lunedì 26 dicembre 2011

Haiku di dicembre

Come impone la legge non scritta delle vacanze, è un periodo nel quale si ha molto da fare ma non si combina mai un cavolo.

Per questo motivo, il mio aggiornamento di ora sono solo questi brevi haiku, scritti in tutto l'arco del mese festaiolo ormai prossimo alla conclusione.



Volti degli astri
Caduchi, le splendenti
Luci in inverno.

Un sole forte,
Come un bimbo che ride
Mostrando il volto.

Squarci di sole, il
Manto grigio di nubi
Copre ogni cosa.

E piove tenute il
Cielo radioso, terra
Che si raggela.

Alto sovrano,
La corona dei raggi, il
Volto celato.

Freddo di fuori, un
Gelo più grande morde
L'anima trista.

Nubi d'uccelli in
Fuga, avanza l'inverno
Dal volto freddo.

Dopo le piogge,
D'un terso che ferisce, il
Cielo di ghiaccio.

Inaspettato il
Sole d'antevigilia
Splende beffardo.

venerdì 16 dicembre 2011

Nell'uscire dal roveto.

Non commento la poesia, si commenta da sola.

Il brutto del molto "sentire" è che ci si brucia con una scintilla, e che si soffre per quella bruciatura come per un coltello nel fegato.



Cenere grigia, nient'altro rimane
Nel vento che un tempo
Lieve spirava di brezze e profumi.
Mi persi, seguendo
Dolci fragranze di rosa, fin dentro un
Roveto, cercando, in
Vano, trafitto da spine nel corpo,
Nell'animo, un'ombra
Fresca che fosse ristoro per me. Ma
Quei rovi eran fitti,
Lacero e stanco dovetti accettare
Che quello non era il
Luogo bramato: il profumo portato
Dal vento spirava
Solo per me, che sentivo nel cuore il
Bisogno d'un prato,
Fresco di fiori, laddove potessi
Trovare ristoro.
Eccomi adesso, in ginocchio nel fango,
Lo sguardo soffermo
Sopra quel cielo nel quale la luna
Svanisce sottile, il
Cielo che piange con lacrime fredde
Per me che lo guardo.

martedì 13 dicembre 2011

Due componimenti gemelli

Queste due brevi poesie sono idealmente l'una il seguito dell'altra.
Una riflessione a margine può essere che, a quanto pare, sono un "innamorato mannaro", di quelli che si struggono di più quando la luna è piena. Chissà come sarei depresso su un pianeta con sette lune.


Muoiono i sogni di ieri, ricordi
Di quando speravo in
Stelle diverse. Mi paion lontane
Adesso, ne scorgo
Solo un'immagine spenta: son fredde,
Son morte, da quando
Sorse nel cielo una stella più grande,
Una luce radiosa,
Piena ogni istante di grazia maggiore.
Talvolta la sfioro,
Tese le dita in un gesto impacciato
D'amore, carezza
Lieve, stentata, di timido amante
Che sogna, rapito.


Oggi la luna era piena, uno specchio
Di luci e di sogni.
Pallida luce emanava dall'astro,
Sfumata nel bianco:
Nubi sottili velavano il volto, i
Contorni confusi
Come da lacrime calde. Non posso,
Mia luna, non posso
Dire di più su di te, su quel volto
Che sogno ogni notte.
Sembri vicina, il tuo nome al mattino
Sul labbro, ogni giorno, e
Pure distante, celata da un velo
Sommesso di nubi.

mercoledì 7 dicembre 2011

Dalla mitologia a me

L'ennesima, seria ma non troppo, poesia da innamorato autorepresso e timido.

In questo caso, però, ai soliti temi ho aggiunto un riferimento mitologico (con rovesciamento finale) che viene chiarito solo nel quartultimo verso.
Intanto, il grande componimento del quale parlo ormai da un mese non è ancora stato concluso. Son lento, lo so, ma sono tanti, tanti versi.



Narrano i miti che solo il Signore,
L'Asceta Divino,
Unico in tutti i tre mondi del cosmo,
Poté senza affanno
Rendersi immune alle frecce d'Amore.
Lo vinse, si dice,
Solo la Figlia del Monte, quand'ella
decise di darsi al
Duro patire d'ascesi, impietosa,
Per rendersi degna,
Simile in tutto al bramato compagno,
D'essergli sposa.
Questo si narra. Ma come potrebbe
Un uomo comune, in
Preda ai tumulti del cuore, riuscire
Laddove soltanto
Uno poté di siffatta natura?
E come, mi chiedo,
Posso resistere essendo qual sono,
Sensibile e stolto,
Lesto a bruciarmi col fuoco provato
Nell'animo? E come
Posso resistere all'anima pura
Di lei, lei radiosa
D'ogni sognata virtù, della grazia
Bramata da sempre,
Giovane fiore di loto dal volto
Di luna? Ma lei non
Prova per me la passione che sento
Nel solo a pensarle ,
Lei certamente non m'ama, lo vedo.
Ma donami allora,
Figlia del Monte, una salda fortezza
Nell'animo, dammi,
Grande signora, la forza interiore
Di spirito saldo
Grazie alla quale potesti, soffrendo
Con gioia l'ardore,
Renderti simile ai sogni di Śiva,
Che possa anche io stesso
Rendermi simile ai sogni di lei,
Che mi prese nel cuore.

venerdì 2 dicembre 2011

Armi, metalli e battaglie in RuneQuestII

Dopo lungo e sofferto travaglio di nascita, ho finalmente dato forma apprezzabile a tutta una serie di regolette per RuneQuestII che mi ronzavano in testa da mesi.

Trovate tutto in questo PDF, parzialmente illustrato e probabilmente prossimo a essere entro breve aggiornato, cosa sulla quale -perdonatemi il gioco di parole- vi aggiornerò.

Armi, Metalli e Battaglie

giovedì 1 dicembre 2011

Satira I

Breve introduzione filologica: la satira latina, definita come il primo genere "nato a Roma", pur derivando da modelli greci per le tematiche si differenziava notevolmente da esse in virtù dell'adozione di un metro "alto", quell'esametro dattilico dell'epica che da tempo mi balocco a rendere in Italiano.
Vuole il caso che io stia frequentando in facoltà un corso monografico sulla satira latina, e vuole la mia natura che io sia portato a comporre basandomi anche e soprattutto su quel che studio.

Avrete ormai capito qual'è la conseguenza delle due premesse.

Quella che vi presento è la seconda "satira" che ho iniziato a scrivere, ma la prima a esser stata completata; la sua sorella maggiore, difatti, è un satirone "di viaggio" che, pur coi suoi 700 e passa versi, non ho ancora completato.
In questo caso, invece, il tema è una sorta di polemica contro quanti attaccano la morale atea, come contro quanti agiscono senza alcuna morale reale, e si conclude con un piccolo accenno personale a quei problemi che ultimamente mi stanno un po' levando il sonno.



Molti lo so, non si pongono questi
Problemi: non seguon
Codici, alcuna morale, al di fuori
Del fare soltanto il
Proprio piacere. Non pensano poi a
Che cosa potrebbe, ef-
Fetto inatteso, accadere per causa
Di quanto compiuto.
Peggio, parecchi non mostrano cura
Degli altri, di quello
Che essi potrebber soffrire a ragione
Dei loro voleri.
Sono diverso, lo so, o quantomeno
Da tempo mi sforzo
D'esser diverso, seguendo dei duri
Principi morali.
Molti ritengon che noi, i “senza dio”,
Siam privi del tutto
D'ogni possibile sano valore; im-
Becilli: seguiamo
Codici nostri, e bizzarri talvolta,
Ma rigido e serio
Quello di quanti si pongono l'uomo
Qual solo obiettivo.
Spesso, è più duro seguire la legge
Dell'uomo rispetto ai
Mille supposti mandati divini:
Lo so, io lo soffro.
Quanto sarebbe più facile agire,
Seguendo soltanto i
Propri volevi, oltre i limiti, oppure
Peccare sapendo
Sempre a portata di mano una qualche am-
Nistia dei peccati.
Io non ricorro a mezzucci di questa
Miserrima specie:
Giudice sono, e carnefice spesso, a
Me stesso. E pertanto
Ora, da tempo, m'impongo una calma
Che certo non sento
Dentro, nel cuore: m'impongo freddezza -od
Almeno ci provo:
Quanto è difficile rendere muto
L'alato, il crudele!

martedì 29 novembre 2011

Haiku a fine novembre

Ultimamente mi son dedicato prevalentemente ai miei distici, trascurando le altre forme di poesia che mi stavo abituando a praticare. E' per questo motivo che nelle ultime settimane ho deciso di darmi un po' da fare con gli haiku, tirando fuori questa serie di componimenti brevi.
E, visto che ci sono, ho deciso che spiegherò brevemente le circostanze di nascita di ciascuno di essi.

Il primo risale a uno spunto di qualche anno fa, che avevo già messo in versi in passato ma al quale ho preferito dare una nuova forma di haiku, dato il suo carattere di impressione momentanea. E per la cronaca gli occhi in questione erano assonnati per la sveglia alle sei e sono stati appena scorti in un pullman strapieno, ma il bello della poesia è la sua capacità di mascherare ed eternare anche i momenti di più assurda banalità.
"Banalità" che trionfa nella seconda e nella terza poesia; la seconda fa riferimento specificamente a una tecnica pittorica, la terza al mitologico amore fra terra e cielo sotto forma di pioggia.
La quarta poesia, invece, fa riferimento a una brutta situazione, durata alcuni giorni, nella quale mi son trovato qualche settimana fa. Ne sono uscit, ma in principio ero veramente così abbattuto che neppure un tuono mi avrebbe scosso.
Il quinto e il sesto haiku fanno sia riferimento a quello stato interiore, sia alla mia situazione sentimentale "deamorosa": anche la rugiada ghiaccia in brina se la notte è gelida, e anche un cristallo che pensiamo esser duro e resistente, formato dal gelo, va facilmente in frantumi.
Ma con il settimo haiku, composto quando ho risolto il problema universitario che tanto mi stava facendo penare, ho cercato di fissare la gioia che veramente sentivo in quel momento nell'animo.
Peccato che poi gli altri problemi, svanita l'euforia, mi siano tornati in mente. Da qui l'ottavo e il nono haiku, metafore naturalistiche di come una volta tramontato il sole del momento di gioia serva veramente un'altra luce per non gelare di solitudine.
La decima poesia, prettamente naturalistica, è nata semplicemente osservando alcuni fiori caduti a terra durante la pioggia della notte precedente; e, riflettendo sulle differenze fra quei bouganville e quelli che, sempre a terra, vedo ogni estate, è nato l'undicesimo haiku.
Anche il dodicesimo è derivato semplicemente dall'osservazione di un esile ramo di quercia, strappato dal vento, ai piedi della pianta, mentre nel tredicesimo ho unito all'esperienza visiva della passiflora, rampicante tenacissimo e infestante ma quanto mai discreto in inverno, l'idea di un'altra passione che allo stesso modo si ferma, pur volendo effondersi in mille abbracci, in attesa della primavera.



Ammiro, ardendo
Di un'insana passione,
Occhi di brace.

Un velo grigio
Le nubi, pennellate
D'acqua sul sole.

Dolce carezza
L'erba sottile, bacia
La terra amata.

Lampi distanti:
Ormai neppure il tuono
Mi dona nulla.

E la rugiada
Si gela in brina in queste
Notti crudeli.

Rigido, saldo,
Un cristallo di ghiaccio
Fragile in cuore.

Svanite, nubi:
Oggi risplendo come
Sole tenace.

Ma poi nel buio,
Costante, ad ogni sera,
Sprofonda il sole.

Oggi non sorge
La luna, resto solo
Nel buio, al freddo.

Bouganville tenui,
Come un bacio di viola
Perso nel fango.

Bouganville tenui,
Come un manto di viola
Nel suolo fesso.

Ramo di quercia.
Cadde a terra, col vento,
L'esile prole.

La passiflora,
L'abbraccio trattenuto,
Ferma, in attesa.

venerdì 25 novembre 2011

Pochi rapidi versi

Mentre finisco e rifinisco gli ultimi componimenti, tanto per non dire che non aggiorno mai il blog, vi propongo questi rapidi versi scritti alcune settimane fa.



Chiara la luna, nel cielo, al mattino,
Ricolma di grazia,
Oggi mi inebria col viso lucente,
Lo sguardo di miele
Tutto mi prende nell'animo, e dolce
Sorrido, rapito.

giovedì 17 novembre 2011

Sull'albatro e sull'uomo

Questa volta, il punto di partenza della poesia è Baudelaire, con il suo celebre componimento che assimila l'albatro caduto in terra al poeta, anche se ho tratto alcune espressioni direttamente da Alcmane (e nello specifico da un componimento che ho tradotto e proposto sempre sul blog qualche mesetto fa).

E' una poesia abbastanza lunga, e spero che per questo mi perdionate l'interminabile ritardo negli aggiornamenti. Ma ho in cantiere un altro grosso componimento, ancora incompiuto, che quando sarà terminato si aggirerà sui 750 versi.

Intanto, godetevi quel che ho già scritto e revisionato.



Alto con l'ali d'un angelo, enormi, im-
Ponenti, nel cielo
L'albatro vola, sovrano davvero
Dell'aria e dei nembi.
Vola, sospeso dai venti più caldi,
Sul fiore dell'onda.
Battiti lievi gli bastano infatti,
Con l'ali gentili
Tese per cogliere l'aria, ad alzarsi
Fin oltre le nubi.
Pure, talvolta precipita al suolo
L'uccello divino,
Come tradito dal vento nel quale,
Fedele, sperava.
Altri hanno scritto di come si muova,
Ridicola e goffa,
Sopra la terra la misera bestia,
Dal corpo forgiato
Certo per stare nei cieli, inadatto
Al mondo crudele.
Vive una vita sofferta, reietta,
Macchiate di grigio e
Sporco le candide piume d'un tempo.
Ma pure dal suolo
L'albatro sente talvolta una brezza
Spirare leggera, e
Spera che possa sospingerlo in alto,
Nei cieli. Talvolta
Presto svanisce quel soffio, speranza
Fasulla, talaltra
Forte si mostra, capace di fargli
Sfiorare di nuovo il
Cielo con l'ala. Bramando nel cuore
Le nubi ed il vento,
L'albatro certo vorrebbe seguire
Quel soffio, ma teme
Sempre che possa mostrarsi la brezza,
Cui dona l'abbraccio,
Flebile, un vento che dura soltanto un
Istante, e che presto
Lascia da solo, in rovina, l'alato,
Caduto nel fango.
Dunque, spiegando le piume nel darsi a
Quel soffio bramato,
L'albatro, in preda al timore, non cede
Del tutto alla brezza.
Lui, combattuto fra sogno e paura,
Tra dubbio e speranze,
Vola provando un confuso sentire:
Andare, donatosi al
Soffio celeste, fin oltre le nubi,
Oppure lottare
Contro la forza impetuosa del vento,
Tenersi vicino
Al suolo terreno, volevo soffrire
Di meno qualora il
Vento dovesse cessare, cadendo
Dal cielo distante
Senza toccarne con mano, impietoso
Ricordo, le nubi.
Simile l'albatro pare ad un uomo privato d'amore:
Molto vorrebbe una nuova passione
Nel cuore, ma molto
Teme di un nuovo abbandono il tormento
Dei dolci ricordi.

giovedì 10 novembre 2011

Partendo da Yeats

Già qualche tempo fa, molto tempo fa in effetti, avevo scritto una poesia che prendeva le mosse da Easter 1916 di Yeats, specificamente dai versi secondo i quali "too long a sacrifice/can make a stone of the heart" e "a terrible beauty is born".

Ma stavolta la riflessione porta a esiti differneti, a una constatazione amara. Dopotutto son cambiato in questi anni, e non solo nell'aver acquistato più padronanza con i metri poetici.




Dicono alcuni che possa, col tempo,
Un gran sacrificio il
Cuore mutarti in un sasso di pietra
Che, freddo, crudele,
Certo non batte per nulla, non prova
L'amore né l'odio:
Quasi una statua, nel marmo scolpita,
Superba, esemplare,
Duro modello perfetto e spietato,
Non vivo, inumano.
Pure, talvolta a mutarti non sono
Le gesta compiute
Senza egoismo, il donare te stesso
In nome di cause
Nobili, o forse soltanto credute es-
Ser tali, ma solo il
Lento dolore provato nei giorni
Vissuti soffrendo.
Niente di nobile allora, soltanto
Di rozzo granito, a
Tratti sbozzato, diventi nel cuore,
Giammai qualcheduno in
Te cercherà d'un esempio la forza.
Rimani soltanto un
Uomo che molto ha lottato col mondo,
Che perse le proprie
Sfide, talvolta per poco valore,
Talvolta per troppo
Grande sentire d'amore, consunto-
Si in nulla, da solo,
Mentre il suo cuore batteva, ogni istante
Più lento, per niente.

sabato 5 novembre 2011

La bestia

Causa viaggio e conseguente malattia sono rimasto fermo per un bel po' di tempo. Ma ho in lavorazione un enorme componimento basato proprio su tale viaggio.

Inoltre, negli ultimi tre giorni ho praticamente buttato giù quanto segue: un altro componimento vagamente goticheggiante, costituito attorno all'idea di una bestia che non so identificare neppure io, nella quale ho cercato di inserire tutta una serie di richiami orrorifici.
Non è un genere per il quale impazzisco, ma dopotutto è abbastanza riposante da comporre.



Ora vi chiedo, prestiate attenzione al
Contesto dei versi,
Questo provate a pensare: una bestia
Crudele, letale,
Figlia dell'uomo, può darsi, dotata
Di mente e pensiero.
Essa, nel dare la morte, riflette
Sul proprio sentire,
Pensa alla propria natura, e talvolta,
La testa chinata,
Piange, gemendo per quanti ella uccide,
Temuta ed odiata.
Questo, ritengo, potrebbe la bestia
Pensare, una notte,
Mentre la chiama l'istinto di caccia,
La sete di sangue.
Corro su zampe veloci, con l'unghia
che fende la terra
Fredda, ghiacciata al mio tocco: la vita
Si spegne d'attorno,
Sempre procedo compagno di morte,
Le piante si seccan
Ogni qual volta, incurante, le sfioro
Col corpo possente.
Ora lo sento, m'inebria l'odore
Dell'uomo che fugge,
Quasi impazzito, sentendo nel cuore
La morte ed il gelo
Spandersi al solo passaggio di me che
L'inseguo, spietato.
Forse ha sentito le voci, le tetre
Leggende che in molti
Spesso raccontano attorno ad un fuoco, al
Sicuro, protetti,
Sulle mie cacce notturne. Di certo
Conosce, quest'uomo, il
Fato che adesso l'attende: per quanto
S'illuda, sperando
Possa sfuggirmi con passi veloci,
Nascondersi, forse,
Nulla di questo potrebbe salvarlo
Da me, dalla bestia.
Fiuto l'odore, perfino, di quello
Che prova, ne annuso,
Sempre più forte, il terrore. Ne sento il
Pulsare del sangue
Farsi più intenso man mano che fugge,
L'illuso. Da sempre
Son predatore dell'uomo, conosco
La preda: mi basta
Qualche secondo, ho raggiunto il mio pasto
Notturno, tremante.
Squarcio il suo collo con zanne affilate,
Un morso pietoso;
Sento il sapore, metallico e caldo,
Del sangue che sgorga
Scorrermi lungo la gola, assaporo
L'istante. Poi, quando
Guardo quel corpo pietoso, straziato ed
Esangue, mi cola
Lungo la faccia imbrattata di sangue u-
Na lacrima amara.
Certo quell'uomo, ridotto ad un corpo
Contorto, ha lasciato
Dietro di sé, nella morte, una vita
Trascorsa con altri,
Forse lo piange un'amore, od un figlio
L'attende alla casa.
Forse era un saggio, od un santo, o magari un
Poeta, oppure,
Spero, un crudele assassino che uccisi a
Ragione. L'ignoro:
Ora soltanto un cadavere, freddo,
Rimane di quello
Ch'era in passato. Di nuovo ho preteso il
Tributo dall'uomo,
Come ogni notte di caccia. La sete
Mi lascia, si placa.
Torno sui passi percorsi, mi colma il
Disgusto pestando
L'erba contorta e distrutta da me sul-
La terra gelata.
Sempre compagno di morte, da sempre as-
Setato di sangue.
Questa la vita che vivo da sempre, uc-
Cisore bestiale.
Spero che un giorno la sete si plachi
Per sempre, che possa
Smettere d'essere un empio terrore
Per l'uomo, ma so di
Certo che mai la condanna avrà fine
Per loro, per me.

mercoledì 26 ottobre 2011

Gli ultimi haiku d'ottobre

Dato che domani partirò per qualche giorno, questo sarà con ogni probabilità l'ultimo aggiornamento del blog fatto in ottobre.

Si compone di una manciata di haiku, tutti scritti di recente.



Stamani il cielo
Grigio, timide luci al-
L'alba in autunno.

Mi morde l'aria
Stessa, sposa novella
D'esile gelo.

Dorme la stirpe
Melissa, nell'attesa
Di nuovi soli.

Alto sul colle, il
Mare, cupole, e case,
Gioia degli occhi.

Verde nel grigio
Le foglie sul cemento,
Presto caduche.

Specchio del cielo
Le lacrime dei nembi,
Timidi amanti.

Qualche germoglio,
Verde, nasce sul suolo
Ancora secco

domenica 23 ottobre 2011

Due piccoli sfoghi in versi

Due piccole poesie che rappresentano due piccoli sfoghi personali. La prima, scritta con ritmo giambico, mi sembra abbastanza eloquente, persone del genere esistono e purtroppo tutti quanti ci abbiamo avuto a che fare, prima o poi.
La seconda, invece, è solo una satirizzante nobilitazione di quel che si prova ad alzarsi prima dell'alba con la sveglia e a salutare il sole mentre si è già avviati in direzione di una lunga e stancante giornata.



All'ombra d'un cespuglio di lentischio,
Irato contro santi e dei fasulli,
Attendo. Intanto penso a questo mondo,
Mondaccio boia dove trovi molti
Balordi che si atteggian quali amici,
E poi colpiscon lesti proprio quando
Vorresti solo avere un po' d'aiuto.



Quando mi sono svegliato nel cielo
Brillavano ancora
Solo le stelle, era notte: il mattino,
Con l'alba, tardava a
Giungere, tutto era nero. Alla fine il
Mattino è venuto,
Lento dapprima, poi caldo e sicuro,
Sincero, crudele.

mercoledì 19 ottobre 2011

L'ennesima poesia lunare

Ho scritto questa poesia qualche settimana fa, sebbene la stia pubblicando solo ora. Potete considerarla un po' una delle tappe del mio processo di "riflessione poetica sulla luna", probabilmente più scialba delle successive, ma che in qualche modo può rivelarvi qualcosa su quel che ho cercato di immortalare in seguito riguardo ai miei pensieri e alle mie sensazioni.




Eccoci ancora una volta da soli, il
Poeta dal nulla, e
Tu, l'enigmatica notte ricolma
Di sogni, da sempre
L'unica amante dei timidi in cuore.
Tu sola conosci
Ogni segreto, i sussurri nascosti
Che celo a chiunque,
Sempre temendo, qualora mi aprissi
Di nuovo a qualcuno, un
Nuovo soffrire. Tu sola mi vedi
Qual sono davvero,
Senza la maschera, forte e sicura,
Che indosso, difesa
Misera, forse, ma a me necessaria
Per vivere avendo in
Sorte dolori minori. Conosci
Il volto che celo,
Vedi ogni singola lacrima, gonfia
Di sogni delusi,
Scorrere mesta dall'occhio, anche quando
Nessuno la scorge;
Tutto conosci di me, dai rimpianti
Cocenti, inespressi,
Fino a quei sogni che celo perfino a
Me stesso. Ti prego:
Donami ancora una volta i tuoi baci
D'ambrosia immortale,
Donami ancora un sorriso, tu notte
Radiosa nel buio.

venerdì 14 ottobre 2011

Ispirato dalla luna

Ho iniziato a scrivere questa poesia qualche giorno fa, ispirato dal plenilunio d'ottobre.

Mi è servito qualche giorno per completarla, e ancor più tempo per raffinarla, ma ora sono abbastanza soddisfatto del risultato ottenuto. Da un lato, è forse la poesia più colma di citazioni che abbia mai scritto, dall'altro esprime appieno quel che provo; ho cercato, nell'ultima parte, di far risaltare lo scarto fra sentimenti passati, provati verso "quella" dietro a cui ho perso tanto tempo, e i sentimenti attuali e inespressi nei confronti di una "lei", reale o irreale che sia (non ne son troppo sicuro neanche io, alla fin fine).



Timido, alzando lo sguardo, di nuovo
Stanotte osservavo
Piena la luna brillare nel cielo
Di luce riflessa,
Colma dei canti di saggi e gitani,
Poeti ed amanti.
Tu, che dispensi conforto ai delusi,
Speranza agli oppressi,
Ora mi doni soltanto una lieve
Tristezza profonda.
Conto le lune trascorse da quando,
Per l'ultima volta,
Questo bel volto radioso portava al
Mio cuore d'amante
Dolce il ricordo d'un viso, d'un nome
Che caro tenevo.
Tredici lune vissute da solo,
Da troppo consumo
Tutto me stesso in angoscia, cercando,
Sperando che forse
Venga a lambirmi con dita di rosa,
Con voce di miele,
Qualche fanciulla da fiaba, intessuta
Di sogni, irreale
Come quei versi che scrivo, pensoso,
Qualora mi prenda,
Flebile, un fiato soltanto d'amore.
Potrebbero forse,
Penso, quei fiati mutarsi in scirocco,
Portandomi verso
Isole colme di pace, le vele
Spiegate dal sogno.
Questo mi porti, amoroso, a sperare,
Mia candida luna,
Mentre risplendi, e ricordo di quando
T'ho vista, in passato,
Nascere e farti di falce sottile,
Da solo, da sempre.
Anche in passato, anche quando intessevo i
Tuoi raggi di versi
Scritti per quella che avevo nel cuore,
Crudele e lontana,
Ero da solo, consunto nel dolce
Sentire che quella
No, non provava, bruciato dal fuoco i-
Gnorato da quella.
Resta la cenere appena, vestito
Da asceta; per questo
Temo di dare di nuovo una voce al-
L'amore inespresso,
Temo che un altro rifiuto mi possa
Ferire, che ancora
Possa soffrire un amore provato
E mai corrisposto.
Dunque, mia luna dal volto divino,
Per quanto mi strugga
Anche soltanto a guardarti, a sentire
Cadenze soffuse
D'arte e d'amore risplendere assieme
A te sulla fredda
Terra, per quanto nell'animo brami
D'avere il coraggio,
D'esser capace d'esprimere quello
Che provo a vederti
Luna, a dipingere lei sul tuo volto,
Vi ammiro in silenzio:
Taccio, e consumo l'amore in un pianto
Nascosto, sofferto.

sabato 8 ottobre 2011

Gli haiku dell'autunno

Questi haiku sono gli ultimi che ho scritto. Hanno tutti più o meno come tema il cambiamento climatico in corso, il trasformarsi a volte lento e a tratti repentino dell'estate in autunno; uno di essi, tuttavia, è dedicato al compleanno di un'amica.



Nubi in tempesta al-
L'orizzonte, di sotto i
Miei monti verdi.

Cerchio di pietra,
Scherzi e risa nel parco;
Festa degli anni.

Terso di gelo il
Cielo azzurro, dal sole
Carezze lievi.

Esile tronco,
Foglie sottili, fiori
Di zafferano.

Un freddo abbraccio,
Mi rincuora al mattino
L'aria autunnale.

Piove purezza,
Come un velo che copre
La terra calda.

domenica 2 ottobre 2011

Il volgere delle stagioni

Il titolo di questo post si presta sia a introdurre la poesia che vi presento, sia a fornirmi una scusa parziale per la poca attività di questi tempi: settembre è un mese di cambiamento, nel quale la voglia di fare tende a esser poca, e nel mio caso specifico è stata completamente assorbita dal modellismo.

In ogni caso, in questi giorni ho prodotto anche qualche poesia, una delle quali è la seguente.



Ora lo sento: con passi stentati,
Incerti, insicuri,
Cambia ogni cosa. Per quanto mi ostini a
Cercare il sereno,
Sono le nubi che svettano in cielo,
L'estate è trascorsa.
Anche se a volte una nuova calura
Irrompe, improvvisa,
Lesto s'avanza l'autunno, foriero
D'inverni crudeli,
Giorni di vento gelato che strozza
Speranza ed amore.
Nuove fatiche m'attendono, i giorni
Diventano brevi,
Solchi tracciati nel segno d'un nuovo
Destino che ancora
Fosco mi appare, ed oscuro, nefasto.
Eppure non tremo:
Dopo l'inverno, spietato, letale,
M'attendi di nuovo
Tu, primavera, l'aralda di vita
che sboccia, speranza
Salda d'un nuovo mattino che reca i
Colori d'estate.

martedì 20 settembre 2011

Notturno

Questa poesia è un notturno, scritto in distici, al quale ho voluto dare un vago senso di inquietudine, per quanto vista nella giusta chiave di lettura l'angoscia a cui si fa riferimento si riveli essere nulla di più che un micio in caccia.



Lungo il sentiero le tracce d'un gatto,
Sull'erba una macchia
Nera di sangue, che quasi scompare
Nel buio, al tramonto.
Tenebre: ancora la luna non sorge
Quest'oggi, e ci lascia
Soli davanti all'inquieto presagio
D'orrore imminente.
Certo qualcosa, non visto, si cela
In mezzo alle fronde
Scure degli alberi freddi, in agguato:
Le stelle, lontane,
Brillano troppo distanti, la notte
Ci ammanta, ci scruta
Fredda con occhi fugaci di bestia
Sognata e temuta.

domenica 18 settembre 2011

Giambi di buon augurio

Ho iniziato a scrivere questa poesia mentre, in pullman, mi recavo a sostenere un esame con nel cuore la certezza di non passarlo.
Gli esiti, invece, sono stati migliori di quanto sperassi.
Perciò, mi piace pensare a questa poesia come una sorta di testo portafortuna, quantomeno per l'esame in questione: era relativo al greco, ed è proprio la poesia greca che mi ha ispirato interi passi di questo breve componimento.

Spero che vi piaccia.



Nel cielo, a stento, brilli, luna bianca,
Perduta in mezzo a quell'azzurro chiaro.
Rimani ancora un poco in questo giorno,
Donando a me, che scruto il tuo candore,
Sapienza antica e gioie fresche, pure,
Di quelle che dispensi quando, piena,
Risplendi sopra a questa nera terra.



domenica 11 settembre 2011

Haiku di fine estate

Col finire di agosto, sono finiti non solo i miei giorni liberi, ma anche le giornate indiscutibilmente estive, e l'ombrello è tornato un affidabile compagno di viaggio in un clima che può volgere da sereno a temporalesco nel giro di qualche ora.

E' stata una di queste piogge improvvise ad ispirarmi tali haiku.



E mentre ancora
Si danzava col sole,
Cadde la pioggia.

Biancorosati
Oleandri nel verde,
Grevi di pioggia.

Quasi carezza il
Dolce odore di pioggia
Ora che è terso.

Coprendo il mondo
Grigio di dolce poesia,
Cala il tramonto.

martedì 6 settembre 2011

Invettiva giambica

Il giambo era il metro dell'invettiva e, spesso accompagnato da un lessico alquanto scurrile e piuttosto vicino alla lingua parlata, ci ha lasciato opere che ben pochi profani penserebbero di veder classificate alla voce "letteratura".

Questa breve invettiva d'occasione, volutamente esagerata come si conviene al giambo, è una erede diretta dei giambi di questo tipo.


È gonfio e tronfio e brutto e basso e grasso,
Si veste qual soldato, o forse quale
Idiota, avendo stivaloni grezzi
E verdi pantaloni e maglia truzza.
S'atteggia quasi fosse un nuovo Pico
Mirandolino, o conte a Recanati,
Per quanto sia lui molto poco colto,
E sembri capra appena un poco parla.
Lui crede fermamente d'esser forte:
Si vanta spesso e narra coglionate,
Imprese immaginarie, degne solo
D'un folle, ché deliri sono, o forse
Di quanti pensan gli altri pirla e pronti
A bersi balle e stupidate varie.
Ignora forse che, volendo, gli altri
Gli posson render botte ancor più forti?
Ma tutti noi ci tratteniamo quando
Si è tra amici, e diamo colpi fiacchi;
Lui invece attacca sempre a forza piena.
O forse lui non pensa siamo amici?
Lo dica: in questo caso tutti quanti
Sarebber molto lieti, ed io con loro,
Potendo dargli trattamento pari
A quello che egli impiega in ogni istante,
E farlo bello e scaltro a suon di pugni!

domenica 4 settembre 2011

Distici amari

Un po' esagerazione, un po' riflessione, ecco a voi questo componimento, scritto ieri e rifinito oggi in piena crisi di sonno.


Spesso v'invidio, voi tutti che avete
Sul volto, negli occhi,
Calda la luce d'amore, le labbra
Baciate dal sogno.
Io non conosco le gioie di Vene-
Re, né del piacere a-
Lato le mille carezze. Mi struggo
Talvolta provando,
Puro, un amore infelice, che mai ri-
Pagato si spegne in
Ceneri grigie. Nessuna nel mondo
Mostrò mai d'amarmi.
Forse, mi dico, un destino beffardo,
Crudele, m'impone
Questo tormento: provare nell'ani-
Mo grandi passioni,
Senza però che nessuna ragazza
Ripaghi l'amore,
Senza che alcuna ragazza mi doni
Un palpito solo.

giovedì 1 settembre 2011

Gli ultimi haiku d'agosto

Nient'altro da aggiungere, spero solo che vi piacciano.


Le canne al vento
Si sbiadiscono lungo
I fiumi in secca.

E volge lesto al
Tramonto il giorno, adesso
Muore l'estate.

Piccoli istanti
Di pace e calma, luci
Lontane nel buio.

Fra le ombre tese,
Rarefatte dall'alba,
Trilli d'estate.

Api sul prato, un
Vento gentile spazza il
Colle, la vita.

Vento salmastro
Fra le rive d'un mare
Morto nell'afa.

Isole verdi, in-
Crespature leggere, il
Lago che brilla.

Grigio un gattino
Curioso, fra le tombe
All'albeggiare.

M'inebrio di vento,
Occhi serrati al sole
Di fine estate.

domenica 28 agosto 2011

Una piccola traduzione in versi

Quella che segue è una piccola traduzione artistica, abbastanza libera, di un passo del poema epico indiano Mahabharata. E' stato il primo passo che traducemmo a lezione di sanscrito, ormai quasi tre anni fa, e mi è sempre rimasto nel cuore e nella mente.

Spero che possiate apprezzarne questa misera traduzione.


Simile a burro il sapiente nel cuore,
Nasconde la lingua
Freddo rasoio di lama affilata,
Crudele, impietoso.
Questi agli opposti presenta il guerriero:
Con lingua di burro
Parla, celando nel cuore rasoio af-
filato, mortale.