lunedì 31 dicembre 2018

L'Isola di Doverich - landa isolana per L'Ultima Torcia

Questo lavoro, da un certo punto di vista, risale a cinque anni fa.
Quando la 5^ edizione di D&D era ancora là da venire e l'Old School Renaissance sembrava la tendenza ludica più appetibile (almeno per me) vide la luce un'ambientazione dannatamente Old School: L'Isola di Doverich.
Ovviamente l'ambientazione non ha visto l'utilizzo che speravo, principalmente perché poco dopo ho mollato i GdR della OSR.

Però, eh, era una ambientazione a cui tenevo.
E poi non è proprio vero che ho mollato i GdR "vecchia scuola": ho mollato i retrocloni, ho mollato i giochi da nostalgico, ho mollato quel modo di giocare che in un paese dove la coscienza storica non è di casa vengono considerati "vecchia scuola", ma continuo ad amare e giocare titoli come... come L'Ultima Torcia.



E quindi ecco qua il mio lavoro ludico di fine anno: un colossale adattamento dell'Isola di Doverich al regolamento de L'Ultima Torcia.
Cinquantaquattro pagine illustrate, impaginate e colmate di refusi, pronte per chi passerà l'ultimo dell'anno a giocare di ruolo (fortunelli!)

Giocatori italiani, la moorcockiana Isola di Doverich (LINK). Isola, i giocatori.
Tanti auguri, va'!

martedì 25 dicembre 2018

Natale in gilda!

Ieri ho ricevuto il miglior regalo di natale possibile: il mio primo stipendio come professore di liceo. Primo di non si sa quanti (per ora due certi, forse tre), primo di una serie spero lunga ma non ancora determinata, ma comunque "primo": non "unico". Da qui in poi, accumulando punteggio, le cose non possono che migliorare.


Ora, la cosa veramente bella dei regali e del denaro non è tanto ricevere, quanto condividere. E' per questo che, da anni, tutti i miei regali al parentado sono regali solidali. Dopotutto, dalla mia ottica umanistica, l'essenza della celebrazione sta nell'umanità e nell'altruismo, non certo in rievocazioni e rituali affini.

Condivisione. L'uno che aiuta l'altro fino a che ne ha bisogno, a ciascuno secondo le necessità, da ciascuno secondo le possibilità. Ditela come volete.

Ok, tutto bene, tutto bello, tutto condivisibile a meno che non abbiate l'intestino dentro la cassa toracica, ma che c'entra tutto questo con i tag di D&D?


Beh, è molto semplice: da questo momento in poi, tutti i miei contenuti sulla Dungeon Masters Guild passano a essere acquistabili con la formula pay what you want.

Paga quel che vuoi: zero? Un dollaro? Un centesimo? Una birra se ci si vede dal vivo? Un "bravo, ragazzo, bravo"? Quel che vuoi.
Le vendite sulla DM Guild mi hanno aiutato, in periodi di ristrettezze economiche, a tirare avanti con qualcosina di più del necessario; ho ottenuto quasi mille dollari nel corso di trentacinque mesi. Bazzecole, bubbole, quisquilie, ma pur sempre qualcosa. Qualcosa di cui ora però posso fare a meno.

Grazie, veramente, di cuore a chi mi ha supportato con qualsiasi cifra nel corso di questi anni. E' soprattutto grazie a voi se oggi tutto quel che ho creato, e che spero di poter continuare a creare e caricare sulla DM Guild, sarà accessibile a chiunque.

Che aspettate? Fate incetta di quel che volete, il link è QUI.

domenica 18 novembre 2018

Un'idea ludico-classicisticheggiante

O, anche, progetti che non vedranno mai la luce.

E' un'idea che ho in mente da tempo: un'ambientazione ellenicizzante per D&D 5^ edizione, un ipotetico mondo fantasy standard in cui si trovano catapultati un gruppo di antichi Greci, la scusa per fondere due mie passioni, una delle quali è così grande che ne ho fatto la mia carriera (anche se i posti da insegnante di latino sono molti più rispetto a quelli come docente di greco). Solo che sono pigro, pigrissimo, e quindi anche di questo progetto rimane la consapevolezza che è un'idea forse scrausa e scontata, forse (penso spesso) fighissima, ma che non avrà mai una forma concreta e coerente se non al di fuori della mia mente.




"Quando il mio sguardo si posò per la prima volta su Amphipolis, non potei evitare di essere colto dalla meraviglia.
Non era quella la prima città che vedevo: conoscevo bene le fortezze megalitiche dei nani, le mura possenti tese fra torri ampie ed estese in profondità quanto e forse più che sulla superficie del suolo; avevo osservato con curioso interesse le piccole case degli gnomi, quegli agglomerati di edifici squadrati in vetro e pietra artificiale che sembravano alludere a qualcosa di più maestoso; né, ovviamente, mi erano estranee le grandi capitali della mia terra, le maestose e discrete torri degli elfi. In precedenza, avevo ritenuto che nessun altra cultura potesse rivaleggiare con la bellezza delle dimore dei nostri re: chi altri poteva edificare delle torri così slanciate, capolavori di pietra che si fonde col legno in un armonioso abbraccio fra natura e architettura?
Ma Amphipolis la Duplice, la grande capitale degli umani, mandò in frantumi tutte le mie certezze. Era come se gli dei avessero voluto ispirare i loro favoriti con tutti quei doni che avevano diviso fra le altre stirpi, permettendo loro di costruire la summa di tutto ciò che di grande e maestoso esisteva al mondo.
Dalla nave potevo scorgere i tetti dei templi, lontano sull’acropoli, che splendevano al sole; i luccichii dorati confermavano le voci che avevo sentito riguardo l’abitudine degli amfipoliti di decorare i palazzi con metalli preziosi. Anche gli edifici minori, che si affastellavano lungo le balze dei colli e diventavano quasi un’unica distesa biancheggiante sulla costa occidentale, emanavano una nobile semplicità capace di commuovere l’animo di un orco. Ma quello che mi colpì maggiormente fu l’ampio portico che cingeva l’intero porto di Amphipolis, proseguendo idealmente su entrambi gli scali le arcate del grande ponte. Le sue colonne erano insieme possenti e delicate, come le forme candide e seducenti di un dio; il marmo nero dei pavimenti e dei plinti, più che a un criterio di comodità, sembrava obbedire al desiderio di far risaltare ancor di più la delicatezza dei pilastri e dei capitelli.
Solo in seguito scoprii che quel portico maestoso, la Stoà Xenikè, era stata costruita apposta per impressionare i visitatori e i mercanti stranieri, e che in caso di bisogno le sue ampie arcate potevano essere chiuse da possenti porte in metallo, benedette dai sacerdoti di Efesto per resistere a ogni assedio. Né, d’altronde, gli umani avrebbero potuto costruire un’opera tanto maestosa senza la manodopera di migliaia e migliaia di schiavi, il cui sangue e sudore avevano alimentato la grandezza della città.
“Le mura e i palazzi di Amphipolis sono edificati sulle ossa dei suoi schiavi”, mi dissi, ripetendo il vecchio adagio che una generazione prima aveva spinto la mia gente, così come pressoché tutte le altre stirpi, a una guerra senza quartiere contro gli amfipoliti. Era stato un conflitto sanguinoso e tanto spietato quanto il crudele giogo degli umani, a quanto mi era stato riferito da chi vi aveva preso parte. Ma, alla fine, la confederazione aveva avuto la meglio: quali che fossero le loro antiche abitudini, quali che fossero le usanze dei loro avi helladiani, ora gli amfipoliti vivevano fra di noi, e nessuna stirpe aveva mai trattato le altre come dei semplici oggetti da possedere, degli animali da fatica dotati di due gambe anziché di quattro zampe.
La liberazione degli schiavi aveva provocato dei grossi mutamenti nella cultura di Amphipolis, e ben presto scoprii che con l’affrancamento di massa non aveva certo avuto termine l’oppressione degli umani sui propri simili e sulle altre stirpi: ancora i mezzosangue vivevano in ghetti, e ancora i più tradizionalisti fra popolani e nobili amfipoliti non cercavano neppure di trattenersi dal dileggiare la parlata degli stranieri.
Eppure, sentivo un nuovo vento di cambiamento che soffiava sulla grande città e sulle terre circostanti, leggero ma deciso come la brezza che gonfiava le nostre vele; di quel cambiamento io e i miei compagni saremo stati fra gli artefici, prima come semplici avventurieri e poi come agenti scelti di Amphipolis e degli Dei Olimpi nelle terre circostanti… ma questo, ancora, non potevo saperlo. Potevo solo trattenere il fiato, in ammirazione, davanti alla magnificenza della Stoà Xenikè, e domandarmi quale destino le Moire avrebbero intessuto per me."

sabato 17 novembre 2018

Un nuovo angolo dello stesso cielo

Alla fine, infine, è successo: ho trovato lavoro per una supplenza discretamente lunga in quel di Milano. Inizia così il processo di accumulazione del punteggio, inizio così a farmi le ossa sul lavoro, inizio così a poter ottenere una vita che sia mia.
Un nuovo inizio comporta però anche un accantonamento, se non un abbandono, di tutta una serie di cose. Libri, fumetti e miniature sono rimasti quasi tutti a casa, così come ho dovuto salutare per qualche tempo le mie vecchie abitudini. Il lavoro impone un ritmo a cui non ero abituato, soprattutto a causa dei tempi necessari per gli spostamenti, e questo ostacola quasi ogni sforzo creativo.

Incredibilmente, però, il "nonc'èlo" (come chiamo il cielo della Lombardia, contrapposto al cielo smosso dal vento della mia città) mi ha ispirato due poesie. Due attimi, due brevi istanti strappati ad un autunno che è dannatamente diverso dalla stagione verde e vitale del novembre sardo.

Piuma leggera
Che volteggia, travolta, al
Vento d'autunno.

Foglie sul fango,
Un tappeto di morte,

Un cielo grigio.

martedì 16 ottobre 2018

Carro di Terhali completato (kibashed seeker chariot of Slaanesh)

Per la prima volta da tantoquanto, ho terminato una modifica sostanziale entro un paio di settimane da che l'ho dipinta. Forse per la prima volta da che "dipingo" e non "coloro", in effetti.
E sì che qui c'erano tre pezzi da dipingere separatamente.
  

Fra l'altro, in corso di pittura ho realizzato due modifiche ulteriori. La prima è stata spostare alcune lame dalle ruote posteriori ai mozzi frontali del modello, per dargli un impatto ancora più brutale.
La seconda, invece, consiste nell'aggiunta di uno stendardo con la scritta "Yagala", यगल​ in devanagari, sul retro del modello. Yagala, la Città Dorata, è la capitale che Terhali fece costruire per Melniboné, durante il suo secolare regno, al posto di Imrryr la Bella, la Città Sognante che tornò a essere capitale solo per essere poi data alle fiamme mille anni dopo quando Elric tradì la sua gente e il Fulgido Impero onde riconquistare la sua amata.

Con una piccola licenza poetica (tecnicamente c'è scritto YagaL con la "L" vocalica") ho inserito il simbolo di Slaanesh all'interno della scritta.





Il carro e la bestia da traino, le cui catene sono state aggiunte e dipinte in un secondo momento, sono incollati alla basetta con attak e vinavil: un perno rigido e una struttura flessibile attorno. In particolare, la bestia è fissata al carro tramite la coda, in modo da avere tre punti di appoggio ed evitare di oscillare.


A proposito del bestio: si vede che Gardaland mi piace un sacco e che I Corsari sono la mia attrazione preferita?
Me ne sono accorto solo dopo aver assemblato e dipinto il pezzo. E' incredibile quanto certe cose ti restino nella mente e riemergano solo dopo aver dato frutti.



Le due ancelle di Terhali sono due demonette che ho dipinto tanto tempo fa. Ri-dipinto, in effetti: non vi dico come erano prima. O meglio, sì: totalmente nere con dettagli oro e rosa sbavati e mal coprenti. Rispetto a quelle originali ho dato due tocchi di luce in più col fenris grey. Tanto per non farle stonare troppo su un pezzo dipinto da un me decisamente meno incapace. 


Il pezzo forte, ovviamente, è lei, Terhali. Pelle verde, capelli verde scuro, vestita di pelle umana.


La basetta con cui usarla a piedi è in realtà solo un riempitivo, perché come potete vedere la sua basetta vera è una moneta da un centesimo, adornata con sei tentacoli, che serve a magnetizzarla sul carro.


Quelle che dovrebbero essere gemme sono per Terhali occhi caotici.







Momento sclero: Terhali vs Elric.


Momento orgoglio: tre carri di Slaanesh, di cui solo uno banalmente ufficiale. Amo autocostruire e modificare e assemblare in maniera imprevedibile.


domenica 7 ottobre 2018

Di pitture e folli assemblaggi insensati (chaos familiars from Silver Tower, plus kitbashed chariot of Slaanesh)

Tutto è nato dal proposito di dipingere i pezzi acquistati ab illo tempore prima di acquistarne di nuovi.
Fra questi c'era una succube degli elfi oscuri che proprio non mi decidevo a dipingere. Poi, come spesso accade, ho avuto un lampo di ispirazione e ho scoperto che due nel nostro caso tre quattro zoppi camminano bene come una persona normale.


Come potete vedere di fianco ai quattro famigli del Caos di Silver Tower mancanti, il progetto ha preso forma e sta prendendo addirittura pittura!

Ma prima vediamo i quattro accompagnaCaos.


Anche per loro, come da nuovi propositi personali, ho preferito puntare su una pittura più basilare, un reimparare a camminare prima di cercare di correre e finire così fuori strada. Idem per i colori: pochissimi "tocchi uaddefac" di tinte diverse, anche rinunciando alle mie tinte preferite se la loro presenza si traduce in un pugno in un occhio.


Mentre i due famigli poveroyorickanti hanno colori diversi, per i gallinacei ho scelto un unico schema di colore.



Ma ora torniamo al carro di Slaanesh, e alla sua genesi.

Avevo una succube degli eldar oscuri, comprata due anni fa e assemblata senza dipingerla. Ero tentato di rivenderla a metà prezzo, poi ho finalmente deciso di aggiungerla alla mia collezione di miniature a tema Moorcock.
Nello specifico, avevo deciso di farne una versione in armatura di Terhali, l'Imperatrice Verde di Melniboné. Terhali compare per la prima volta in un fumetto del 1972 che rappresenta forse l'epitome dello Sword & Sorcery: il team-up con tanto di botte iniziali fra Conan il Barbaro ed Elric di Melniboné.


Successivamente, Terhali è comparsa anche in un romanzo della serie di Corum, The Sword and the Stallion, ma già dalla sua prima comparsa come villain si traggono alcuni tratti interessanti per il suo uso in Warhammer. Figlia di un imperatore melniboneano (quindi simil-elfico: pressoché tutti gli elfi oscuri depravati e amanti di droghe e schiavitù del genere fantasy hanno nei melniboneani i loro perfidi e condannati avi) e di un demone, regnò per secoli e secoli; era devota di Xiombarg, la Regina di Spade, oscura divinità del Caos che si ammantava di vesti femminili per nascondere la sua letale forma demoniaca. In pratica, Xiombarg è una delle fonti principali su cui poi si sarebbero basati i creatori di Warhammer per la figura di Slaanesh.

Con queste premesse, non potevo non dipingere la mia succube come Terhali, un emissario demoniaco di Slaanesh. Non per forza un araldo, eh: dopotutto Yyrkoon, cugino di Elric e brevemente imperatore di Melniboné, devoto di Mabelode il Re di Spade, condivide il suo nome con un demone infimo che a sua volta compare in un romanzo di Corum.

Lo schema di colore era quindi deciso: carnagione verde, capelli verdi, vestiti in pelle umana e metallo semplice con alcuni fregi in oro. Ché mi piacciono anche i fumetti, ma la colorazione di quelli anni '70 non è esattamente da copiare per qualcosa che non sia "trip lisergici bruttissimi".


Poi sono partite le riflessioni: nella mia bitsbox sono pieno di icone e simboli vari di Slaanesh, e ho quasi 60 demonette per cui due posso pure permettermi di sacrificarle.


E ho ancora un naggaronte vecchissimo, preso quando usai una incantatrice degli elfi oscuri da poco ridipinta come araldo di Slaanesh a cavallo, nel lontano 2010. Era stata la mia prima conversione, in effetti.
Per non parlare della coda di coccatrice dalla cui parte superiore ho a suo tempo ricavato un demone maggiore di Tzeentch che esce da un portale.


E, dannazione, ho ancora il telaio del carro degli elfi oscuri da cui ho ricavato due principi demone!
Il tutto è superiore rispetto alla somma delle parti, no? E se un carro di Slaanesh è guidato da quella che fu un tempo un'elfa è chiaro che sia a tema elfico, no?


Il primo obiettivo è stato creare una bestia da traino che fosse sufficientemente repellente, sproporzionata e plausibile. Per fortuna avevo una testa di ogre da qualche parte. Qui potete vederlo anche con il suo giogo, ricavato da un pezzo del carro, che verrà poi completato con delle catenelle a pittura terminata.


Il corpo del naggaronte vecchio è dannatamente tozzo, per cui una coda lunga e affusolata aggiunge quell'insensata mutevolezza di cui avevo bisogno. La presenza di peli in vari punti del dorso serve ad armonizzarsi con la sua faccia umanoide, mentre le chele di demonetta non potevano mancare. 


Dopotutto, che cosa sarebbe il Caos senza le sue creature chimeriche?



Riguardo al carro, invece, il lavoro principale è stato una conversione del suo telaio con due dettagli interessanti: una vittima sacrificale, due o tre zone di infestazione demoniaca, ulteriori lame che spuntano fuori da ogni dove, e due posti per le due demonette ancelle. Sapevo che quei due bottoni messi da parte mi sarebbero stati utili, prima o poi.


Le due lame superiori riprendono il simbolo di Slaanesh, e la vittima sacrificale è quel tocco di spietatezza melniboneana che non poteva mancare.

  



Ovviamente, Terhali verrà poi privata della basetta di pittura e magnetizzata per poter stare sul carro. 


Dato che questo pezzo è più alto del carro ufficiale, la basetta doveva essere bassa, ma non per questo priva di decorazioni, no?



Potete vedere come verrà poi assemblato il trittico carro-basetta-bestia da traino.



Ovviamente, solo a pittura iniziata ho deciso di aggiungere questo ulteriore tocco al pulpito di Terhali.




Lo schema di colore è già deciso: carro color metallo con fregi in oro, bestio dalla pelle violacea con numerose parti ossee e il pelo di colore... uhm, boh, forse come i capelli di Terhali.



Ecco la basetta a metà pittura.


Ed ecco un assemblaggio quasi-finale del carro. Dico "quasi" perché ho già modificato ulteriormente la basetta. E' questo il bello dei lavori di conversione: sai come inizi, ma non come finirai.


Se non altro, però, loro dieci e i dieci orrori di Silver Tower sono finalmente dipinti. Il resto seguirà, temo, nel duemilaecredici. L'importante è crederci.