lunedì 17 dicembre 2012

Un frammento d'autunno trascorso

Con questa poesia ho cercato di descrivere un istante d'autunno, di quell'autunno sardo insieme soleggiato e freddo durante il quale il maestrale allontana le nuvole creando l'illusione di un ultimo briciolo d'estate.



Oggi non scorgo le nubi nel cielo,
Le spazza lontano il
Gelido vento del nord, l'impetuoso
Che sempre violenta
Questa mia terra, bruciata e cocciuta,
Corrosa dal tempo.
Sfuma l'azzurro in un bianco di luce al
Confine del mare,
Scuro del sangue dei mille caduti
Trafitti dall'onda, e
Piccole gocce di luce solare
Lo illuminan meste.

sabato 15 dicembre 2012

Piccolo bestiario animale per La Marca dell'Est

Eccovi un altro piccolo bestiario per La Marca dell'Est, incentrato esclusivamente su animali mondani e alquanto banale nel suo trattare rapaci, equini, cani e cinghiali.

Non è niente di che, ma è quel che mi serve per le prossime sessioni di gioco.


Bestie Selvatiche e Animali Domati LMdE

mercoledì 12 dicembre 2012

Semplicemente haiku

Non penso che ci sia motivo di aggiungere altro: eccovi semplicemente alcuni haiku.



Ombre di nubi
Giocano a nascondino
Sulle montagne.

Fra giochi d'acqua
E cespugli domati
Attendo il niente.

Nuvole, sole e
Vento. Che scorgo in cielo?
Quale stagione?

Quasi che un manto
D'erba copra la terra,
Scaldi l'amante.

Confondo nuvole,
Sole e montagne. Il cielo
Quasi un arazzo.

Grigio nel porto,
Moti d'onde salmastre,
Mare d'autunno.


domenica 9 dicembre 2012

Tutto concludesi

Tutto finisce. L'avevo già detto? Lo ripeto: tutto finisce, e questa verità non la smette mai di mostrarsi tale.
Una "conclusione", anche abbastanza intuibile, è il motivo per il quale ho trascurato di nuovo il blog per un paio di settimane.

Ma, se la cosa può tirarvi su, almeno in questi giorni ho prodotto un paio di poesie.

Questa, cronologicamente, è l'ultima che ho finito di scrivere. Ma penso che, visto quel che è successo, sia a buon diritto la prima da proporre.



Tutto concludesi, al giorno non segue,
Da sempre, la notte?
Forse per questo, la faccia graffiata
Dal vento, cammino
Lento, non cerco riparo dal gelo
Che morde ululando.
So che non posso trovare riparo
Dal vero nemico,
Gelido, duro, invernale, crudele,
Che quando ferisce
Mira al tuo petto, al tuo cuore, al sentire,
Ti squarcia con rostri
Freddi di fiamma ghiacciata. È finita,
Lo so, per davvero.

domenica 25 novembre 2012

Piccolo bestiario: ciò che striscia e vola nelle tenebre

Anche questo lavoro è un piccolo bestiario per La Marca dell'Est, realizzato a tempo di record fra ieri notte e stamattina giusto in tempo per la sessione di gioco di oggi.

Stavolta introduco alcune creature più "da dungeon", ovvero pipistrelli e lumache giganti, accompagnati dalle mosche giganti - creature tipiche della mitologia sarda.


Ciò che striscia e vola nelle tenebre

giovedì 22 novembre 2012

Predatori delle acque: coccodrilli e squali per La Marca dell'ESt

Questo lavoro non ha bisogno di grosse presentazioni: è esattamente quello che sembra, ovvero un piccolo bestiario per introdurre squali e coccodrilli ne La Marca dell'Est.

Che altro posso farci se nel manuale base non sono presenti ma mi servono le loro statistiche per la mia prossima campagna?




Predatori Delle Acque LMdE

mercoledì 21 novembre 2012

Di haiku, innamorati e poesia indiana

Queste due poesie sono, in qualche modo, un esperimento: ho deciso di unire la forma dell'haiku a un tema preso dalla poesia indiana classica, ovvero l'amore dal punto di vista dell'oggetto senza che il contesto venga meglio specificato.

Nonostante tutto, spero che le due poesiole risultino comunque gradevoli.


Quanto mi scansano,
Quasi che sia di troppo.
Eppure piove.

Giacca vecchiotta,
Ma complice di mani
Che cercan mani.

domenica 18 novembre 2012

Di saluta e guarigione ne La Marca dell'Est

Questo lavoro nasce da una serie di necessità che ho sentito per la mia prossima campagna di GdR, una campagna che se va tutto bene inizierà oggi stesso.

Volevo un gioco semplice e vecchio stile, che permettesse di introdurre nuovi giocatori senza sconvolgerli troppo e senza fare del regolamento il focus della partita. E volevo che questo regolamento "perdonasse gli errori" dei principianti. La soluzione più comoda mi è sembrata essere quella di partire da La Marca dell'Est, aumentando però i punti ferita complessivi dei personaggi onde spostare il focus del gioco dalla sopravvivenza pura e semplice all'esplorazione.

Poi, si sa, una regola tira l'altra... e ne è nato quanto segue.


Sopravvivere Senza Sacerdoti LMdE

Punti ferita

Con queste regole, il numero di punti ferita complessivi di un avventuriero viene notevolmente aumentato. Tale aumento, evidente soprattutto ai primi livelli, tende a garantire la sopravvivenza dei personaggi di fronte alle prime sfide della loro carriera.
Questa modifica del regolamento, tuttavia, tende a modificare notevolmente il “tono complessivo” del gioco, spostando il focus più sull'esplorazione del dungeon e meno sulla sopravvivenza pura e semplice.

Punti ferita iniziali

Al primo livello, ogni avventuriero possiede un numero di punti ferita pari alla somma del suo punteggio di Costituzione, del suo dado vita e del suo modificatore di Costituzione. I punti ferita di un uomo comune di “livello 0”, dunque, saranno pari al suo punteggio di Costituzione più il modificatore dello stesso.
Va sottolineato che i punti ferita derivati dal punteggio di caratteristica indicano la “resistenza fisica” vera e propria del personaggio, e tendono a rimanere costanti durante tutto l'arco della sua carriera, mentre i punti ferita ottenuti da un avventuriero con l'avanzare dei livelli simboleggiano la sua capacità di ridurre gli effetti degli attacchi subiti, trasformando colpi potenzialmente letali in semplici graffi e lividi.
Esempio:
Il personaggio di Mario è un guerriero di nome Robriss; Robriss ha un punteggio di 14 in Costituzione, e ottiene un 6 tirando il primo dado vita. Dunque i punti ferita complessivi di Robriss saranno pari a 21 (14 per il punteggio di COS + 6 per il dado vita + 1 per il modificatore di COS).

Punti ferita ottenuti all'avanzare di livello

Con l'avanzare dei livelli, gli avventurieri ottengono nuovi punti ferita come da regolamento base de La Marca dell'Est.
Tali punti ferita rappresentano appunta una accresciuta capacità di evitare grazie all'allenamento gli effetti più gravi degli attacchi subiti; non si tratta dunque di nuove e rinnovate riserve di sangue e carne, tali da permettere a un avventuriero di continuare a combattere anche dopo esser stato colpito da decine di spadate, quanto piuttosto la capacità di evitare la punta della spada diretta contro il proprio petto.
Esempio:
Al secondo livello, Robriss tira nuovamente il d8 e ottiene un risultato di 4; i suoi punti ferita salgono dunque a 26.

Danni, ferite e morte

Fino a che un avventuriero, pur avendo subito numerosi attacchi e diversi danni, conserva un numero di punti ferita superiore al suo punteggio di Costituzione, tali danni si considerano tutt'al più lividi, graffi e lesioni di poco conto.
È solo quando i punti ferita residui scendono al di sotto di tale punteggio che le ferite iniziano a farsi serie. Da quel punto in poi, tutti i colpi subiti si considerano andati realmente a segno, e saranno potenzialmente letali.
Quando poi i punti ferita residui scendono al di sotto della metà del punteggio di Costituzione dell'avventuriero, per lui le cose si fanno davvero critiche: i danni subiti iniziano a farsi sentire davvero, ed egli subisce una penalità di -2 a tutti i tiri del d20.
Quando infine i punti ferita scendono a 0, l'avventuriero crolla a terra moribondo. Da questo momento in poi egli è incosciente, e perde 1 punto ferita per round. La morte sopraggiunge definitivamente quanto i punti ferita negativi arrivano a un punteggio pari alla metà del punteggio di Costituzione dell'avventuriero. Un avventuriero non può riprendere i sensi fino a che i suoi punti ferita non ritornano a un punteggio negativo, tipicamente mediante cure o riposo.
Esempio:
Robriss, guerriero di 2° livello, ha 26 punti ferita complessivi e un punteggio di 14 in Costituzione. Fino a che egli conserva almeno 14 punti ferita, i danni che subisce non sono niente di grave: niente che non si possa risolvere con qualche giorno di riposo, tutt'al più. Quando però i suoi punti ferita scendono al di sotto di tale soglia, Robriss inizia ad accusare i colpi: è troppo stanco per schivare in maniera realmente efficace, e subisce tutte le conseguenze degli attacchi nemici – ossa fratturate, ferite profonde... quando poi i suoi punti ferita scendono al di sotto di 7, la situazione per Robriss inizia a farsi veramente dura. Se per un malaugurato caso un attacco dovesse portare i suoi punti ferita a 0, il nostro guerriero cadrebbe a terra moribondo e, se non adeguatamente soccorso, morirebbe nel giro di 7 round una volta sceso a -7 punti ferita.

Opzione: resistere allo shock

Se fate uso delle mie regole alternative sulle caratteristiche, raccolte nel documento Caratterizzare le Caratteristiche, potete utilizzare le regole sullo shock corporeo assieme alle regole appena enunciate.
In questo caso, un avventuriero i cui punti ferita scendessero a meno della metà del suo punteggio di Costituzione può tentare un test di shock corporeo per provare a resistere al dolore per continuare ad agire normalmente – senza la penalità di -2 ai tiri del d20.
Inoltre, un avventuriero moribondo può tentare ad ogni turno un test di shock corporeo; se lo supera, smette di perdere punti ferita e riesce a stabilizzarsi, rimanendo incosciente fino a che i suoi punti ferita non ritornano sopra lo zero ma evitando di morire.
Esempio:
Robriss ha una possibilità del 75% di resistere allo shock corporeo. Durante un combattimento contro un ogre i suoi punti ferita scendono a 5, ma il risultato del suo test di shock corporeo è un 81: il dolore è troppo per venire ignorato, ed egli subisce la consueta penalità di -2. Il successivo attacco dell'ogre infligge a Robriss esattamente 5 punti ferita, facendolo crollare a terra moribondo. Al turno successivo, il risultato del tiro di Robriss contro lo shock corporeo è ancora troppo alto – un 79. Egli scende a -1 punto ferita. Fortunatamente, al turno ancora successivo il giocatore di Robriss ottiene un 23 col d100: il suo personaggio ha smesso di sanguinare, e per quanto messo veramente male potrà cavarsela anche questa volta. Sempre che i suoi compagni riescano a sconfiggere l'ogre, si intende...

Guarigione

In avventure o ambientazioni prive di chierici viene a mancare uno dei fattori di sopravvivenza principali degli avventurieri: le cure. Quindi, a meno di voler mantenere una mortalità particolarmente elevata, è necessario inserire delle regole per ovviare a tale mancanza.
Queste regole servono esattamente a tale scopo; da un lato potenziano le cure naturali, facendo sì che si risolva finalmente il “paradosso dei gemelli” (due gemelli iconici del fantasy, uno robusto guerriero e l'altro esile mago, finiscono entrambi a 1 punto ferita; passano alcuni giorni a riposarsi, e il mago torna in piene forze ben prima del fratello), e dall'altro inseriscono delle cure abbastanza economiche e facili da reperire attraverso le erbe curative, un cliché abbastanza tipico ma tutto sommato sempre efficace.

Guarigione naturale

I punti ferita che un avventuriero recupera col riposo dipendono ora dalla sua robustezza innata e dal suo addestramento. Ovvero, dal suo punteggio di Costituzione, dalla sua classe e dal suo livello.
Per ogni giornata di riposo, un avventuriero recupera un numero di punti ferita pari al risultato di un suo dado vita più il suo modificatore di Costituzione, +1 per ogni livello oltre il primo.
Esempio:
Robriss, guerriero di 2° livello con 14 in Costituzione, recupera 1d8+2 (dado vita + modificatore di COS +1 perché è di 2° livello) punti ferita con ogni giornata di riposo.

Erbe curative

In natura è possibile trovare diverse sostanze che, se impiegate con un po' di attenzione, aiutano la guarigione dei feriti. In quale ambienti sia specificamente possibile trovare tali erbe, e di quali piante si tratti di volta in volta, è lasciato alla discrezione del Narratore.
Le erbe curative, se applicate a una ferita aperta (o a qualsiasi zona colpita da un attacco nelle ultime 24 ore), permettono di recuperare 1d4 punti ferita nel giro di un turno. Non si ottiene alcun vantaggio dall'applicare una nuova dose di erbe curative sulla stessa ferita prima che siano trascorse altre 24 ore, ma è possibile applicare più piante medicinali sulle diverse ferite subite da un avventuriero particolarmente malconcio.
Le erbe curative possono essere comprate in qualsiasi mercato mediamente fornito al prezzo di 10 mo, o molto più semplicemente rinvenute in natura (nel qual caso ogni singola erba trovata fornisce 10 punti esperienza). Per trovare delle erbe curative in natura è necessario trovarsi nell'ambiente adatto e trascorrere un intero turno a cercarle, al termine del quale il Narratore deve tirare 1d20 e confrontarlo col punteggio di Saggezza del personaggio che si è dato all'erboristeria. Se il risultato del dado è inferiore al suo punteggio di SAG, egli ha individuato una singola dose di erbe curative, in caso contrario non è riuscito a trovare nessuna pianta medicinale; un risultato di 1 indica che l'avventuriero è riuscito a trovare ben due erbe curative, mentre un risultato di 20 indica un fallimento critico: l'avventuriero si è imbattuto in quella che crede essere un'erba medicinale, ma che in realtà è una pianta tossica, che infligge 1 ulteriore danno al malcapitato su cui viene usata.
Le erbe curative perdono efficacia col tempo; possono essere essiccate, nel qual caso conservano ancora parte del proprio potere, ma già dopo 24 ore si limitano a curare soli 1d3 punti ferita.
Esempio:
Robriss, col suo punteggio di 10 in Saggezza, si mette a cercare delle erbe curative nella foresta vicino al castello in rovina. Il Narratore tira in segreto un dado a 20 facce, e ottiene un risultato di 7: la ricerca di Robriss è stata fruttuosa.

Opzione: esploratori raminghi

Se, pur eliminando il chierico, volete mantenere una classe “guaritrice”, o se magari ci tenete a personalizzare la classe dell'esploratore con un pizzico di ispirazione tolkieniana in più, potete stabilire che il ranger non sia tanto un cacciatore provetto di giganti e goblinoidi, quando un profondo conoscitore della natura e delle piante medicinali.
In tal caso, i vostri esploratori perdono il bonus contro giganti e goblinoidi, ma in cambio ottengono la capacità di tirare due volte il dado per la prova di Saggezza necessaria a trovare delle erbe curative, scegliendo il risultato migliore, e anche quando si imbattono in delle piante tossiche ne riconoscono subito la natura pericolosa. In questo caso, infatti, è il giocatore dell'esploratore e non il Narratore a tirare il d20 per tale prova.
Inoltre, un esploratore conosce tanto bene le piante medicinali da distinguere e raccogliere solo le parti che hanno un effetto officinale più marcato; pertanto, le erbe curative trovate dagli esploratori curano 1d6 punti ferita se fresche, e 1d4 se secche.
Esempio:
Gornara l'esploratrice ha un 13 in Saggezza; sta cercando erbe curative nel bosco dei salici, e dopo un turno di ricerche tira due dadi a 20 facce per determinare l'esito della sua ricerca; i due risultati ottenuti sono rispettivamente 1 e 17, e chiaramente Maria, la giocatrice di Gornara, sceglie il 1°. Ha trovato ben due piante medicinali che curano 1d6 danni l'una: non male.

Infusi e impacchi

Il potenziale grezzo delle erbe curative può essere aumentato con un minimo di “applicazione intelligente”: infusi, decotti e impacchi hanno tipicamente un potere curativo maggiore, se preparati nella giusta maniera.
Per fare ciò è necessario avere a disposizione un fuoco e dei comuni arnesi da cucina, e trascorrere un intero turno a tentare di raffinare una singola dose di erbe curative. Alla fine del processo, il Narratore deve tirare in segreto 1d20 confrontando il risultato col punteggio di Intelligenza dell'avventuriero che si è occupato della cosa; in caso di successo, il potere curativo della pianta aumenta, e una applicazione della stessa curerà 1d6 punti ferita. Viceversa, in caso di fallimento buona parte dei principi officinali andranno sprecati, e l'erba curativa curerà solo 1d3 punti ferita. Un risultato di 1 sul d20 indica che l'infuso o impacco è stato realizzato particolarmente bene, e dunque curerà ben 1d8 punti ferita, mentre il fallimento totale legato a un risultato di 20 indica che l'erba curativa è stata completamente rovinata: ben lungi dal curare il malcapitato ferito, l'applicazione del decotto provocherà 1 ulteriore danno.
Nel caso delle piante medicinali secche, che di base curano 1d3 danni, tutti i valori sopra riportati vanno ridotti di un dado: se trattate a dovere esse cureranno 1d4 danni, aumentati a 1d6 in caso di successo critico, mentre in caso di fallimento ne cureranno appena 1d2.
Affinché le erbe officinali trattate siano efficaci, vanno applicate nel turno immediatamente successivo alla loro preparazione.
Esempio:
Robriss, forte e robusto, ha un punteggio di Intelligenza di appena 8; decide comunque di provare a fare un decotto con le erbe curative che ha trovato. Armeggiando caoticamente attorno al fuoco, sminuzza le foglie della piantina e la butta nell'acqua bollente. Il Narratore tira 1d20, e ottiene un risultato di 14. Robriss ha appena rovinato la pianta medicinale che aveva trovato.

Opzione: esploratori raminghi II

Se fate uso delle regole sugli esploratori raminghi in precedenza suggerite, gli esploratori ottengono la capacità di tirare due d20 e scegliere il migliore anche per la prova di Intelligenza necessaria a lavorare in maniera efficace le erbe curative. Come per la prova di Saggezza, anche in questo caso sono i loro giocatori e non il Narratore a tirare i dadi.
Esempio:
Gornara vuole creare un infuso da una delle erbe curative che ha appena trovato, e con mani sapienti si mette al lavoro sminuzzando radici nel mortaio. Dopo 10 minuti di tale attività Maria, la sua giocatrice, tira due d20 e confronta i risultati col punteggio di Intelligenza di Gornara (10). Ottiene un 18 e un 6, e scegliendo il secondo riesce a portare a 1d8 il potere curativo del preparato.




venerdì 16 novembre 2012

Poesie per un amore presente

Come avevo promesso, rieccomi qui, e riecco qui anche le mie poesie.
Questa volta un po' più felici che in passato, e a ragione.


Capita a volte che fati e destini
S'intreccino in tele
Bianche e scarlatte, intessute di nodi
Piacevoli e dolci.
Grande la gioia a toccare con mano
Le soffici tele,
Perse le dita fra i morbidi intarsi
Del fato, lucenti
Come i capelli di seta che tu, mio
Roseto di brina,
Spargi sul collo a sottrarlo dai baci af-
Famati che porgo.


Voglio portarti nei cieli d'inverno,
Le nuvole i nostri
Talami, dolci d'amore, cullati
Dal vento di brina.
Voglio danzare con te nel profondo
Del cielo stellato,
Pallido e lieve splendore in confronto a
Le luci che sento
Ora brillarci negli occhi, scaldando-
Ci il cuore tremante.

mercoledì 14 novembre 2012

L'Isola di Doverich, ambientazione generica

Per riprendere fin da subito con le sane abitudini di un tempo, inizio col proporvi una nuova ambientazione generica per GdR. Le fonti di ispirazione sono state diverse, dai romanzi di Moorcock al videogioco Risen.
Anche se mancano riferimenti regolistici di qualsiasi tipo, io personalmente userò questa ambientazione con le regole de La Marca dell'Est - salvo qualche correzioncina che vi presenterò in futuro. Spero solo che questa campagna duri più delle precedenti.
Anche perché, come scopriranno ben presto i giocatori, ci sono diversi collegamenti anche con alcune avventure passate... e - se va bene - future.

Spero di aver stuzzicato la vostra fantasia. In ogni caso, ecco qui il link al PDF su Scribd, e a fondo pagina la trascrizione dell'intero documento.


Isola Di Doverich

L'isola nel vostro mondo

L'isola di Doverich nasce per essere inserita in una ucronia, una versione del pianeta Terra dove quanto per noi sono solo leggende e racconti fantastici ha da sempre costituito una pur misteriosa realtà. In tale mondo, l'isola sarebbe da collocarsi in una non meglio precisata zona del Mediterraneo meridionale, lontana da tutte le coste, o magari nell'Atlantico, vicina allo stretto di Gibilterra.
In altre ambientazioni fantasy, qualsiasi zona climaticamente equivalente può andare bene per stabilirvi la sete dell'isola di Doverich; essa, difatti, è stata pensata e sviluppata proprio per essere un luogo isolato e fuori dal mondo, e proprio per questi motivi un luogo avvolto nel mistero.
Dal punto di vista storico, il livello tecnologico a cui si può associare l'isola di Doverich è più o meno equivalente a quello del Basso Medioevo storico, ma questo non impedisce di collocare l'isola in un'epoca più civilizzata.

Panoramica e geografia

L'isola di Doverich ha forma simile a quella di una clessidra disposta grossomodo in direzione Nordest-Sudovest, essendo formata da due isolotti uniti per mezzo di una striscia di terra; tali isolotti sono di natura vulcanica, e caratterizzati da due massicce montagne. Complessivamente, l'isola è lunga circa 40 km, raggiungendo una larghezza di 16 km nel punto di maggiore ampiezza e arrivando a stento a qualche centinaio di metri nel punto più sottile. Attorno ad essa sorgono numerose isole minori, organizzate in due arcipelaghi; il più settentrionale di essi costituisce di fatto l'affiorare di una fitta rete di scogli, tale da impedire l'accesso alla costa a qualsiasi nave più grande di una barca da pesca.
I due vulcani non sono più attivi da tempo, tanto da esser stati colonizzati dalla natura e dagli uomini, ma raggiungono ancora altezze relativamente impressionanti; il più meridionale dei due, il Dercum, supera i 2000 metri, mentre il monte Crisum si attesta poco sotto i 1500. Coi loro massicci, essi occupano buona parte dell'isola.
Le fertili terre vulcaniche alle pendici dei due monti sono irrigate da numerosi ruscelli torrentizi, mentre solo tre sono i fiumi degni di tale nome. Il maggiore dei tre viene chiamato Ausum, attraversa quasi interamente la metà superiore dell'isola, per gettarsi in mare poco prima dell'istmo e creare così l'unico vero golfo dell'isola; gli altri due fiumi, l'Oinum e il Deurum, nascono dal monte Dercum, ma coprono un tragitto relativamente breve prima di andare a confluire entrambi nello stesso ampio affossamento di terreno, una vera e propria palude di ragguardevoli dimensioni. Sull'isola di Doverich non esistono veri e propri laghi, se non qualche pozza d'acqua artificiale o alimentata dai ruscelli stagionali.
Nonostante la sua natura, l'isola presenta pochi approdi naturali: le sue coste tendono a essere alte e a strapiombo sul mare in alcuni punti mentre là dove degradano lentamente in spiaggia e battigia il fondale è spesso troppo basso per consentire l'approdo delle navi. Più o meno al centro della costa nordoccidentale sorge poi il già menzionato arcipelago, che con la sua fitta rete di scogli rende quasi impossibile qualsiasi approdo. Sull'isola di Doverich ci sono quindi solo due porti: il primo è in corrispondenza dell'istmo, nel golfo là dove sfocia il fiume, mentre il secondo si trova alle estremità più meridionali, incassato fra lingue di terra alta e traditrice in prossimità di alcuni isolotti minori.
Il clima dell'isola tende a essere mite, con temperatura che raramente superano i 30° e che anche durante la stagione fredda non scendono praticamente mai sotto lo zero. Le nevicate sulla cima dei monti sono un evento più unico che raro, qualcosa di cui si parlerà per un'intera generazione. Le precipitazioni sono piuttosto frequenti, specialmente nelle stagioni fredde, anche se non mancano occasionali temporali estivi. Le correnti attorno all'isola sono in buona misura responsabili del buon clima, come i venti d'attorno ad essa sono spesso responsabili di violente tempeste.
La vegetazione dell'isola di Doverich tende a essere fitta, ma raramente le piante raggiungono dimensioni ragguardevoli; sono molto frequenti i boschi di querce e di pini, e non è raro imbattersi in macchie di cespugli alti anche più di 2 metri, intervallate a occasionali olivastri e a qualche palma selvatica. In generale, la flora locale può essere definita di tipo mediterraneo.

Gli animali di Doverich

Gli animali nativi dell'isola sono generalmente di piccola taglia, ma non per questo meno selvatici dei loro cugini più grandi. Per alcune razze è ipotizzabile che si tratti dei discendenti rinselvatichiti di animali un tempo domestici; è il caso ad esempio delle numerose capre, una presenza costante nell'intera isola. Assieme a qualche raro cervo, tali capre costituiscono la preda di elezione dei non troppo frequenti branchi di lupi e cani selvatici.
Molto diffusi sono anche i cinghiali e piccoli mammiferi, così come gli uccelli di ogni tipo, dagli onnipresenti gabbiani fino alle numerose specie di rapaci che dimorano sulle montagne. Degli uccelli e dei mammiferi più piccoli si nutrono anche le volpi e i gatti selvatici; sull'isola non è presente nessun grande felino.
A Doverich è possibile imbattersi in numerose specie di rettili, ma raramente esse raggiungono grandi dimensioni; nessun serpente locale rappresenta un pericolo per l'uomo, mancando qualsiasi razza velenosa. Sulle spiagge dell'isola nidificano le tartarughe di mare, ma il rettile più grande del luogo si trova nelle paludi, là dove è stato quasi certamente introdotto dalla mano dell'uomo: il coccodrillo. Accade talvolta che alcuni di questi rettili si spostino lungo i corsi dei fiumi, ma i loro attacchi contro gli uomini sono un evento raro, e più spesso preferiscono nutrirsi di fenicotteri e altri uccelli palustri.
L'altro grande predatore dell'isola si trova pure nelle sue acque, letteralmente infestate di squali; fortunatamente essi si avvicinano raramente alla costa, il che permette ai pescatori locali di svolgere il proprio lavoro in relativa sicurezza. Il mare attorno a Doverich infatti è piuttosto pescoso.
Gli animali domestici diffusi nell'isola di Doverich sono tutti di ridotte dimensioni: al di là dei quasi onnipresenti cani e gatti, le greggi di pecore e capre costituiscono il bestiame più diffuso; in pochi possiedono dei bovini, mentre invece non è raro per una famiglia possedere uno o più maiali. Sull'isola si trovano pochissimi cavalli, appannaggio esclusivo delle autorità e salvaguardati con estrema attenzione data la loro rarità.

La mano dell'uomo

Per quanto in gran parte dell'isola la natura sia ancora pressoché incontaminata, o abbia reclamato le rovine di antiche dimore e fortezze, l'influenza degli abitanti è piuttosto evidente non solo nelle terre dissodate e coltivate, ma anche e soprattutto nei centri abitati.
Gli insediamenti principali sono quattro. Il più importante di questi è la città costiera di Astum, sede del palazzo ducale. Ospitante quasi 2000 abitanti, la capitale è un piccolo gioiello di urbanistica razionale: circondata da ampie mura in roccia vulcanica, è attraversata da ampie strade lastricate che si incrociano ad angolo retto individuando un ordinato reticolato di isolati e quartieri. La maggior parte degli edifici sono adibiti a uso abitativo o a sede di botteghe artigianali, in quanto tutti i magazzini sono concentrati attorno alla rocca ducale. Gli edifici sono realizzati in mattoni cotti o in pietra locale, con tetti di legno coperti di tegole in argilla; è usanza imbiancare con la calce le pareti interne ed esterne, ed esistono leggi specifiche atte a colpire chi non mantiene il decoro urbanistico della propria abitazione; data la mancanza di forti precipitazioni, le case hanno solitamente tetti poco reclinati, e non è raro che al posto di un tetto vero e proprio ci sia un terrazzo. Praticamente ogni isolato ha un sistema di raccolta dell'acqua piovana e una apposita cistera. Quel che invece manca quasi completamente all'intera città sono gli spazi verdi: non solo le piazze sono totalmente prive di alberi e aiuole, ma viene addirittura fatto divieto ai cittadini di piantare qualsiasi vegetale all'interno della cinta muraria. Orti, campi e allevamenti si trovano dunque subito fuori dalle mura, così come i moli e le rimesse dei pescatori.
Un vero e proprio castello, la cittadella di Astum è la sede del duca di Doverich e dell'amministrazione isolana, oltre che la caserma delle sue numerose truppe. Si tratta di una rocca piuttosto imponente, il cui stile gotico in qualche modo stona con le costruzioni circostanti, i magazzini ducali, realizzati con gli stessi mattoni imbiancati del resto della città. La struttura sorge su un affioramento del terreno, ed è circondata per tutto il suo perimetro dalle acque del fiume Ausum, deviate in un ampio fossato; la cinta muraria sorge a strapiombo sul fossato, cosicché la combinazione di roccia, mura e motta renda praticamente inespugnabile la fortezza. L'unico ingresso al castello è rappresentato da un ampio portone, largo abbastanza per far passare due carri affiancati, e dal relativo ponte in pietra.
Entro la cerchia muraria si trovano diversi edifici minori, come la sede degli uffici amministrativi e le caserme della guardia ducale, posti a raggiera attorno a un enorme mastio esagonale. Dimora del duca, la fortezza centrale si innalza per oltre quaranta metri; le sue pareti, praticamente prive di finestre, sono sostenute esternamente da alcuni contrafforti, i quali fungono anche da struttura portante per una serie di tettoie in legno. La torre ha cinque piani, l'ultimo dei quali si estende su una superficie maggiore rispetto agli altri cinque. All'interno della struttura vivono esclusivamente il duca, la sua famiglia, e i pochi e fidati domestici di cui egli si serve; è fatto divieto a chiunque altro, salvo che agli ufficiali della milizia, di mettere piede nella struttura senza un apposito invito.
Se Astum rappresenta un capolavoro di urbanistica, Galenis è piuttosto un poco edificante ritratto delle brutture della cosiddetta civiltà. Questo insediamento minerario, abitato da circa 1000 anime, sorge alle pendici settentrionali del monte Crisum, ed è stato sviluppato con l'unico scopo di fornire ai minatori e alle loro famiglie un posto in cui dormire nelle vicinanze dei loro luoghi di lavoro, onde aumentarne la produttività: nel monte Crisum, infatti, si trovano ampi giacimenti di piombo argentifero, così come vasti depositi di zolfo e di carbone minerario; data l'importanza di questi materiali per l'equipaggiamento delle truppe ducali, nei pressi di Galenis sono insediate stabilmente ben sette decurie di soldati. Lo stabile nel quale sono alloggiate le milizie è anche sede di un magazzino con relativa rivendita: uno dei pochi privilegi degli abitanti di Galenis è infatti il poter scambiare in loco i beni prodotti, senza doversi recare fino ad Astum.
Ad eccezione del magazzino-caserma e di una rozza cinta muraria, tutte le strutture di questa cittadina sono costruite in legno, il che le rende facile preda di incendi; proprio per questo, le truppe di stanza presso Galenis pattugliano costantemente non solo l'area delle miniere ma anche le sudice strade dell'insediamento.
La terza città di Doverich per numero di abitanti, invece, ha ben poco a che vedere con l'autorità ducale: situata nel cuore delle paludi meridionali, attorno alle rovine di qualche antico insediamento, Elutrias è l'unico luogo sicuro dove i dissidenti dell'isola possono sperare di trovare riposo e sicurezza. Secondo la tradizione, questo insediamento venne fondato 65 anni or sono da Priscus, un ragazzo che non voleva accettare di svolgere lo stesso estenuante lavoro dei propri genitori; rifugiatosi nelle paludi e sfuggito fortunosamente alle molte insidie ivi in agguato, il giovane scoprì che al centro del pantano, nascoste da nebbia e vegetazione, c'erano ancora le rovine di una serie di ampie strutture in pietra, con perfino qualche muro ancora in piedi. Nel corso degli anni altri dissidenti si unirono a Priscus, e nel giro di una ventina d'anni quello che prima era l'eremo solitario di un ribelle divenne un vero e proprio insediamento, con tanto di famiglie e bambini. Vennero costruite palafitte e individuati cammini sicuri attraverso la palude, i vecchi edifici in pietra vennero per quanto possibile riparati e per quanto possibile si imparò a convivere con coccodrilli ed insetti.
Nonostante le dure condizioni di vita, oggi ad Elutrias vivono più di 500 persone, un numero tale da mettere seriamente in discussione l'autorità del duca di Doverich.
L'ultimo grande insediamento dell'isola, invece, è strettamente sotto il controllo dell'autorità. Si tratta di Sidrium, un villaggio minerario alle pendici del monte Dercum. Quel che ha salvato Sidrium e i suoi circa 400 abitanti dallo squallore di Galenis è la vicinanza ad Elutrias: il duca non può permettersi che i minatori e i fabbri locali disertino per unirsi ai ribelli, né potrebbe mandar forze sufficienti a reprimere eventuali sommosse senza lasciare sguarnite le torri che presidiano la palude meridionale, e dunque ha preferito garantire la fedeltà dei sudditi fornendo loro migliori condizioni di vita. Pur facendo una dura vita nelle miniere di acciaio, infatti, gli abitanti di Sidrium abitano in un villaggio con strade lastricate e dimore in pietra, ben più confortevoli delle baracche di Galenis. Anche in questo insediamento si trova una piazzaforte con cinque decurie di soldati, ma il controllo che essi esercitano è meno oppressivo rispetto a quello che devono subire gli abitanti dell'altra cittadella mineraria. Dotata del proprio magazzino, Sidrium assomiglia piuttosto ad Astum che non a Galenis.
Al di fuori di questi grandi insediamenti, esistono numerosi piccoli villaggi di contadini e allevatori, spesso abitati da poche decine di persone, più o meno sparsi per l'intera isola; la presenza di un villaggio di questo tipo è facilmente rivelata dalla presenza di campi e pascoli attorno ad esso. Quanti abitano in queste comunità devono recarsi quasi quotidianamente nei centri principali per poter scambiare i propri beni, ma nel contempo godono di un controllo meno oppressivo. Alcune decurie svolgono un servizio itinerante di controllo sui piccoli villaggi, ma nessuno di tali insediamenti ha alcun ufficiale ducale di stanza nelle proprie vicinanze. L'unica eccezione è una comunità di pescatori sulle coste settentrionali, che sorge in prossimità di una torre di guardia.
Tali torri sono edificate sia sulle coste dell'isola dotate di approdi naturali, sia lungo il perimetro della palude dove sorge Elutrias. A ciascuna sono assegnate una o due decurie di soldati, che hanno il compito di difendere la zona da eventuali minacce esterne e di segnalare immediatamente tali pericoli all'autorità centrale. A memoria d'uomo, non si è mai verificata un'occasione del genere, ma ciononostante la vigilanza rimane alta.

 Legge, economia e societa'

Il duca di Doverich, Paul Von Doverich IV, è il signore dell'intera isola; al di fuori della comunità libera di Elutrias, la sua autorità è incontestata. Il casato di Doverich ha dato il proprio nome all'isola quando, molte generazioni or sono, guidò i primi coloni verso la relativa pace e sicurezza offerte da un'isola sperduta in mezzo al mare e dunque lontana dalla follia e dai conflitti della terraferma. Da allora, i duchi hanno garantito la propria autorità facendo ricorso a una legge dura e inflessibile, ma apparentemente onesta.
Il principio fondamentale dell'isola di Doverich è che ogni risorsa presente sull'isola appartiene al duca. Egli concede ai propri sudditi di godere gratuitamente di alcune risorse, come ad esempio i frutti che crescono nei boschi e i piccoli animali che vi vivono, o come la legna secca per il riscaldamento: ogni giorno, ogni popolano può portar via dai boschi tanta legna quanta riesce a caricarne sulle due braccia, e carichi di frutta o piccoli animali tali che riesca a trasportarli con un singolo braccio. La cacciagione di taglia superiore, i pesci dei fiumi e del mare, così come i prodotti dei campi e le risorse della terra, ivi comprese quelle minerarie, sono di proprietà esclusiva del duca. Ai sudditi è permesso appropriarsene, ma non possono farne uso: la legge impone infatti che tutti questi beni vengano consegnati in un magazzino ducale, dove chi li ha coltivati, cacciati o raccolti otterrà un prezzo in denaro corrispondente al loro valore. Con tale denaro, quindi, sarà possibile acquistare i beni che si desiderano; una legge apposita regola la cosiddetta “sine pecunia”, ovvero uno scambio particolare in cui un suddito porta al magazzino ducale i beni in suo possesso, ne fa calcolare il valore da parte di un contabile, e quindi se li riprende senza appunto nessuna transizione di denaro. Il commercio fra sudditi è severamente vietato, e il denaro può essere usato solo per commerciare con l'autorità.
Quanti non rispettano tali leggi vengono considerati alla stregua di ladri, e puniti col taglio di una mano; un ladro recidivo, invece, viene sottoposto alla pena capitale. Giudici, giurie e carnefici della corte ducale sono i decurioni, gli ufficiali della milizia; ciascuno di essi comanda nove uomini, superbamente equipaggiati con corazze e armi di prima qualità, ed è nel contempo vicario plenipotenziario del duca nell'amministrare la giustizia. Tipicamente, là dove vi sono più decurioni essi prendono collegialmente qualsiasi decisione, mentre nei villaggi più solitari cause e processi vengono decisi da un singolo decurione di passaggio. Dato che leggi apposite regolano il possesso di armi fra i civili, rendendolo possibile solo dietro pagamento di una cospicua tassa, sono ben pochi coloro che, pur volendo, avrebbero i mezzi per opporsi ai soldati delle decurie.
Oltre alle milizie, sono alle dirette dipendenze del duca anche i burocrati a cui viene assegnata la gestione dei magazzini e della contabilità, una posizione di grande prestigio ma anche di grande rischio, in quanto il responsabile di un magazzino è anche responsabile di qualsiasi ammanco o irregolarità. Contabili e soldati sono gli unici sudditi a essere materialmente stipendiati per il lavoro svolto. Tutti gli altri devono mantenersi con lavori di un qualche tipo; inoltre, dato che la loro paga annuale comprende la donazione di una moneta d'oro, un conio praticamente mai utilizzato negli scambi commerciali, è divenuto costume per i pubblici ufficiali utilizzare tali monete come vere e proprie “medaglie”; a lungo andare, si è anche diffusa l'usanza di donare ai sudditi particolarmente meritevoli un ducale d'oro quale riconoscimento della loro fedeltà al duca.
Il valore nominale di una moneta d'oro, comunque, corrisponde alla tassa pro capite che i sudditi sono tenuti a pagare annualmente, ammontante a dieci ducali d'argento; l'importo di tale imposta è tale da risultare spesso insostenibile per le famiglie più numerose. La legge prevede dunque delle corvè di servizi non retribuiti, come la pulizia delle strade o la riparazione degli edifici pubblici, per quanti non riescono a pagare un'imposta. In ogni caso, il duca mal tollera l'ozio e l'inoperosità, tanto che il mendicare viene legalmente equiparato al furto, con tutte le dovute conseguenze del caso.
Legge e tradizione spingono i giovani a svolgere lo stesso mestiere dei propri genitori, il che spinge verso un notevole immobilismo sociale. Nel contempo, questo ha fatto sì che sul lungo periodo i due sessi fossero più o meno equiparati per la maggior parte dei lavori, ivi compreso il mestiere di soldato; anche se non c'è ancora stato un decurione donna, fra i 350 soldati al servizio del duca diverse decine sono di sesso femminile.
Ma al di là di simili conquiste, la società dell'isola di Doverich è una società altamente statica e priva di qualsiasi spinta dinamica: l'incremento demografico è minimo se non assente, le arti liberali e l'espressione personale vengono disincentivati, così come l'intraprendenza economica. Pare perfino che l'argento estratto dalle miniere non venga coniato in ducali, ma semplicemente ammassato e conservato all'interno del castello del duca. Sotto la guida di Paul Von Doverich, e sotto l'insegna della freccia bianca su campo scarlatto, tutto ciò che va contro la tradizione e i costumi ereditati rischia di essere visto come un tradimento... e la pena per il tradimento è la morte.
Inutile dire che la libera comunità di Elutrias segue regole completamente diverse. Fondata la ribelli e dissidenti, questa piccola cittadina palustre non è certo quel che si può definire un centro di prosperità, ma ciononostante i suoi abitanti sono fieri della propria indipendenza. Nelle paludi, in sostanza, non esiste nessun potere assoluto: tutti i membri adulti della comunità si riuniscono in assemblea per eleggere i propri capi, e anche se agli eredi di Priscus viene riconosciuto un notevole prestigio essi sono ben lungi dall'essere una sorta di nobiltà. Gli abitanti di Elutrias vivono poco al di sopra del livello di sussistenza, nutrendosi di pesce e uccelli palustri; sono ben poche le piante coltivabili, e l'unica protezione dagli insetti è data dal fuoco o da alcune mefitiche lozioni.
Eppure, nonostante le avversità, gli abitanti di Elutrias dimostrarono il proprio valore quando, dieci anni fa, il duca decise di inviare numerose decurie a sterminare gli abitanti delle paludi: dei 90 soldati ne tornarono meno della metà, e due decurie vennero completamente sterminate. Da allora il numero di abitanti della cittadina è vertiginosamente aumentato, ma nel contempo è anche aumentato il numero di quanti intendono sfruttare questa piccola isola di libertà per il proprio tornaconto, dandosi al brigantaggio nelle terre ancora soggette all'autorità ducale.

Voci, leggende e tradizioni

Quando i coloni, guidati dal duca Paul Von Doverich I, giunsero sull'isola la trovarono già abitata. Gli autoctoni vennero forzatamente integrati dall'autorità: i loro templi, dove si adorava un antica divinità da tempo caduta in disgrazia nel continente, vennero rasi al suolo; i loro capi vennero sterminati, e nel giro di poche generazioni le due stirpi si mischiarono fino a diventare all'atto pratico indistinguibili. Eppure, qualche vestigia degli antichi abitanti dell'isola emerge ancora di tanto in tanto. Può capitare che, dissodando la terra, un contadino trovi una vecchia tomba ricolma di reliquie e gioielli dimenticati; e non è raro che un cacciatore scopra qualche rovina dimenticata nascosta nel folto della vegetazione.
In passato, era fatto divieto ai sudditi di raccogliere simili tesori, pena la morte, ma di recente il duca ha emanato una nuova legge a riguardo. In base ad essa, a qualsiasi suddito è concesso di appropriarsi di tali beni, ma egli deve immediatamente recarsi ad Astum e denunciarne la scoperta presso i magazzini centrali; là le autorità ducali catalogheranno e valuteranno i beni rinvenuti, foreranno eventuali monete con il simbolo triangolare della Lancia Dei Doverich, e restituiranno al fortunato popolato tutto quel che ha trovato, meno una quinta parte di tali ricchezze. Quanti cercassero di eludere tale controllo sarebbero considerati traditori e meritevoli di morte.
Una tale apertura da parte del duca, fino a qualche tempo fa impensabile, spinge molti a ritenere che egli stia cercando qualcosa. E in effetti tutti i calici, tutti i gioielli in pietra nera e tutte le lame di una certa dimensione che vengono rinvenute dai sudditi finiscono immancabilmente per essere confiscate dall'autorità...
Inoltre, molte delle reliquie ritrovate sembrano essere realizzate con un'arte ben superiore a quella dei nativi dell'isola. E c'è chi è pronto a giurare di aver sentito di tanto in tanto strani rumori, gutturali come il verso di una bestia e ritmici come la voce di un uomo, provenire nottetempo dal profondo di certe grotte. Qualcuno sostiene addirittura di aver visto uno strano individuo, alto e dalla pelle candida come la neve, aggirarsi per le valli più isolate; ogni avvistamento di questo straniero “dagli occhi di fuoco” è stato oggetto di indagini da parte della milizia ducale.
L'interesse del duca nei confronti del cosiddetto “pelle d'argento”, comunque, non è l'unico mistero che circonda la figura di Paul Von Doverich IV. La tradizione, infatti, impone che il duca non si mostri mai in pubblico senza i simboli del suo casato: lo stendardo con la punta di freccia bianca su fondo scarlatto, e un elmo d'argento foggiato a forma di testa di lupo che ne nasconde completamente il volto. Per questo motivo sono fiorite diverse voci e leggende riguardo alla vera identità del duca: al di fuori delle più sordide storie di impostori, tradimenti e parricidi, c'è chi sostiene che non esista un solo “duca”, ma solo un'identità fittizia che viene ricoperta da questo o da quel decurione allo scopo di mantenere stabile il proprio potere; ci sono persino quanti ritengono che il duca Paul Von Doverich IV non sia altri che lo stesso Paul Von Doverich I, un essere benedetto – o maledetto – con il dono della vita eterna.

A volte ritornano...

Me ne rendo conto: non ho scusanti.

Ho abbandonato il blog per sei mesi, ma spero che mi possiate perdonare. A parziale giustificazione posso dire che nei primi tempi ho avuto un problema con la connessione, ma ultimamente mi sono molto - detto con molta schiettezza - "lasciato andare".

Non posso promettere che non capiterà più, però posso garantirvi che, almeno per un po', riprenderò ad aggiornare il blog con una certa frequenza.

E, forse, inserirò anche una nuova categoria di post; si vedrà...

sabato 26 maggio 2012

Fra gli impegni, gli haiku

La verità è che non è tanto il tempo a essere tiranno, quanto la mia capacità di gestione dello stesso ad avere alti e bassi.
E ora sono in un periodo "basso".

Perciò non vi propongo niente di troppo corposo, soltanto una manciata di haiku.



Nel vento freddo
Di maestrale cerco
Echi di luce.

Le sulcitane
Nubi, soltanto i picchi
Sospesi in cielo.

L'erba ingiallita,
Arriva la bruciante
Aria d'estate.

Ma come un lampo,
Squarcianti d'acqua, i nembi,
Piogge di maggio.

Chiusa nel guscio,
Apatica, riposa
La tartaruga.

Percorre un cane,
Incurante, le strade.
Cerco l'amore.”

Nuovo inverdirsi
Sotto effimera pioggia,
Battito d'ali.

Sbocciano rose,
Tinte e profumi. I petali
Persi nel fango.

domenica 20 maggio 2012

Demagogo che va, demagogo che viene

Conoscere il passato è uno dei pochi modi concreti per poter fare previsioni non troppo azzardate sul futuro.

Ma intuire il futuro senza poterlo cambiare è una delle cose peggiori, ed è la condanna dello storico; è stata la condanna di chi ha visto le varie dittature nascere seguendo gli stessi passi delle tirannidi passate, è stata la condanna di chi ha visto guerre pretestuose dichiarate in nome di qualche ideale scoppiare ancora una volta a secoli e millenni di distanza dalle prime del loro genere, e in un certo senso è la "condanna" che, da classicista, in questo momento sento essere in parte mia.

Chi studia la storia della Grecia classica si imbatte in tutta una serie di figure demagogiche. Il demagogo è "animale democratico", e dunque tende a scomparire come figura in tutti quei regimi nei quali le masse popolari hanno poca voce in capitolo sulla gestione della cosa comune. Ma l'Atene classica ci offre fin troppi esempi di individui deprecabili che hanno manovrato l'opinione pubblica, debilitando lo stato, mentre venivano incensati e osannati dal popolo, quello stesso popolo che riducevano alla fame.
Il demagogo è un retore, e un retore "scomposto", gesticolante: la sua arma retorica più forte è quella di non porsi come un retore, ma come uomo della strada sul quale il vero uomo della strada può fare affidamento. Il demagogo è l'uomo che esaspera il dibattito politico trasformandolo in conflitto aperto. Il demagogo prende le persone per lo stomaco, non per il cervello; il demagogo è un populista, e uno dei peggiori.

E il demagogo, purtroppo, sembra essere il sogno erotico-politico degli Italiani, l'uomo dal quale nel più intimo del loro cuore desiderano essere messi a 90° e riceverlo fra le chiappe.

Giovenale, ultimo grande autore satirico latino, scrisse che era l'indignazione stessa a comporre i suoi versi. E in questa situazione io sono parecchio indignato.
Vedo la gente pendere dalle labbra dell'ennesimo capopopolo, un retore consumato che fa leva sul ventre molle delle persone, persone che spesso lo incensano come in Italia, paese tendente al bigottismo cattolico, avevo pur a malincuore accettato di vedere incensate quantomeno solo le persone divine e i santi vari. Il bigottismo politico è molto più pericoloso: un bigotto religioso mi infastidisce, ma a meno che non sia un folle non mi provoca danni; un bigotto politico che vota senza pensare autonomamente, ma perché ipse dixit, invece, danneggia anche me col suo voto.
Sono vissuto nell'era di un demagogo, un demagogo che ora sembra avviarsi verso l'uscita di scena.
Ma, a quanto pare, il ricambio è già pronto. E in questo semplice cambio di santino c'è chi vede la nascita di una coscienza politica di massa, come se seguire in maniera acritica i dettami di questo o quello fosse veramente un gesto coscienzioso.

L'indignazione è troppa. Ed è così che è nata questa poesia, una vera e propria satira, e anche bella lunghetta. Forse pubblicarla è un passo azzardato, perché per la prima volta prendo direttamente posizione, e prendo posizione contro l'andazzo generale di quella che sembra essere la nuova moda del momento, ma in certi casi contenersi è impossibile.


Chissà se riceverò fior di critiche, o se semplicemente verrò ignorato. E chissà se quanti ce l'avranno con me avranno anche la costanza di leggere fino in fondo, capendo che il mio vero bersaglio satirico non è il demagogo di oggi, non quello di ieri, non quello di domani, ma semplicemente il popolo di imbelli che sente il bisogno di affidarsi alle cure di un demagogo.


Quindi mi tocca di viverci assieme,
Destino balordo,
Spalla con spalla e testicolo a palla,
Assieme a quei gonzi
Pronti a staccare la spina del cranio,
Spegnendo il cervello,
Ogniqualvolta qualcuno che gridi
Più forte degli altri
Faccia promesse d'impegni fumosi
Sparando vaccate?
Poco mi cambia che questo galletto
Vociante e scomposto
Parli dal video privato od impieghi
La rete: se faccio
Qualche rapina di giorno piuttosto
Che al buio, son forse
Meno ladrone? Ma certo qualcuno
Direbbe che fare
Furti di giorno denota un agire
Sincero e corretto,
Quasi che sono un onesto grand'uomo
- Mi basta pagarlo, o
Pure mi basta che parli un idiota.
Difatti oggigiorno
Sembra sia facile, e molto, trovare un
Idiota disposto a
Fare di te che cazzoli alla grande
Il proprio profeta.
Molti si incazzano, ed hanno ragione,
Son primo fra tutti
Quando si parla dell'ira indignata,
Di quella che spinge a
Grida sdegnate, ma voi, veramente,
Sapete soltanto
Fare da antenne per quello che dice
Quell'uno o quest'altro!
Ditemi, avete un cervello, un pensiero
Da voi ragionato,
Senza che qualche santone del bene
Comune piantasse il
Proprio semino nel vostro cranietto,
Fottendovi tutto,
Piedi e capoccia, passando dal culo?
Vi basta soltanto
Parli insultando i politici d'oggi,
Che levi a vessillo il
Medio, che dica “son ladri”, “dobbiamo
Mandarli affanculo”, ed
Altre bordate ben note, per farne
Il guru del vostro
Porre crocette e votare! In che cosa
Sarebbe diverso
Questo da quello che un tempo diceva
Le stesse parole, ed
Ora s'ingrassa coi soldi statali,
Pagando diplomi,
Lauree e viaggetti a parenti ed amici?
Ma certo in passato
Molti di voi gli correvano dietro,
E gli davano il voto.
Siete davvero costanti, se sempre
Sbagliate alla stessa
Vecchia maniera! Non dubito sembri
Diverso, per ora,
Ovvio, ma senza governo e potere
Nessuno ne abusa!
Questo, mi dite, non conta: difatti,
Sostiene il coretto,
Egli non s'è candidato, non posso,
Mi dite, chiamarlo,
Dunque, politico. Spero scherziate!
Non sono, difatti, i
Soli politici quelli che “scendon
In campo”: chi detta
Linee d'azione, propone un loghetto
Mettendoci il nome,
Parla di bene comune e di leggi
Da fare e votare,
Questo, mi dite, dovrei non chiamarlo
Politico? E dunque
Quanti son capi di mafie, padrini ed
Affini, che stanno a
Casa in poltrona e comandano agli altri
Le linee d'azione
Senza sparare né fare minacce,
Direste che questi
Qui, sciagurati, non sono mafiosi?
Ma spero scherziate,
Via, per davvero: gli eredi di tanto
Ben celebri e noti
Santi e poeti e scienziati e falsari
Non possono adesso
Credere a tali boiate. Vogliamo,
Fra l'altro, parlare un
Poco di quanto propone il maestro
Del “cazzo” e del “vaffa”?
Oltre alle cose scontate, che senti
Perfino dai muri,
Tanto son dette e ridette e volute
Da tutti, che cosa
Dice di saggio quest'uomo? Vi siete
Scordati di quando
Egli parlava dei sacri confini
di Patria, del sangue
Puro di Italiche genti, di come
Dovesse il paese
Chiuder le porte a chi viene dal mare?
L'avete scordato? O
Pure per voi tali cose non son da
Razzista, ma sante,
Vere e ricolme del vostro fascismo
Perbene? La mafia,
Ditemi, pure per voi non sarebbe
Spietata assassina,
Piaga d'Italia? L'ha detto quel vostro
Santone. E che dire
Poi della balla che lava, o di come il
Computer, strumento
Tramite il quale il potere controlla
Le masse, di colpo
Sia diventato per lui democrati-
Co, e pure per voi, ma
Solo da quando anche lui se ne serve
Per fare opinione?
Sì, lo conosco quel mantra che avete
Stampato nel cranio:
Uno vale uno”. Ma allora perché vi
Levate in difesa,
Quali crociati ricolmi di zelo,
Appena qualcuno,
Spesso indignato per quello che dice
Parlando a sproloqui, un
Poco lo critica quando lui sbraita e
Proclama cazzate?
Basta talvolta soltanto astenersi
Dal tessergli lodi
Piene e totali, ed eleison e gloria,
Per farvi balzare
Ritti ed irsuti nel pelo, le bave
Schiumanti alla bocca,
Pronti a rispondere colpo su colpo a
Le ingiurie supposte,
Quasi che foste le guardie del papa
Compatte in falange
Quando di mezzo alla folla qualcuno
Gli spara o bestemmia
Contro. Credete che tutti, se sono
Ben poco propensi a
Fare l'inchino all'ennesimo dono
Del fato, al grilletto
Moscio che spara le stesse bordate
Da gran demagogo
Viste e riviste anche in salsa piccante,
Per questo credete
Siano dei servi di qualche partito? E
Davvero credete il
Vostro non sia per davvero un partito?
Sapete, anche il mulo
Spesso è convinto di andare lontano,
Girando la mola,
Quando non vede nient'altro che quello
Che vuole il padrone.
Forse ho capito: v'ha detto per caso
Qualcuno che quelle
Vostre appendici asinine sul capo
Vi rendono scaltri,
Popolo ricco e sovrano di pari al
Re Mida? Chissà. Se
Voi veramente volete cambiare
Qualcosa in Italia,
Fatelo subito, adesso: iniziate
Mandando affanculo
Quello che manda i profeti ed i capi a
Sturarsi le chiappe,
Dategli un cappio alla forca mordace
Da lui costruita.
Fatelo: in molti verranno alle vostre
Bandiere, vedendole
Libere e schiette. Ma temo che invece
Nell'intimo vostro
Voi non vogliate decidere nulla
Da soli: cercate
Sempre, da sempre, un dorato bugiardo
Che parli di miele
Mentre vi incula, e per quello,
Se quello lo vuole,
Siete disposti ad urlare che il sole
Non brilla, a chiamare
Fresco profumo la puzza di merda.
Vi basta soltanto
Offra certezze: che importa del vero e
Del falso, purché si
Mostri sicuro il profeta che parla?
Pensavo sepolto
L'ultimo re demagogo d'Italia,
Sepolto nel fango
Dove soleva danzar. Mi sbagliavo,
Italiche genti:
Subito avete trovato d'un altro
Sovrano allettante il
Comodo verbo. Tenetelo stretto, e
Chinate la testa
Verso il suo giogo per asini e porci:
L'avete voluto. E
Quando l'avrete deposto, capendo il
Marciume che dice, un
Altro profeta verrà, lo farete
Signore e padrone.