lunedì 30 novembre 2009

Dopo la tempesta

Anche per oggi sono riuscito a tirar fuori un componimento bello lungo, realizzato a tempo quasi di record: l'ho iniziato venerdì a lezione, ed entro ieri pomeriggio era già concluso.

La tematica, in questo caso, è più leggera, surreale e "visionaria" rispetto a quella dell'altra poesia con cui condivide la forma.
Riguardo all'ispirazione, sono pesantemente debitore nei confronti di De André.

Negli alti cieli, dopo la tempesta,
Gli spiriti dell'aria ripuliscono
Le nubi, bagnate dopo la festa
Voluta da quanti ora ne gioiscono.
I santi stan facendo comunella
Per raccontarsi i segreti del cielo
Mentre i servitori, con la barella,
Portano via un corpo sotto il velo.
Ma poi, dopo la rappresentazione,
Shakespeare se ne scappa via veloce
Affinché nessuno nella nazione
Senza il gracchiare della sua voce.
E lo segue Amleto, in mano la spada,
Gridandogli: “Oh padre, dove mai corri?”
E poi, quando finiscono la strada,
Cadono in lacrime giù dalle torri.
Li raggiunge Plauto, sospeso in volo
Sulle sue grandi orecchie da mercante
Per riprendersi l'arte data a nolo
A quel drammaturgo così distante.
Se la ride Shakespeare del creditore;
Quindi Plauto, con cipiglio da mafioso,
Chiama Cesare, il grande vincitore,
Per punire il Bretone irrispettoso.
Amleto, proteggendo il creatore,
Cade morto, trafitto avvelenato
Mentre Shakespeare per il grande dolore
Esala l'anima tutta d'un fiato.
Tutto questo si guarda soddisfatto,
Ridendosela molto il bravo Alfieri,
Quand'ecco Napoleone d'un tratto
Gli rinfaccia gli insulti di ieri.
Il Francese lo assalta, valoroso,
Ma viene Foscolo, gli dà man forte,
E perciò Manzoni, mai a riposo,
Canterà del Corso una nuova morte.
Torna Cesare, da tutti omaggiato,
Imbrattato del sangue di Avoniano,
Ma non di Iago, Iago è risparmiato,
E già fa cenni a Bruto da lontano.
Pertanto quando passa l'arrotino
I congiurati affilano i pugnali
Per donar la corona al Valentino,
Per sostituire ai vecchi i nuovi mali.
E fanno omaggio, in processione, i papi
Ma guardan Virgilio con occhi tristi:
Rimproverano l'elogio delle api,
Piccoli animaletti comunisti.
Per cui Virgilio il suo parere muta.
“Nessuno”, dice, “insulta l'arte mia!”
E d'accompagnar Dante si rifiuta,
Lasciandolo perder lungo la via.
Torquemada lo vorrebbe bruciare,
Ma i letterati gli fan scudo attorno;
Il proposito deve abbandonare
Perché non è abbastanza grande il forno.
L'inquisitore arretra, intimidito,
Ed a Machiavelli viene un'idea:
Lo metton nel forno, tutto condito,
Recitando il “mors tua vita mea”.
Mentre Virgilio esalta i suoi seguaci,
Ringraziandoli perché l'han salvato,
Torquemada è quasi cotto alla brace
Con notevole sdegno del papato.
Leopardi poi serve la portata
Di cui tutti mangiano a sazietà:
Infine, l'Europa sì è vendicata
Di chi molto ha oppresso la libertà.
A tal vista scappan lesti i tiranni,
Ma scivolano nei fiumi di sangue
Che han fatto scorrere per molti anni,
E svengono tutti con l'aria esangue.
Restano per molto tempo svenuti:
Quando riapron gli occhi, in mezzo alle feste,
Scoprono, fra gli applausi ed i saluti,
Che di loro restan solo le teste.
Ed ognuno vuole dare un colpetto
Alle loro teste comiche e brutte;
Ma dopo che se ne è tratto diletto
Anche le teste vengono distrutte.
Quando la pioggia smette di lavare
Le coscienze e le menti dei presenti,
Gli invitati sono pronti ad andare
A portar questa gioia anche ai parenti.
E scendon dalle nubi salutando
Chi li ha fatti per un po' divertire
E diranno tutto ciò raccontando
Questa festa a chi non poté venire.

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