in realtà di non aver mai parlato a tu per tu con l'eremita ma di averlo comunque incontrato un paio di volte. E' usanza comune presso gli elfi, raggiunta una certa età, ritirarsi a praticare forme più o meno dure di ascesi in zone lontane dalla civiltà. Mudras, (4) il vecchio in questione, ha stabilito la sua dimora presso le sorgenti dell'affluente meridionale del Limeo, una zona di piacevole bellezza e quiete ad alcune ore di camminata dai Guadi Dei Teschi.



Dopo una camminata mattutina e pomeridiana lungo il corso d'acqua il gruppo arriva in vista delle sorgenti, una polla d'acqua che sgorga naturalmente dal terreno al centro di una radura; là l'eremita ha edificato la sua dimora, una capanna di legna e frasche dignitosa nella sua semplicità. Si bussa sulla porta dell'umile dimora, e poco dopo da essa fuoriesce un elfo molto anziano, con lunghi capelli bianchi (5), il volto segnato da alcune rughe e il corpo rivestito da una semplice tela bianca; la mano destra dell'asceta è però avvolta da bende imbrattate di sangue.
Ben presto, fatte le dovute presentazioni al vegliardo, lo si informa della situazione a Ponte Nuovo e dei misteriosi attacchi da parte dei lupi. Egli non sembra sorpreso della cosa, dato che a quanto afferma persino il lupo che era riuscito ad addomesticare (6) gli si è recentemente rivoltato contro mordendolo alla mano. Mudras però non sembra sapere altro riguardo all'origine di questo branco selvaggio, sebbene gli avventurieri trovino in lui un sapiente che, pur ignorando l'esistenza della tomba di Lamisha, era a conoscenza della sua storia e dell'antica minaccia di Agarrex.
Tutto considerato, l'incontro non l'eremita non ha portato ai nostri nessuna illuminazione, ma se non altro l'elfo sta bene - mano a parte. Presa da un impeto di generosità, Nete si offre di curarlo con la sua magia bardica; Mudras le è grato, ma preferirebbe che l'incantesimo venisse eseguito all'interno della capanna per non esporre a troppi occhi la vergogna della sua ferita.
Inquietata ma non troppo la contessina accetta di ritirarsi con lui nella dimora. L'interno è tutto sommato piuttosto angusto e poveramente adornato, ma una scala seminterrata conduce a un piano sotterraneo dove si trova la stanza da letto del vegliardo. La barda avanza lentamente in direzione delle scale, quando all'improvviso un coltello manca di pochi millimetri la sua testa; girandosi di scatto vede alle sue spalle una perfetta copia di sé stessa vestita con gli abiti dell'eremita.

Mentre la vera (?) Nete è visibilmente e comprensibilmente stupita e terrificata, la Nete-Seconda la colpisce con un pugno violentissimo, quasi che nell'arto ci fosse una massa ben superiore a quella visibile. L'infernale, con l'occhio nero e lampanti crisi d'identità, leva un grido d'aiuto all'indirizzo dei suoi compagni, grido che la magia trasforma in una vera e propria onda di tuono. La replicante viene allontanata violentemente dall'esplosione di rumore, mentre le pareti di legno scricchiolano; poco dopo la porta si apre, e agli occhi si Alfonso, Quarion e Shamash si presenta la alquanto improbabile scena di due barde che si combattono fra loro. (7)

Il povero cacciatore è troppo sconvolto dalla scena per intervenire, ma lo stregone e il guerriero sono lesti a intervenire per proteggere l'infernale: una fiala di fuoco alchemico e un dardo di fuoco "accendono" il replicante, che pure continua a malmenare la contessina. Il dragonide cerca di frapporre il suo scudo fra la Nete-Seconda e la vera Nete, ma non riesce a evitare che quest'ultima venga colpita ancora una volta da quei pugni innaturalmente duri e violenti e costretta a curare se stessa con la propria magia: è come se l'aggressore non si curasse delle fiamme sul suo corpo. Il mezz'elfo lo colpisce con un dardo incantato, ma la sua caotica magia sembra provocare danni maggiori a Quarion stesso dato che i suoi capelli si staccano dal cranio per intrecciarsi e andare a colpire l'avversario. Quasi incurante dei colpi, quasi insensibile alle ferite, quasi che ora il suo unico scopo sia provocare quanto più turbamento possibile negli avventurieri, il replicante continua a bersagliare di insulti la barda mentre la tempesta con i suoi pugni innaturali; sembra conoscere su di lei particolari che nessuno a parte lei dovrebbe conoscere, e sfrutta tutte queste conoscenze per turbarla ancor di più. (8)


La situazione è per lei disperata, ma l'infernale dà fondo alla sua risoluzione e riesce a scuotere dal torpore il cacciatore Alfonso, che finalmente sfodera le armi per attaccare la creatura; e, sebbene poco dopo Nete crolli a terra priva di sensi, la Nete-Seconda la segue poco dopo. Non appena il respiro e la vita abbandonano il suo corpo, mentre i suoi compagni si stanno ancora chinando per somministrare alla barda una pozione di cura, il replicante assume la sua vera forma: quella di una creatura androgina e senza lineamenti, dalla pelle grigia e gommosa.
Ancora scossi dall'accaduto, i nostri si mettono a ispezionare la capanna, una capanna molto povera di tesori. Quel che balza subito agli occhi, piuttosto, è lo strano orecchino indossato dal replicante attorno al suo padiglione auricolare, un orecchino d'oro liscio con al suo interno il disegno stilizzato di un dito sollevato a intimare silenzio.
Ben più importante appare subito essere quel che gli avventurieri trovano nel piano interrato, nascosto in uno stanzino dietro a una porta chiusa a chiave: il vero eremita Mudras, legato e imbavagliato.
L'elfo è grato agli avventurieri per averlo liberato dalle grinfie del replicante, sulle cui facoltà è in grado di svelare qualcosa agli eroi: quegli esseri sono dotati di forti poteri telepatici, e sono in grado di leggere i pensieri di chi sta loro attorno; è così che la creatura ha interpretato il ruolo dell'asceta, è così che ha potuto conversare col gruppo dando l'aria di essere un grande saggio. (9)
Il mostro ha preso il posto dell'elfo alcune settimane prima, in concomitanza coi primi attacchi dei lupi, e ha eliminato il lupo dell'eremita che era riuscito tramite l'olfatto a vedere oltre i suoi inganni. Ma la vittoria del gruppo è poca cosa dinnanzi alla minaccia che si para loro davanti... poiché il replicante operava in combutta con una seconda creatura, un mostro che ha infettato Mudras col suo morbo e che è la vera guida del branco di lupi: un licantropo, un lupo mannaro. (10)
Il grosso problema è che mancano poche ore al tramonto, giusto il tempo di tornare in tutta fretta a Ponte Nuovo, e dopo sarà notte... una notte di luna piena, una notte in cui il licantropo attaccherà di nuovo. L'eremita lo sa bene, poiché il piano originale prevedeva che anche lui, caduto in preda alla frenesia sterminatrice del morbo, venisse sguinzagliato contro il villaggio.  E gli avventurieri, così, si trovano davanti a un enorme enigma: possono lasciare Mudras nella sua capanna, legato saldamente in modo che non possa far male a nessuno, e affrettarsi a difendere il villaggio, oppure possono portarlo con sé per difenderlo da eventuali rivalse del lupo mannaro. Ma così Ponte Nuovo rischierebbe un doppio attacco.
D'altro canto, esiste secondo l'anziano elfo un modo per combattere la licantropia, un'erba che se somministrata entro la fine della prima trasformazione permette di eliminare il contagio dal proprio corpo: la belladonna, un potente veleno, è in grado di ammazzare il lupo mannaro all'interno di un infetto. Data la tossicità della sostanza, tuttavia, serve un bravo erborista per somministrarla a dovere, senza che sia inefficace ma senza nel contempo avvelenare mortalmente il paziente; e vuole il caso che Quarion sia un discreto erborista, e che la pianta in questione sia tutto sommato frequente in quella zona.

Si decide dunque che il mezz'elfo (ringraziato diverse volte da Mudras, che arriva a chiamarlo "fratello") vada a cercare la pianta col cui distillato curare l'asceta e poter in futuro affrontare il lupo mannaro con maggiore tranquillità. Ma, dato che le sue energie magiche sono ormai quasi esaurite, Nete lo accompagnerà. Shamash resterà alla capanna, per difendere Alfonso e il vegliardo nel caso in cui il licantropo dovesse attaccare lì.
Dopo circa mezz'ora di attente ricerche la barda e lo stregone trovano quello che stavano cercando, una pianta di belladonna ricca di bacche e fiori; con circospezione Quarion la preleva e la mette al sicuro in un barattolo, in modo da non rischiare alcun avvelenamento accidentale.
Ma, presi dalle loro ricerche, gli avventurieri non si sono accorti di qualcuno che li ha seguiti nel fitto del bosco, qualcuno che li seguiva fin da quando, la mattina, hanno lasciato Ponte Nuovo.
Cogliendo entrambi i nostri alla sprovvista ecco che dal folto della vegetazione salta fuori un umanoide possente, una creatura muscolosa e scattante alta più di due metri e col corpo irto di pelliccia, dalla testa ferina e bestiale: il lupo mannaro ha trovato Nete e Quarion, e senza Shamash né l'arma d'argento i due sono ufficialmente nei guai fino al collo.


I due, a corto di risorse e di coraggio, si gettano in una fuga disperata. Ma l'essere, mutato in forma di lupo, corre ben più in fretta di loro e li raggiunge in poche manciate di secondi. E' fatta, o la va o la spacca: la barda dà fondo alle sue riserve magiche con un'onda di tuono, e lo stregone fa del suo meglio per far valere ogni singolo dardo di fuoco. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci, e forse è vero: una fortuna soprannaturale sembra aver benedetto i nostri, poiché ogni loro colpo va a segno mentre il licantropo riesce a colpire con le sue fauci infette unicamente l'infernale, senza peraltro provocarle gravi danni.
L'impossibile si avvera: gli incantesimi di Quarion e Nete hanno infine ragione del lupo mannaro che, una volta morto, torna ad assumere le fattezze di un normale essere umano. (11) Dal collo gli pende una corda, alla quale è appeso un anello in tutto e per tutto uguale a quello indossato dal replicante, mentre sul suo petto è incisa l'impronta di una zampa mediante quelle che sembrano cicatrici di violente artigliate. Come verrà poi stabilito, questi segni identificano i membri del Branco, una confraternita di mercenari la cui origine risalirebbe all'Era Del Caos Inarrestabile.
Stanchi, malconci, feriti eppure vincitori i due compagni trascinano il cadavere del licantropo fino alla capanna di Mudras, dove intanto Shamash ha fatto una scoperta interessante.

Fra i pochi effetti personali del replicante si trovano infatti alcune carte con un sigillo molto particolare, un sigillo che identifica gli agenti scelti del vicino Regno Di Nuova Igniger (12). Dalle carte emergerebbe che la creatura sarebbe stata mandata a Ponte Nuovo per creare dei disordini, disordini tanto gravi da spingere il piccolo ma strategicamente importante villaggio a chiedere l'aiuto del vicino avamposto regale - sancendone così la secessione dal granducato. La notizia sconvolge sia gli avventurieri che l'eremita, che anni fa scelse di ritirarsi in quella zona proprio in virtù della pace che vi regnava. Ma non c'è tempo da perdere, si avvicina il tramonto ed è prioritario che Quarion prepari quanto prima un decotto a base di belladonna per rimuovere la licantropia che affligge Nete e Mudras.
Il problema, però, è che questo preparato necessiterebbe di alcool, mentre nella capanna del vegliardo non c'è neppure una bottiglia di vinello. Preoccupata dalle ricadute estetiche del trasformarsi in una lupaccia pelosa, la contessina decide di sacrificare uno dei suoi profumi, quello che porta sempre con sé: è a base alcolica dopotutto. Per quanto non sia la base migliore, il mezz'elfo decide che se la farà andare bene; così le sue mani esperte selezionano e lavorano le parti della pianta necessarie a preparare la sostanza, che viene poi somministrata all'elfo e all'infernale; quest'ultima ne accusa particolarmente gli effetti, rimanendo pesantemente debilitata mentre il piccolo licantropo dentro di lei muore di morte sofferta.

Armati di ulteriore belladonna e della mazza d'argento, gli avventurieri decidono di arrischiarsi a tornare a Ponte Nuovo viaggiando anche dopo il calar del sole. Anche l'eremita viene con loro, preoccupato dalla piega che hanno preso gli eventi.
Ma quando tornano al villaggio trovano ad accoglierli una sorpresa amara: la guardia che il giorno precedente era stata ferita dal lupo, non appena è calato il sole, si è trasformata a sua volta in un licantropo. Il mostro è scappato dai suoi alloggi senza fortuitamente ferire nessuno, ma si sta ancora aggirando per la città mentre altre guardie, armate delle frecce d'argento forgiate per la contessina, lo stanno cercando per tutto l'abitato.
Spossati dalla fatica, Mudras e Nete trovano ricovero nella locanda, e Quarion approfitta degli alcolici lì presenti per creare nuove dosi di estratto di belladonna. Shamash invece si unisce a Rufio Salvi, che catene in mano sta cercando il lupo mannaro per ridurlo all'impotenza e cercare, se gli riesce, di guarire il giovane.

Dopo qualche tempo il dragonide trova le tracce del licantropo, che conducono dritte a un recinto di animali: la bestia è lì che fa strage di manzi. E qui ha inizio la sagra del virile corpo a corpo con il lupo, poiché il possente fabbro e il muscoloso dragonide si buttano a mani nude contro l'avversario, schivando strenuamente i suoi morsi e riuscendo dopo duro e sofferto scontro a immobilizzarlo a terra, dove viene prontamente legato e incatenato, il suo muso tenuto fermo da legacci. (13)
Quando poco prima dell'alba il borgomastro e gli avventurieri arrivano da loro, portando con sé la belladonna, trovano Shamash e Rufio che tengono il licantropo inchiodato a terra col proprio peso. E quando questi tramontata la scena riassume le sue fattezze umane si assiste alla non troppo bella scena di un uomo nudo legato come un salame con un poderoso lucertolone e un omaccione nero seduti su di lui. Anche al giovane viene somministrata la cura, ponendo così fine alla minaccia dei lupi che per quasi un mese ha attanagliato il pacifico villaggio di Ponte Nuovo.
E per i nostri è venuto il tempo di godersi un po' di meritato riposo.

Sempre ospiti a casa di Lucilio Corsi, che naturalmente dona definitivamente al gruppo la sua mazza in argento, gli avventurieri passano il tempo a meditare su quel che hanno appreso in questi frenetici giorni. Il guerriero in particolare trascorre molto tempo col fabbro, che ripara per lui l'armatura (non più) animata rinvenuta nella tomba di Lamisha mentre gli trasmette i rudimenti della sua arte. 
E, quando ormai gli Eroi Di Ponte Nuovo stanno per rimettersi in cammino, ecco che nel villaggio arriva un viaggiatore inaspettato: un altro dragonide, il primo della sua razza che Shamash ha potuto vedere da quando, anni prima, ha abbandonato gli Imperi Draconici posti nelle lontane terre oltre i deserti occidentali...


(1) lupi, preda. E' una battuta, ridere.

(2) con gran gioia dei suoi sanguinanti compagni d'avventura.

(3) ma paranoici molto, vi giuro. Ora come ora, se Caterina si rivelasse un avversario non ci sarebbe nessuna suspense, ma se non si rivelasse un avversario i giocatori penserebbero che così abbia stabilito perché ormai sgamato.

(4) aneddoto divertente. Mentre io pensavo a un nome elfico (=hindu in questa ambientazione) adeguato, un giocatore commenta come lui, dovendo far da master, la finisca sempre per usare come nomi dei PNG i nomi ribaltati di cose che ha sotto gli occhi. Ora, "Mudras" al contrario è "sardum". E i giocatori erano convintissimi che anch'io l'avessi inventato sul momento. ^^'
In realtà Mudras sarebbe un maschile a partire da Mudra, uomini e donna di poca fede.


(5) e qui il problema: io vorrei gli elfi barbuti, i giocatori forse no. Tocca discuterne.

(6) secondo la tradizione hindu la presenza di un asceta rende pacifiche le bestie selvagge; con lupi e agnelli che pascono assieme non si è inventato nulla.

(7) catfight!

(8) "Ti ucciderò e prenderò il tuo posto, nessuno piangerebbe la tua morte. Neppure la tua amante."
Impagabile la faccia della giocatrice.

(9) e questa, devo ammetterlo, è una rivelazione che attorno al tavolo da gioco è piaciuta molto assai.

(10) il giocatore di Shamash ha detto che, bene o male, se lo aspettava. Gli altri un po' meno. Però diamine:
- lupi che attaccano come se guidati da una mente razionale (ed essere invulnerabili ai loro morsi è il miglior modo per diventare il maschio alfa del branco);
- lupo intelligente invulnerabile alle armi comuni;
- master che sottolinea la presenza di armi d'argento;
- recinto dei cavalli dei banditi aperto e cavalli spolpati dai lupi...
... non vorrei dire, ma era volutamente palese. ^^'

(11) a volte sono i tiri di dado a tessere la storia.

(12) ho trovato un nome al regno da cui si è staccato il Granducato Di Aquavernalis. Nuova Igniger, in origine Nova Igniger, è il nome della capitale sorta sulle rovine dell'antica Ignis Niger, capitale dell'impero da cui la nobiltà degli infernali si oppose in passato alle orde del Caos Inarrestabile.

(13) anche qui i tiri di dado hanno generato un ridanciano carosello.

sabato 20 dicembre 2014

Componendo dopo un drink

Già da un po' di tempo, da qualche mese in effetti, è mia abitudine inserire nelle uscite del sabato sera una entusiasmante pausa alcolica a base di Long Island Iced Tea.
Un bel cambiamento, se penso che un anno fa ero un astemio fatto e finito. Com'è come non è, anche questo sabato che pure non posso uscir di casa causa faccende domestiche da portare a compimento ho deciso di inserire una piccola pausa alcolica, approfittandone per perfezionare un mio drink personale a base di rum e verificare che sì, il succo di mandarancio ci sta bene.

E, udite udite, nei primi minuti in cui l'imbecille che sono avendo bevuto a stomaco vuoto era un po' "giulivo" mi è venuto di che tirar fuori, per la prima volta da mesi, materia poetica.
Oddio, "materia". Qualche verso, ecco, è meglio dirla così. Qualche verso sulla cui qualità sono il primo ad avere dei dubbi, qualche verso buttato giù da allegro andante, qualche verso in cui uso in libertà metri belli chiusi ed esprimo, in sostanza, un ottimismo di fondo che è forse sempre mancato alle mie poesie passate.

Che la mia vena poetica fosse legata in ultima istanza al pessimismo?


Bevvi quel nettare, il giorno moriva.
Mi chiesi che cosa,
Cosa, che cosa è cambiato al di fuori
Di me? Non lo so, eppure adesso
Traggo dai giorni ogni bene che posso,
Amo il presente, ed accetto il passato.
Il domani nascerà dall'oggi.

giovedì 11 dicembre 2014

Croniche pentadiendiare: atto IV

La quarta sessione della nostra campagna di D&D 5^ edizione, purtroppo, è durata meno del previsto: complice un ritardo da parte mia, l'aver perso uno svincolo sulla statale e l'essermi poi affidato a un navigatore mal navigante ha fatto sì che si arrivasse un po' dopo quanto avevamo preventivato. Motivo per cui l'avventura non è giunta fino agli sviluppi che avevo previsto.
A parziale discolpa del mio ritardo posso dire che stavo cercando in casa la mappa che avevo realizzato alcuni mesi fa per l'ipotetica ambientazione pentadiendiara, che spero vivamente di riuscire a perfezionare e scannerizzare nei prossimi tempi.

Ma nonostante questo la giocata è piaciuta molto a tutti, tanto che già quando ci si salutava mi è stato intimato di scrivere quanto prima il seguente atto delle croniche.
Perciò eccomi qui.


ATTO IV


Abbiamo lasciato i nostri eroi reduci dalla ardua battaglia con il mezzo-ogre Clars Sei Dita, nel corso della quale il mezzelfo Quarion ha rischiato di lasciarci la pelle e per poco non andava allo stesso modo anche all'intrepido guerriero Shamash - come si sarà capito, alla contessina Nete invece non piace sporcarsi le mani. (1)
Il loro piano è quello di attaccare il covo dei banditi la mattina successiva, dopo essersi goduti una notte di riposo; le due guardie che già li hanno aiutati contro i due briganti saranno al loro fianco anche per questo scontro, e per quanto tutto ciò sia molto poco nobile è intenzione degli avventurieri usarli come vera e propria carne da macello. (2)

Come le notti precedenti vengono ospitati a casa del borgomastro, e costui ha una sorpresa per loro: forse sa dire qualcosa sul luogo in cui si nascondono i fuorilegge.
Stando a Lucilio Corsi i fatti risalgono a una trentina di anni or sono, ma è abbastanza certo che i briganti abbiano trovato rifugio in una grotta dove in passato alcuni nani del clan Konkabonna effettuarono dei rapidi scavi minerari. C'era la possibilità che la località contenesse una vena d'oro particolarmente puro, e dunque venne subito richiesta al regno una concessione mineraria per quell'area senza prima effettuare i dovuti controlli - dopo i quali di certo il prezzo della concessione sarebbe salito di molto. Purtroppo per i nani l'oro rinvenuto sul posto si rivelò ben presto essere il resto di qualche antico manufatto, dato che nella zona non si trovava alcun giacimento aurifero, motivo per cui il clan chiese invano alle autorità la revoca della concessione e la restituzione della cifra già versata.
Corsi non può fare a meno di notare che ci deve essere senz'altro questo precedente dietro ai recenti accordi minerari stretti fra i Konkabonna e il Granducato, ma la cosa più importante per gli avventurieri è un'altra: il borgomastro è in grado di dar loro un'idea generale di come dovrebbe essere strutturata la base dei banditi.

Salvo ulteriori - e altamente improbabili - lavori di riassestamento, dovrebbe trattarsi di una grotta molto particolare, creatasi all'interno di una collina molto scoscesa; la particolarità è che la collina sembra essersi formata attorno a due rocce enormi che formano un rudimentale arco in corrispondenza dell'ingresso della caverna. Quest'ultima ha una ampia apertura più o meno al centro, ed è stata allargata in diversi punti dai brevi scavi dei nani; ma la cosa più importante è che i minatori scavarono un cunicolo che attraversa la collina per la sua interezza, fornendo una vera e propria entrata secondaria per la grotta.

Messi sull'avviso da Lucilio, gli avventurieri decidono di mettere a punto un piano più elaborato del loro precedente intendimento - che suonava molto come "andiamo lì e ammazziamoli".
Così, dopo aver attraversato il Limeo ed essere entrati nelle vere e proprie terre di nessuno fra ducato e regno, i nostri non-tanto-eroi convincono le due guardie ad andare in avanscoperta, girando attorno alla collina dove si nascondono i banditi per sincerarsi sulla presenza di sentinelle all'ingresso secondario. (3)
Non passa molto tempo prima che una guardia ritorni, dicendo che per pura fortuna lui e il suo compare sono riusciti a scorgere qualcuno nascosto fra il fogliame proprio là dove dovrebbe esserci l'ingresso secondario. E' evidente che i briganti sono sul chi vive e sorvegliano entrambi gli ingressi, ed è giunto il momento che i nostri formulino una strategia d'attacco.
Gli avventurieri decidono quindi di separarsi: Nete e Quarion, assieme alla guardia rimasta di vedetta, passeranno dall'ingresso secondario, mentre l'altro miliziano di Ponte Nuovo accompagnerà Shamash all'ingresso principale. Se va tutto bene, pensano fra sé e sé i tre associati ("amici" è ancora una parola grossa), i banditi verranno presi fra due fuochi e li si potrebbe magari anche stanare col fumo, perché no.


Le cose, inutile dirlo, andranno diversamente da come previsto: nel piano originale lo stregone avrebbe dovuto addormentare la vedetta, ma né lui né la barda, pur con le indicazioni della guardia rimasta a controllare, riescono a vedere il bandito nascosto fra i cespugli. Solo quando il criminale scarica loro addosso la sua balestra i nostri capiscono dove si era nascosto, e solo in virtù degli incantesimi di armatura magica del mezz'elfo né lui né l'infernale vengono colpiti.
Senza andare troppo per il sottile, dunque, Quarion usa i suoi dardi di fuoco per attaccare il brigante, rivelatosi intanto essere un elfo, mentre Nete realizza che il suo pugnale è inutilizzabile a quella distanza. Così, mentre i due compagni si avvicinano al nemico, l'unica cosa che può fare è prendere la balestra dello stregone e cercare di rendersi utile con quella. Una volta accorciate le distanze, e grazie anche al supporto del miliziano, la vedetta viene eliminata. (4)
Frattanto il dragonide e l'altra guardia si stanno avvicinando furtivamente, per quanto possa essere furtivo un colosso in armatura, all'ingresso principale della caverna. Per loro sfortuna i banditi hanno disposto delle sentinelle anche in mezzo al bosco, come appare evidente come dalla cima di un albero un criminale scaglia un dardo di balestra contro Shamash; fortuna vuole che la sua armatura lo difenda dall'attacco, ma con un urlo della vedetta l'elemento sorpresa del gruppo va a farsi friggere definitivamente.
Purtroppo neppure il guerriero del gruppo ha delle armi utilizzabili a lunga gittata, e dunque è costretto ad avvicinarsi al nemico mentre già il miliziano lo colpisce con la propria balestra. Ma è il dragonide a infliggere il colpo decisivo, scagliando la sua accetta da lancio con tanta violenza da mandarla a piantarsi in mezzo al cranio del bandito, che casca rovinosamente a terra.

Gli eroi non hanno neanche il tempo di riprendere fiato che sopraggiungono altri nemici: due briganti appostati in cima alla collina attaccano Nete e Quarion, mentre Shamash ha appena il tempo di nascondersi fra la vegetazione prima che sopraggiungano altri due criminali.
Non altrettanto fortunata è la guardia che era al suo fianco: il tapino non trova nessun nascondiglio utile, e viene così colpito da un dardo avversario. Subito dopo, prima che il miliziano abbia il tempo di riprendersi, entrambi i fuorilegge lo colpiscono nuovamente con le loro balestre, e la situazione si fa critica.
Il dragonide preso da un impeto guerriero, abbandona il suo nascondiglio e si getta contro uno dei briganti che tuttavia riesce a eludere il suo martello da guerra. Il criminale lascia dunque andare la balestra e mette mano alla sua scimitarra, che tuttavia si abbatte inutilmente contro lo scudo di Shamash; anche la guardia ha fortuna, dato che l'ennesimo dardo di balestra, dopo che già tre quadrelli l'hanno ridotta in pessime condizioni, passa fischiando a qualche palmo dalla sua testa. Anzi, è il proiettile della sua arma a bere il sangue di uno dei nemici.
Ed è il momento che il guerriero stava aspettando: con tutta la rapidità di cui è capace, infatti, il nostro abbatte il brigante con cui era impegnato, per poi buttarsi rapidamente contro l'altro avversario e finirlo in pochi istanti - anche grazie al non indifferente apporto del povero miliziano, più morto che vivo ma ancora capace di mordere.
Frattanto lo stregone, la barda e la guardia al loro fianco portano avanti un fitto scambio di dardi, infuocati e non, con i due nemici in cima alla collina; anche uno di essi è un elfo, ma Quarion non si pone troppi problemi nel bersagliarlo coi suoi incantesimi. Forse è per dimostrare al mondo di non essere affatto razzista, forse è per vendicarsi del razzismo degli elfi nei confronti dei mezzosangue, chissà. In poco tempo uno dei nemici viene abbattuto, riuscendo a infliggere solo ferite di poco conto ai nostri.
L'altro, a questo punto, batte in ritirata dicendo che contro gli avventurieri lui e i suoi compari stanno morendo come mosche, ma il mezz'elfo ci tiene a precisare che nell'affrontare alcuni giorni prima uno sciame di mosche assetate di sangue ha incontrato maggiori difficoltà. In un modo o nell'altro la resistenza è stata abbattuta, e per i mercenari non proprio aspiranti eroi che costituiscono la compagnia è giunto il momento di intrufolarsi nella caverna, ben sapendo che ormai l'effetto sorpresa è andato a farsi friggere, così come i rognoni di cinghiale ai quali ancora anela il dragonide.


Ben vicini all'ingresso secondario, ma comunque timorosi di imbattersi in eventuali agguati, prima di mettervi piede Nete e Quarion scrutano con attenzione il cunicolo; esso è piuttosto contorto, e dunque non sono in grado di vedere fino in fondo, ma si accorgono fortuitamente dei triboli e delle sfere di metallo disposti sul fondo del corridoio: una trappola rozza ma efficace. Avendo individuato il pericolo sono però in grado di aggirarlo, e pur se a velocità ridotta si addentrano nella caverna; aspetteranno Shamash per dare l'attacco ai banditi superstiti.

Quest'ultimo, dato che i suoi compagni d'avventura ci hanno messo più tempo a liberarsi dei loro avversari, ha avuto tutto il tempo di congedare la guardia che era al suo fianco (provando prima a tamponarne le ferite, quindi suggerendo più saggiamente che andasse a farsi curare al villaggio) e dirigersi verso l'ingresso principale, quello con le due rupi scisse all'ingresso.
Cosa abbastanza sospetta, non c'è nessun nemico di guardia all'ingresso. Subodorando qualcosa, il guerriero si avvicina con circospezione e vede che in effetti a metà corridoio sono appostate due sentinelle armate di balestra.
Sebbene si sia fatto dare la lancia del miliziano, Shamash non dispone di armi da lancio in grado di colpire i nemici da quella distanza, e deve dunque avvicinarsi prima di poterli attaccare; avvicinamento che, saggiamente, decide di fare riparandosi dietro il suo scudo e rinunciando per una volta alla brutalità di una carica.
Mai scelta tattica fu più corretta: non solo il dragonide para col suo scudo gli attacchi dei nemici, ma ha così modo di accorgersi di un trabocchetto predisposto nel corridoio - una banalissima fossa nascosta, ma se vi fosse caduto dentro sarebbe stato alla mercé dei balestrieri. Sfortunatamente, quando è abbastanza vicino da passare al contrattacco il guerriero crea delle aperture nella propria difesa che i briganti sono lesti a sfruttare, colpendolo con le loro balestre; ma il sangue dei draghi scorre nelle sue vene dopotutto, e così con un soffio di gas velenoso egli ferisce i due nemici che già aveva colpito con la lancia e con una accetta.
Ben sapendo di dare il meglio di sé nel corpo a corpo, una volta finite le armi da getto Shamash salta oltre la fossa, ma avendo poco spazio a disposizione per atterrare non riesce a colpire nessun nemico col martello. Viene anzi colpito lui stesso, anche se non sono certo ferite di questo tipo ciò che impensierirà un soldato del suo calibro.
Lo scambio di colpi che segue è rapido e brutale: le scimitarre dei banditi non vengono maneggiate con la stessa perizia delle balestre, mentre il martello da guerra del dragonide reclama il suo tributo di sangue. La testa di un nemico viene letteralmente fracassata, mentre l'altro brigante fa l'errore di estendersi eccessivamente per portare un affondo di scimitarra, e paga l'aver appena scalfito la pelle dell'avventuriero col vedere il suo braccio maciullato da una martellata che lo riduce in fin di vita.

Ed è qui che i nostri peccano di superbia, è qui che si consuma il grande errore tattico che poi li porterà nella situazione più critica mai affrontata fino ad ora... ma andiamo con ordine.
Dei dodici banditi che dovrebbero esserci nel covo ne sono stati eliminati ben sette: rimangono solo Askar Sei Dita e quattro dei suoi sgherri, ma gli avventurieri sono divisi, possono contare sull'aiuto di un'unica guardia e soprattutto Shamash ha consumato buona parte delle sue energie. Sarebbe forse il momento di raggrupparsi di nuovo, magari riprendersi un momento e continuare a stringere d'assedio i nemici all'interno della loro caverna, spingerli a esporsi un poco alla volta...
... invece i nostri decidono di procedere come stabilito, entrando nella caverna dai due ingressi separati senza prima concordare una ulteriore strategia d'attacco: il "va' e spacca" scorre potente in loro.
Il dragonide è il primo ad arrivare, e riesce fortuitamente a vedere i nemici senza essere visto a sua volta; i cinque briganti sono asserragliati in un angolo della caverna, con vicino a loro un tavolo ingombro di pozioni d'ogni tipo.
Prima dell'arrivo dei suoi compagni ha così modo di osservare con cura la grotta; come aveva anticipato il borgomastro, sono presenti numerose nicchie più o meno profonde scavate in precedenza dai minatori nanici e più o meno in corrispondenza del centro della stanza il tetto è franato a terra. Non sono però più presenti detriti, mentre al contrario proprio in corrispondenza dell'apertura, da cui filtra il sole della tarda mattina, i banditi hanno costruito un focolare. Il resto della caverna è ingombro di contenitori, carretti e giacigli, il frutto di alcune settimane di razzia molto, molto proficue; ci sono anche gli ossi delle pecore rubate in precedenza, assieme a quelli di molti altri animali mangiati dalla banda.
Quel che sembra preoccupante è la quantità di fiasche e fialette che Askar ha di fronte a sé, pronte all'utilizzo; che si tratti del capo bandito è fuor di dubbio: indossa un'armatura tenuta meglio rispetto a quelle dei suoi uomini, ed è adorno di paccottiglia e chincaglieria varia. Sarebbe quasi un bell'uomo, con la carnagione e i capelli scuri fluenti sulle spalle, il naso aquilino e il corpo atletico e scattante, se non fosse per la palese deformità delle sei dita per mano.

Quando finalmente vede la barda e lo stregone far capolino dal cunicolo minerario il dragonide si prepara all'attacco, ed è una fortuna poiché i suoi due amici sono stati molto meno furtivi di lui e si son fatti scoprire subito. (5)Mentre Shamash, protetto dal suo scudo, avanza lentamente verso di loro ecco che scatta l'ultima resistenza dei banditi: Askar Sei Dita afferra un flacone dal tavolo vicino a lui e lo scaglia contro il dragonide, mentre i suoi scherani lo tempestano di quadrelli. Per fortuna dell'avventuriero egli riesce a parare la maggior parte degli attacchi, e anche il flacone si infrange innocuo sul suo scudo, depositandovi un liquido oleoso che prende immediatamente fuoco - innocuo sul metallo, alquanto pericoloso sulla carne!
Frattanto Quarion scatena un incantesimo di sonno contro i briganti, riuscendo ad addormentarne due; ma la natura del luogo, o forse una semplice fatalità, fa sì che la natura caotica dei suoi incantesimi si palesi con un effetto alquanto imprevisto: l'aria attorno a lui si riempie di... petali e farfalle. Sì, fra i raggi del sole che filtrano dal soffitto, riflessi sullo scudo metallico del guerriero in preda alle fiamme azzurre del fuoco alchemico, si spandono nell'aere mille farfalle e petali colorati. Una scena idilliaca e quasi soprannaturale che per un attimo interrompe il canto delle armi.
Un attimo molto breve, poiché subito la corda della balestra impugnata da Nete pone termine alla fascinazione dell'istante, scagliando un dardo della sua balestra contro il capo dei furfanti.
Il guerriero, frattanto, si avvicina ai banditi fino a distanza da corpo a corpo, e riesce fortuitamente a evitare una trappola analoga a quella che era stata predisposta presso l'ingresso secondario della grotta: triboli e sfere di metallo, che l'avrebbero di certo fatto cadere a terra. Accortosi della minaccia traballa un poco, ma evita di scivolare rovinosamente a terra e anzi approfitta dello slancio (e della rabbia per un trucchetto tanto banale da parte dei nemici) per tirare una sonora martellata contro Askar.
Il brigante, vista la situazione, impugna rapidamente le sue armi da mischia, una scimitarra e un pugnale, e fa piovere sul povero Shamash una tempesta di fendenti che lo lascia rapidamente a terra. La roccia inarrestabile del gruppo, il poderoso guerriero di due metri d'altezza per un quintale e mezzo di muscoli, giace a terra privo di sensi. E i suoi compagni d'avventura iniziano ad avere un po' paura, mentre gli altri banditi li bersagliano con le loro balestre.
Quarion concentra quasi tutte le sue energie mistiche residue per scatenare un incantesimo di sonno, che addormenta i due sgherri ancora in piedi, ma a Nete non va altrettanto bene: Askar Sei Dita, infatti, resiste al suo incantesimo di ammaliamento e, per quanto privato del supporto dei suoi uomini, sembra perfettamente in grado di uccidere la barda e lo stregone.
Proprio allora, però, ecco arrivare l'altra guardia che aveva accompagnato i nostri, rimasta indietro a controllare che non ci fossero altri nemici nei paraggi (6), ed ecco che con la sua balestra riesce a ferire il capobanda.
A questo punto il perfido brigante fa la sua mossa: appoggia la scimitarra al collo di Shamash e fa sapere agli avventurieri che se non deporranno subito le armi non esiterà a uccidere il loro compagno.

La situazione si fa decisamente complicata per i nostri; ma, mentre il dragonide sanguina lentamente sul pavimento della grotta, l'infernale e il mezz'elfo realizzano che Clars, il fratello di Askar, è in mano loro. La situazione è complicata, ma non disperata forse.
Ha quindi inizio una vera e propria contrattazione. L'idea di Nete e Quarion sarebbe quella di liberare il mezzo-ogre se verrà loro consegnato il loro compagno, ma abbastanza logicamente il brigante non vuole rinunciare all'ostaggio prima di aver riavuto suo fratello. Semmai, si domanda quanto poco vengano pagati gli avventurieri e se davvero valga la pena di rischiare così tanto per un pugno di monete d'oro.
Ovviamente, il miliziano di Ponte Nuovo non è per niente d'accordo con queste contrattazioni, anche se si trattiene dall'attaccare. Askar propone con tutta calma la possibilità di uccidere il miliziano e liberare Clars come una comoda via d'uscita, e in effetti i due per-niente-eroi sono tentati di assecondarlo, quantomeno nella parte relativa all'uccidere la guardia per poi elaborare un altro piano; provare a lanciare un secondo incantesimo di ammaliamento, è chiaro, sancirebbe la morte dell'ostaggio.
Frattanto però la tempra d'acciaio del dragonide, o forse la mano pietosa di una divinità, fa sì che Shamash si riprenda mentre è in corso tale negoziato. (7) Il capobanda si accorge della cosa, ma il guerriero è comunque a terra alla sua mercé e dunque egli continua a parlare con una calma quasi snervante.
Solo lo stregone sembra aver realizzato quale era il suo piano: perché a forza di parlare vien meno il sonno magico in cui erano precipitati gli altri banditi, e gli avventurieri si trovano nuovamente in inferiorità numerica. (8)
Ancora rintronato per la perdita di sangue, ma stupito nel vedere i suoi compagni parlamentare anziché andarci giù pesanti con le mazzate, Shamash rompe gli indugi e sembra quasi ergersi a emblema dell'o la va o la spacca mentre, incurante della scimitarra di Askar, si rialza e tenta di afferrare il capo brigante. La fortuna aiuta gli audaci, come sembra, perché il nostro riesce a schivare la lama del nemico mentre quest'ultimo non riesce a svicolarsi dalla sua presa. Così, tenendo fermo il nemico, il guerriero chiede di essere informato su cosa accidenti sta accadendo, perché si sta parlando anziché prendersi a botte, quali sono stati gli sviluppi e perché deve fare tutto lui.
Il negoziato riprende, anche se ora il possibile ostaggio non è più tanto innocuo come prima - né, del resto, l'altra parte in causa è più così disperata.
"Sei Dita" vorrebbe a questo punto un nuovo ostaggio, magari la bella infernale che non perde occasione per insultare lui e sua madre - sulla cui "serietà" è peraltro lui il primo a non avere dubbi, piuttosto certezze negative. Il dragonide non ci sta e preferisce essere lui l'eventuale prigioniero da scambiare con Clars il mezzo-ogre, ma di liberare il bandito già catturato il miliziano di Ponte Nuovo proprio non vuole saperne.

Ed è così che, con la massima tranquillità di questo mondo, Askar ordina ai suoi uomini di uccidere quel fastidioso rompiscatole che si mette di mezzo fra lui e i suoi scopi. Le corde delle balestre scattano e due quadrelli si conficcano nel corpo del miserabile, fedele combattente.
Ma qui, come si suol dire, Shamash non ci sta più e butta a terra il brigante con tutta la rabbia di cui è capace, bloccandolo contro la fredda pietra del suolo. Questi prova inutilmente a liberarsi, mentre i suoi sgherri finiscono il povero miliziano che voleva solo non venire meno al suo dovere. La tensione è palpabile, il pericolo di restarci secchi è qualcosa che gli avventurieri iniziano a sentire nell'aria, e così Nete sacrifica le sue ultime energie mistiche per curare il guerriero: qualunque cosa accada, non verranno uccisi senza lottare! Quarion, dal canto suo, scatena i propri dardi di fuoco contro i briganti.
Il dragonide, tentando il tutto per tutto, lascia andare il nemico e raccoglie il suo fido martello da guerra; lo impugna con entrambe le mani e fa calare un colpo tremendo sul nemico ancora a terra, che riesce a malapena a rialzarsi e tentare un vano fendente contro il suo avversario.
Mentre ancora gli incantesimi dello stregone continuano a fare cilecca la barda si posizione nelle vicinanze dei nemici e, con un prodigioso acuto, scatena una magica onda di tuono che travolge gli avversari; due di loro vengono colpiti in pieno, mentre gli altri riescono bene o male ad attutire il colpo, ma l'effetto più devastante si ha sul tavolo di legno dove erano poggiate tutte le pozioni e fiale alchemiche di Askar.

Questi riesce a schivare i getti alchemici, ma i suoi uomini non sono altrettanto fortunati, né lo è Shamash; per colmo di sfortuna nessuno di loro viene colpito da una pozione benefica, ma solo da sostanze nocive: un bandito muore sul momento, le carni consumate da un potente preparato caustico, mentre un altro prende letteralmente fuoco a causa di un getto di olio combustibile che si infiamma subito appena entra in contatto con l'aria. Lo stesso destino tocca al dragonide, che tuttavia non si perde d'animo e anzi attua un piano veramente disperato: si butta addosso al capobanda, uscito miracolosamente illeso dalla pioggia di schizzi alchemici, inchiodandolo al suolo e spargendo anche su di lui il fuoco alchemico che sta divorando le sue carni.

Con questo semplice gesto suicida, inutile dirlo, Shamash ribalta le sorti dello scontro; contribuisce anche il fatto che, fra i dardi di fuoco di Quarion e le stoccate - verbali e non - di Nete, anche gli altri banditi vengano rapidamente sconfitti uno dopo l'altro. E quando poi il dolore provocato dal fuoco alchemico ha la meglio sulla tempra del guerriero, che sviene nuovamente per le numerose ferite, Askar Sei Dita si trova comunque bloccato a terra sotto quasi due quintali di ossa, carne, scaglie e armatura: è solo con un grande sforzo che riesce a liberarsi dal peso dell'avventuriero sopra di lui.
Mentre il mezz'elfo corre a spegnere le fiamme che ancora ardono sopra il dragonide, onde salvare l'eroico compagno, la contessina abbandona i ben poco pericolosi sgherri per concentrarsi sul capo dei banditi, che si trova a terra e non è in grado di difendersi a dovere.
In pochi istanti quella che sembrava l'ultima battaglia dei nostri diventa forse la più grande delle loro vittorie fino a ore: l'ultimo brigante superstite depone le armi e si arrende quando vede Nete ridurre all'incoscienza il suo capo, che ancora si rotolava per terra onde spegnere le fiamme delle sue stesse fiale alchemiche. La barda ha la possibilità di trafiggerlo in gola, ma preferisce piuttosto dargli un violento colpo di pomolo e un pestone di tacco nelle parti basse: prima di vederlo morto vuole sapere tutto ciò che Askar ha da dire.

In poco tempo i due banditi ancora in vita vengono legati come salami, mentre Quarion fascia le numerose ferite di Shamash, e il gruppo si gode l'ora di meritato riposo che forse avrebbe fatto meglio a prendersi prima di entrare nella caverna. Quando poi anche il guerriero si riprende, aiutato in questo dalle musiche soavi suonate dalla barda, viene il momento più dolce per degli avventurieri: appropriarsi di tutte le ricchezze che si trovano nella grotta. Non c'è neppure bisogno di cercarle, poiché il brigante che si è arreso, pur di avere salva la vita, è pronto a indicare tutti i posti in cui si nasconde qualcosa.

Alla fine i nostri si ritrovano in mano un gruzzoletto di monete d'ogni tipo, e un gruzzoletto di tutto rispetto. Vengono anche trovati alcuni scrigni e alcune sacche, contenenti i frutti delle diverse razzie: abiti e tessuti in seta, profumi, pozioni di cura e preparati alchemici, spezie di varia natura, sale, lingotti di ferro e d'oro - più ovviamente tutta la chincaglieria che il capobanda aveva indosso. Gli avventurieri provano una sorta di sordido piacere nell'appropriarsi di tutte queste ricchezze, che certo non potranno venire restituite ai legittimi proprietari, ormai morti.
Si pone però il problema del trasporto di tutte queste ricchezze, ma ancora una volta il prigioniero è pronto a collaborare: non solo nel rifugio ci sono alcuni carri razziati alle vittime dei banditi, ma in una grotta poco distante sono nascosti anche sette cavalli. Il bandito accompagnerà lì gli "eroi", purché questi gli permettano di prendersi un cavallo e scappare quanto più lontano possibile in direzione del regno.
Dopo un breve consulto, gli avventurieri decidono di assecondare in parte il suo desiderio: gli lasceranno effettivamente montare un cavallo per scappare lontano, ma lo metteranno in sella legato come un salame - dopotutto è un criminale, ladro e assassino. (9)
Nete e Quarion caricano le ricchezze su uno dei carri, mentre Shamash si reca col brigante là dove si trovano i cavalli.
Durante il tragitto il furfante spiega al guerriero come, per proteggere i cavalli, lui e i suoi abbiano costruito una parete in legno attorno alla caverna; se quel giorno non c'era nessuno di guardia ai cavalli è accaduto solo perché Askar, non vedendo tornare il fratello, ha subodorato un attacco e richiamato tutti i suoi uomini. (10)
Ed è enorme lo sconcerto del bandito, come la sorpresa del dragonide, nel vedere che l'ingresso della grotta è stato aperto da mani umane: all'interno di essa vi sono solo i resti parzialmente divorati di alcuni cavalli, mentre altri sembrano essere scappati in preda al terrore. Niente cavalli niente accordo: il brigante verrà consegnato alle autorità di Ponte Nuovo.

Ed è con una certa dose di fatica e sudore che, caricati sul carretto anche il capobanda e il cadavere della guardia, Shamash trasporta tutto il carico fino al villaggio mentre i suoi meno vigorosi compagni battono sostanzialmente la fiacca.
Qui i nostri vengono accolti dalle autorità cittadine e da un piccolo manipolo di curiosi, dai quali subito si staccano gli anziani genitori del miliziano deceduto. Per quanto ciò non basti certo a frenare le lacrime, il guerriero dice loro che il figlio è morto da eroe, e per quanto questo non possa certo ripagarli di quanto accaduto dona loro 10 monete d'oro di sua tasca. (11)
Anche Nete vuole fare la sua parte, donando un sacchetto di monete (di rame, eh!) ai poveri coniugi, e come da patti la guardia superstite, giunta frattanto a Ponte Nuovo per farsi medicare le ferite, viene ricompensata con 5 pezzi d'oro.
Subito i due banditi vengono incarcerati nell'ormai molto affollata prigione cittadina, mentre gli avventurieri che hanno sventato la minaccia dei briganti reclamano a gran voce una sola cosa: un banchetto a base di cinghiale.
Lucilio Corsi però rammenta che Marisa Fogliarossa è ancora dispersa, e che forse festeggiare non sarebbe rispettoso nei confronti di Atarasso. Ed ecco che Askar Sei Dita scioglie la lingua e, sperando che questa informazione possa valergli una pena più mite, dice che la notte del rapimento una delle sue vedette elfiche vide qualcosa di interessante: una sagoma alata si allontanava in volo in direzione nord-est, forse trasportando qualcosa - o qualcuno.
In direzione nord-est, ragionano gli avventurieri, si trova la capitale del ducato, Aquavernalis. Ed è proprio in direzione di Aquavernalis che loro hanno intenzione di muoversi. Perciò hanno buone possibilità di rintracciare la giovane rapita lungo il tragitto - anche se fra sé e sé pensano che sia stata portata nelle rovine dove Agarrex vincolò Lamisha secoli or sono.
Sia quel che sia, c'è di che festeggiare, e finalmente il dragonide può godersi il cinghiale che tanto bramava.


Al banchetto prendono parte, oltre agli avventurieri e alle autorità cittadine, alcuni notabili del villaggio: guardie anziane, fattori e allevatori importanti, cacciatori rinomati... pesa ma è comprensibile l'assenza di Atarasso e della moglie, mentre invece la loro figlia Caterina si presenta anche se da sola al festeggiamento.
La cosa insospettisce alquanto gli avventurieri, e Nete riesce a raccogliere in giro alcune voci: questa era effettivamente gelosa della sorella minore Marisa, che crescendo era diventata più bella di lei, ma questa gelosia non l'avrebbe mai spinta ad alcun gesto estremo. Sta di fatto che a fine pasto, dopo che Shamash ha potuto apprezzare i vantaggi di un piatto cucinato come si deve anziché posto direttamente ad arrostire sul fuoco e tanti saluti, Caterina Fogliarossa si avvicina ai nostri e, dopo averli omaggiati per le loro imprese, dopo aver detto che è convinta stiano facendo tutto il possibile per rintracciare la sua sorellina, si offre a Quarion per la notte. Ma l'affascinante mezz'elfo, pur sempre un solitario eremita nel midollo, la rifiuta - con gran gioia dell'infernale, perché la nostra contessina omosessuale proprio non ci stava ad essere completamente ignorata dalla affascinante figlia del locandiere. (12)

Il mattino dopo i nostri vengono subito ricevuti da Lucilio Corsi, nella cui villa si è dopotutto tenuto il banchetto, che li informa di un problema sovvenuto: con un po' di scartoffie sarebbe possibile eliminare subito i due fratelli Sei Dita e pagare le taglie con i soldi delle imposte dovute al Granduca, ma il villaggio non può permettersi di mantenerli in galera e averli lì è dopotutto un rischio troppo grande. D'altro canto a Ponte Nuovo non c'è nessuno con l'autorità per ordinare un'esecuzione, e paradossalmente l'avamposto militare più vicino si trova oltre il Limeo, nelle terre del regno. Ma ecco che Nete ha la soluzione per uscire dall'impasse: dopotutto lei è una nobile del granducato, può essere lei ad apporre il suo sigillo sull'atto di esecuzione dei due briganti. Tuttavia non vuole eliminare Askar, non ancora: prima vuole farlo parlare, specialmente riguardo allo strano amuleto che portava al collo, una catena d'oro da cui pende un grosso onice lavorato a forma di zoccolo di capro.

L'interrogatorio in cella non offre però grosse soddisfazioni: il bandito non è collaborativo, è sfacciato e irriverente, e tutto ciò che rivela lo dice solo per dissuadere gli avventurieri dall'eliminare lui e suo fratello Clars. Tuttavia, le informazioni che rivela gettano nuova luce sulla sua famiglia, poiché sua madre sarebbe una delle progenie di Graz'zt, l'immondo arcidemone della lussuria, il corruttore che sparge il suo seme nel mondo per portare nuovamente in esso il Caos e la distruzione. Graz'zt Dalle Sei Dita.
Ma, ragionano i nostri, è altamente improbabile che un signore dei demoni si scomodi per la morte di due suoi nipoti, e d'altro canto fino a che i banditi saranno in vita ci sarà il rischio che qualcuno provi a liberarli. Né, infine, Askar ha da offrire altre utili informazioni su quanto accaduto a Marisa. Anzi, prova in tutti i modi a farsi restituire il suo amuleto, un amuleto che a un'ispezione magica si rivela essere probabilmente un fulcro catalizzatore per permettergli di contattare qualcuno: serpente fino all'ultimo.
E' con soddisfazione che la contessina firma l'atto di esecuzione per entrambi i fratelli Sei Dita, apponendovi in calce il sigillo del suo casato.

Così, al tramonto, due cappi vengono appesi a due alberi sufficientemente alti e robusti: i criminali, nel granducato, vengono uccisi mediante impiccagione. Shamash, che si era offerto di ucciderli secondo la prassi delle sue terre - negli Imperi Draconici i criminali e i prigionieri vengono divorati vivi dai Sovrani Draghi -, svolge il ruolo di boia. Mentre i barili su cui erano poggiati i due briganti rotolano a terra, mentre la folla trattiene il respiro, ecco che risuona dal limitare del bosco un lungo ululato...





Devo ammettere che a un certo punto ho veramente temuto per i PG, ma sono riusciti a cavarsela anche quando la situazione era davvero molto critica. Di certo i giocatori hanno imparato a usare un po' più di umiltà. Abbiamo avuto alcune incertezze regolistiche, ma poco a poco si stanno risolvendo. Il gioco piace, specialmente perché con la sua semplicità permette una libertà d'azione niente male.

(1) poi ha un lessico da scaricatore di porto che lavora part-time ai mercati generali della frutta, ma questo penso che sia legato alla giocatrice.

(2) qui, temo, la colpa è in parte anche mia: nel precedente combattimento, infatti, i punti esperienza ottenuti sono stati divisi tra i 3 PG e i 2 PNG che li accompagnavano, le guardie. Nella sessione di lunedì quindi ho ignorato da questo punto di vista i PNG, il cui apporto è stato tutto sommato ridotto, ma è chiaro che urge trovare una soluzione a riguardo; urge che mi arrivi a casa la guida del master, in sostanza.

(3) e questo è quel che succede quando nel gruppo ci sono due abili diplomatici ma nessun esploratore decente.

(4) un tipico caso di situazione dettata dai dadi: tiri alti e bassi hanno influenzato notevolmente l'andamento di questa partita, in effetti. Il che è in linea con la 5^ edizione forse: più basso è il livello, maggiore è l'impatto della casualità. In ogni caso, i giocatori hanno fatto un uso improprio di un bambino di pochi mesi per ricaricare la fortuna dei dadi, ecco.

(5) sì, il personaggio con il bonus minore alle prove di Furtività è stato il più furtivo della partita.

(6) capita anche ai migliori master di dimenticarsi di un PNG talvolta. Figuratevi a me.

(7) potenze del 20.

(8) sarà che l'ho pensato io il piano di Askar Sei Dita, ma era *palese* che puntasse a qualcosa di simile. E, d'altro canto, fingendo di deporre le armi la barda e lo stregone non avrebbero perso molto della loro efficacia: anzi, fingendo di arrendersi Nete avrebbe potuto curare Shamash e i personaggi si sarebbero trovati in vantaggio avendo ancora a disposizione numerosi round di combattimento per sconfiggere il nemico prima che i suoi briganti si svegliassero. Nondimeno sono riusciti a uscirne vincitori anche così, e anzi le loro scelte più impulsive e concitate sono sembrate più "vere": è difficile pensare a mente fredda a caldo.

(9) l'idea è venuta al giocatore del guerriero, che abitualmente gioca un ranger; inutile dire che gli ho sottolineato quanto questa fosse una tipica scelta alla Tex Willer: ranger  per una volta, ranger per sempre.

(10) confessione da master: i cavalli in origine dovevano essere nella caverna dei banditi; me ne sono dimenticato. E ho risolto in extremis, inserendo però anche un interessante aggancio.

(11) estremo patetismo messo in scena dal sottoscritto. Lo ammetto.

(12) notevole come il giocatore di Shamash, quello che più a lungo mi ha avuto come master, abbia sottolineato come *mai* nelle mie avventure ci si debba fidare di una procace fanciulla. Sono così prevedibile?

sabato 6 dicembre 2014

Croniche pentadiendiare: pantheon dell'ambientazione di gioco

Se va tutto bene, entro 1-2 sessioni, 3 al massimo, i personaggi della mia campagna di D&D dovranno avere a che fare con l'ambiente sacerdotale, il che vale a dire: devo sbrigarmi a mettere su carta o quantomeno su file i nomi delle varie divinità che da tempo mi frullano in testa.


Le divinità, badate bene, non i nomi. Alla fine, per questi ultimi, mi sono deciso a fare una cosa molto semplice ma d'effetto: unire un termine sanscrito col suo corrispettivo (più o meno, eh!) greco, tirando fuori dei nomi tutto sommato interessanti.
Inoltre, dato che nella mia ambientazione l'elfico corrisponde al sanscrito e in qualche modo ci ficcherò dentro anche il greco (forse come elfico moderno? Uhm, la cosa è allettante), i nomi avranno un loro perché.

E così ecco le descrizioni degli dei che userò nella mia ambientazione, quella che ruota attorno all'Arciducato Di Aquavernalis. Ho premesso un breve testo introduttivo, dal quale trapelano alcuni aspetti della ambientazione e della storia pregressa che ho in mente (oltre che le fonti di ispirazione a riguardo, Legacy of Kain e romanzi di Moorcock su tutte).
Ci sono anche alcune note interessanti riguardo alle classi dei personaggi, note che in seguito spero di poter espandere meglio.
Per ogni divinità ho fornito un allineamento, tenendo a mente una cosa: non appena mi arriverà la Guida Del Dungeon Master inizierò a giocare senza gli allineamenti, che d'altro canto ora sono finalmente qualcosa di molto meno stringente che non nei passati D&D. Perciò prendeteli, anche qui, come linee guida: un dio buono non sarà buono e stupido, e anche un dio malvagio potrà essere benevolo di tanto in tanto.



Introduzione

La storia del mondo, dicono i saggi, è scandita dai Cicli Divini: ogniqualvolta il precario equilibrio fra Legge e Caos su cui si regge l'esistente viene posto in crisi, scatenando il predominio incontrastato di una delle due forze e ponendo fine a un pantheon, è destino che sorgano nuove figure di dei a ripristinare tale equilibrio.
Gli dei, dicono i teologi, sono e sono sempre stati unicamente nove, poiché nove sono le costanti del mondo di cui essi diventano guardiani e incarnazioni, proteggendole con il proprio potere mentre da esse stesse traggono forza. Ed è qui che sta la vera differenza fra i veri dei e le innumerevoli figure adorate da idolatri di varia razza e natura: un dio esiste di per se stesso, mentre invece tali idoli esistono solo in funzione dell'adorazione ricevuta, i poteri dei loro sedicenti miracolanti nulla più che poteri intrinsechi del mondo interpretati come doni divini.
Se un dio dovesse sopravvivere a se stesso, evitando il deicidio che necessariamente segue al venir meno dell'equilibrio, pure egli smetterebbe di essere una divinità: conserverebbe certo poteri e seguaci, poteri e seguaci ben superiori a quelli di qualsivoglia mortale o immortale, potrebbe perfino avere i suoi miracolanti, ma non sarebbe più collegato all'essenza dell'esistente, non sarebbe più uno degli dei. Tale, si dice, è stato il destino delle divinità draconiche sopravvissute all'Era del Caos Inarrestabile, e secondo alcuni studiosi alcuni dei sarebbero sopravvissuti perfino agli sconvolgimenti dell'Era della Legge Imperante.

I Nove Dei attuali appartenevano in origine alle diverse razze mortali, e alcuni di loro furono grandi sovrani e guerrieri; ma è molto difficile ora, a cinque secoli di distanza dall'Ascensione, distinguere la verità dalla leggenda: qualsiasi piccolo villaggio che risalga ai periodi antichi ha il suo memento, il luogo in cui sostiene che una divinità abbia sostato o compiuto qualche atto grandioso quando ancora camminava mortale fra i mortali.
La Chiesa Dei Celesti è l'ordine religioso in cui ben presto si costituirono i seguaci degli ascesi, e almeno in origine era guidata esclusivamente dai loro miracolanti; col trascorrere delle generazioni però la chiesa divenne sempre più una struttura di potere e sempre meno una organizzazione devozionale, e allo stato attuale delle cose sono pochissimi i miracolanti che appartengono all'ordine. Piuttosto, la Chiesa Dei Celesti fa largo uso di coristi, individui addestrati a compiere parvenze di miracoli cantando gli inni sacri dei Nove Dei.


Khamouranos
Il Dio Del Cielo, il Padre Celeste, il Sovrano
Allineamento: Legale Buono Domini: Guerra, Luce, Tempesta Simbolo: un rombo inscritto in un cerchio

“Che il Padre Celeste ti fulmini, te e tutti i briganti del tuo calibro!”

Khamouranos è uno degli dei più riveriti, poiché sotto la sua egida sono posti i sovrani, la legge e gli eserciti. Egli è il simbolo dell'autorità giusta, l'autorità che protegge e punisce con discernimento e senza operare discriminazioni né compiere ingiustizie.
Si dice che in origine fosse un umano, ma i nani sono pronti a giurare che appartenesse alla loro schiatta, e oggidì è difficile capire quale delle due parti in causa abbia ragione. Ogni sovrano è nominalmente un suo adepto, così come sotto la sua protezione i devoni compiono ogni atto di governo. Egli viene anche invocato dalla gente comune in bisogno di giustizia, e si ritiene che dall'alto del cielo da cui trae il suo potere egli veda ogni gesto e ogni misfatto dei mortali, dispensando premi e punizioni secondo i tempi della legge divina.

Samudrahals
Il Dio Del Mare, il Benevolo, il Signore Delle Correnti
Allineamento: Neutrale Buono Domini: Natura, Tempesta, Vita Simbolo: tre onde marine stilizzate

“Da cosa ci protegge il Benevolo? Figliolo, hai mai sentito parlare degli orrori che si annidano negli abissi marini?”

Nessuno è devoto a un dio quanto i marinai sono devoti a Samudrahals, poiché il Signore Delle Correnti assiste e protegge quanti si trovano per mare, guida le loro navi in porti sicuri e tiene lontani i mostri inumani nascosti nei fondali più oscuri. Se con l'alto numero di pericoli che si corrono durante una navigazione la maggior parte delle navi raggiunge la propria meta è soprattutto grazie al Benevolo, o almeno così dicono i marinai più saggi e meno tracotanti: poiché chi ripone la propria fede solo nella propria ciurma scoprirà ben presto che contro una tempesta non c'è nulla che anche il miglior marinaio possa fare.
Le razze marine adorano parimenti Samudrahals, come fanno quanti vivono in località costiere. Si ritiene che anche i fiumi e i laghi, le cui acque finiscono prima o poi per confluire nel mare, siano poste sotto il suo controllo e la sua potestà. Ed è dall'acqua che nasce la vita.

Chandraselasna
La Dea Luna, la Vergine D'Avorio, la Madre Luna, la Megera Della Falce
Allineamento: Caotico Buono Domini: Inganno, Luce Simbolo: un cerchio o una falce di luna

“Radiosa Madre Luna, benedici il nostro amore, prediletta del Sole.”

La Dea Luna è una delle divinità più poliedriche e volubili, ma anche una delle più adorate. Come Vergine D'Avorio è la protettrice delle donne, la guardiana delle fanciulle e dei loro sentimenti puri e innocenti; come Madre Luna è colei che benedice matrimoni e unioni, colei che facilita il travaglio e lo rende facile come il suo sorgere ogni mese; come Megera Della Falce, infine, è la maestra della magia, l'ingannatrice suprema che trae diletto dai scherzi e facezie.
Si dice che tutti gli dei siano stati in passato i suoi amanti, per questo è a lei che gli innamorati levano le proprie preghiere.

Rakshaphylax
Il Custode Dell'Oltretomba, il Paziente, il Guardiano Dei Defunti
Allineamento: Legale Neutrale Domini: Conoscenza, Morte Simbolo: un teschio umanoide

“Ogni essere andrà a morte, perfino gli dei vengono abbattuti dai fati. La morte fa parte dell'ordine naturale delle cose, non c'è malvagità o perfidia nel Custode dell'Oltretomba.”

Ogni uomo deve morire, questa è una verità assoluta. Perfino i draghi e i giganti, che sono potenti, col passare dei secoli vanno incontro a questo destino. La morte è necessaria affinché una nuova vita possa fiorire, e gli spiriti dei morti devono essere accompagnati all'oltretomba in modo che né siano loro un pericolo per i mortali, né le mille insidie soprannaturali che si annidano negli angoli più oscuri dell'esistente possano rapire e pervertire le anime dei deceduti.
Sotto la guida di Rakshaphylax gli spiriti dei morti si purificano per le loro successive vite e incarnazioni, ed egli è un guardiano inflessibile ma giusto: ha ben poca tolleranza per le perversioni non morte, se non quando il loro utilizzo è funzionale a scopi più alti. Egli tuttavia non punisce le malvagità, né ripaga le buone azioni; altri dei si occupano di ciò, egli è semplicemente il Custode Dell'Oltretomba.

Munisophron
Il Dio Dell'Equilibrio, l'Osservatore, il Saggio
Allineamento: Neutrale Domini: Conoscenza Simbolo: un occhio stilizzato

“Dice il Saggio: siamo tutti legati ai cicli dell'Equilibrio Cosmico, ciò che accadde accadrà.”

Ben pochi fra la gente comune riveriscono Munisophron, eppure ogni studioso si considera in qualche modo un adepto del Dio Dell'Equilibrio. Suo è il compito di vigilare affinché né la Legge né iL Caos assumano anzitempo un ruolo preponderante, ma sempre suo sarà il dovere di porre termine alla propria esistenza quando un nuovo ciclo divino dovrà compiersi; come è accaduto in passato così accadrà di nuovo.
Nel frattempo, l'Osservatore resta il patrono prediletto da quanti si approcciano con distacco al sapere per il sapere, il nume tutelare di molti maghi e il dio in nome del quale molti asceti elfici compiono i propri rituali. I suoi miracolanti e sacerdoti hanno un'aura di serafico distacco attorno a loro, che spesso contribuisce ad allontanarli dalla gente comune.

Bhughea
La Madre Terra, Madre Natura, la Vergine Dei Boschi, la Spietata Vegliarda
Allineamento: Caotico Neutrale Domini: Natura, Vita Simbolo: una circonferenza con il segno di quattro artigli

“Madre Natura regola i cicli di vita e nascita, ma senza benevolenza e spietatezza; che una razza prosperi o si estingua per lei è indifferente: i nostri piccoli drammi sono nulla per lei.”

La natura non è fatta a misura d'uomo, né in funzione di qualsivoglia altro vivente; questo è l'insegnamento fondamentale di Bhughea, l'indifferente Madre Natura. Ella è la signora della fertilità e dei campi come delle bestie selvagge, invocata e nel contempo temuta poiché le sue leggi non conoscono né benevolenza né indulgenza. Come Vergine Dei Boschi è la dea dei cacciatori e delle prede, e dei cacciatori che diventano prede, mentre nel suo aspetto di Spietata Vegliarda è colei che porta la vita a compimento con tutti quei morbi e afflizioni che della vita stessa sono parte.
Le vie di Madre Natura vanno comprese e accettate, sapendo che la propria condanna a morte è sancita col primo vagito, avendo coscienza di come gioia e dolore siano parimenti ineluttabili.

Suryahelios
Il Dio Del Sole, il Punitore, il Dispensatore Di Vita E Morte
Allineamento: Legale Malvagio Domini: Luce, Morte, Vita Simbolo: una circonferenza raggiata

“Il sole alimenta la vita, ma è rapido a dare la morte. I doni del Punitore possono essere letali.”

Si dice che prima dell'Ascensione Suryahelios fosse un umano originario delle desertiche zone vicine all'estremo nord, e in effetti per un abitante delle regioni più fredde sarebbe difficile interiorizzare la violenza che può significare in certi climi l'esposizione al sole.
Esso, in un certo senso, è di per sé un grande sovrano inflessibile: senza di esso la vita non potrebbe esserci, ma nel contempo può opprimere i mortali e le piante fino a strappare da essi ogni vita. Va sempre onorato, e sempre bisogna tenerne conto, poiché grandi sono i suoi doni; devono essere i viventi ad adattarsi al sole, poiché il Dispensatore Di Vita E Morte mai verrà loro incontro.
Tale è la via di Suryahelios, e tale è il motivo per cui viene adorato e riverito in numerosi riti dalle più disparate civiltà: non ci sarebbe raccolto senza di lui, e le malattie prospererebbero. E la sua luce è nel contempo la più grande arma contro i terrori della notte e del sottomondo, come contro gli abomini non morti.
Eppure il Punitore non è un dio benevolo; egli è, e basta.

Nishanyx
La Madre Notte, la Vergine D'Ebano, la Megera Oscura
Allineamento: Neutrale Malvagio Domini: Inganno, Conoscenza Simbolo: un rombo oscuro

“Madre Notte, signora dei segreti, matrona delle matrone, salve!”

La Vergine D'Ebano era un tempo un'elfa oscura, una potente incantatrice che si ribellò alla schiavitù nei confronti dei demoni e guidò buona parte della propria razza in una rivolta contro il precedente ordine sociale. Anche dopo la sua Ascensione sono tantissimi i drow che continuano a riverire Nishanyx, e nel contempo la sua adorazione si è diffusa anche fra le altre razze.
Sebbene non sia certo una divinità benevola, infatti, ella è la maestra di inganno e segreti, nonché la patrona di tutte quelle attività che si svolgono dopo il calare del sole. Come Vergine D'Ebano è la seducente sovrana delle passioni amorose, mentre è col nome di Madre Notte che la invocano i ladri e i congiurati; per i maghi più spietati e per i sapienti alle prese con misteri irrisolvibili, infine, ella è la Megere Oscura, colei che tutto sa e quasi nulla rivela.
Più di ogni altra divinità Nishanyx ha una pessima reputazione presso la gente comune, ma viene comunque riverita per il timore della sua vendetta.

Asimakhaira
La Custode, La Vergine D'Acciaio, la Madre Della Guerra, la Megera Massacratrice
Allineamento: Caotico Malvagio Domini: Guerra Simbolo: una spada stilizzata

“Poiché era la più benevola e altruista degli ascesi, si assunse il compito più ingrato affinché nessun altro dovesse farsi carico di tale fardello.”

Fra i Nove Dei Asimakhaira era in origine la più buona e altruista; campionessa del popolo degli elfi, liberatrice degli schiavi, impareggiabile guerriera che non bramava la morte dei nemici ma pure la dispensava poiché tale era il suo dovere, era amata e benvoluta dai suoi pari. Di certo solo lei sarebbe potuta diventare dopo l'Ascensione la Custode dell'Esistente, la linea difensiva di dei e mortali contro ogni minaccia esterna. Tuttavia era parimenti necessario che qualcuno fra gli immortali custodisse l'arma più potente del Caos, quella spada che da sola aveva posto fine all'esistenza degli dei precedenti.

E così Asimakhaira si sobbarcò tale onere, vedendo la sua natura pura corrotta dalla malvagità della spada pur di non imporre ad altri tale cupo destino. Ora ella è la patrona di ogni guerra e di ogni combattimento. Come Vergine D'Acciaio è l'inarrivabile soldatessa, la più crudele dei guerrieri, una presenza oscura in ogni grande battaglia; come Madre Della Guerra è invece il nume tutelare dei combattenti, colei che sussurra all'orecchio dei generali e che guida quanti votano il nemico al massacro. Ma è come Megera Massacratrice che viene maggiormente temuta, poiché è lei a decidere chi uscirà vincitore dal campo di battaglia e chi, invece, verrà riportato a casa sul proprio scudo o affidato a cani e uccelli affinché banchettino sul suo cadavere.