domenica 18 novembre 2018

Un'idea ludico-classicisticheggiante

O, anche, progetti che non vedranno mai la luce.

E' un'idea che ho in mente da tempo: un'ambientazione ellenicizzante per D&D 5^ edizione, un ipotetico mondo fantasy standard in cui si trovano catapultati un gruppo di antichi Greci, la scusa per fondere due mie passioni, una delle quali è così grande che ne ho fatto la mia carriera (anche se i posti da insegnante di latino sono molti più rispetto a quelli come docente di greco). Solo che sono pigro, pigrissimo, e quindi anche di questo progetto rimane la consapevolezza che è un'idea forse scrausa e scontata, forse (penso spesso) fighissima, ma che non avrà mai una forma concreta e coerente se non al di fuori della mia mente.




"Quando il mio sguardo si posò per la prima volta su Amphipolis, non potei evitare di essere colto dalla meraviglia.
Non era quella la prima città che vedevo: conoscevo bene le fortezze megalitiche dei nani, le mura possenti tese fra torri ampie ed estese in profondità quanto e forse più che sulla superficie del suolo; avevo osservato con curioso interesse le piccole case degli gnomi, quegli agglomerati di edifici squadrati in vetro e pietra artificiale che sembravano alludere a qualcosa di più maestoso; né, ovviamente, mi erano estranee le grandi capitali della mia terra, le maestose e discrete torri degli elfi. In precedenza, avevo ritenuto che nessun altra cultura potesse rivaleggiare con la bellezza delle dimore dei nostri re: chi altri poteva edificare delle torri così slanciate, capolavori di pietra che si fonde col legno in un armonioso abbraccio fra natura e architettura?
Ma Amphipolis la Duplice, la grande capitale degli umani, mandò in frantumi tutte le mie certezze. Era come se gli dei avessero voluto ispirare i loro favoriti con tutti quei doni che avevano diviso fra le altre stirpi, permettendo loro di costruire la summa di tutto ciò che di grande e maestoso esisteva al mondo.
Dalla nave potevo scorgere i tetti dei templi, lontano sull’acropoli, che splendevano al sole; i luccichii dorati confermavano le voci che avevo sentito riguardo l’abitudine degli amfipoliti di decorare i palazzi con metalli preziosi. Anche gli edifici minori, che si affastellavano lungo le balze dei colli e diventavano quasi un’unica distesa biancheggiante sulla costa occidentale, emanavano una nobile semplicità capace di commuovere l’animo di un orco. Ma quello che mi colpì maggiormente fu l’ampio portico che cingeva l’intero porto di Amphipolis, proseguendo idealmente su entrambi gli scali le arcate del grande ponte. Le sue colonne erano insieme possenti e delicate, come le forme candide e seducenti di un dio; il marmo nero dei pavimenti e dei plinti, più che a un criterio di comodità, sembrava obbedire al desiderio di far risaltare ancor di più la delicatezza dei pilastri e dei capitelli.
Solo in seguito scoprii che quel portico maestoso, la Stoà Xenikè, era stata costruita apposta per impressionare i visitatori e i mercanti stranieri, e che in caso di bisogno le sue ampie arcate potevano essere chiuse da possenti porte in metallo, benedette dai sacerdoti di Efesto per resistere a ogni assedio. Né, d’altronde, gli umani avrebbero potuto costruire un’opera tanto maestosa senza la manodopera di migliaia e migliaia di schiavi, il cui sangue e sudore avevano alimentato la grandezza della città.
“Le mura e i palazzi di Amphipolis sono edificati sulle ossa dei suoi schiavi”, mi dissi, ripetendo il vecchio adagio che una generazione prima aveva spinto la mia gente, così come pressoché tutte le altre stirpi, a una guerra senza quartiere contro gli amfipoliti. Era stato un conflitto sanguinoso e tanto spietato quanto il crudele giogo degli umani, a quanto mi era stato riferito da chi vi aveva preso parte. Ma, alla fine, la confederazione aveva avuto la meglio: quali che fossero le loro antiche abitudini, quali che fossero le usanze dei loro avi helladiani, ora gli amfipoliti vivevano fra di noi, e nessuna stirpe aveva mai trattato le altre come dei semplici oggetti da possedere, degli animali da fatica dotati di due gambe anziché di quattro zampe.
La liberazione degli schiavi aveva provocato dei grossi mutamenti nella cultura di Amphipolis, e ben presto scoprii che con l’affrancamento di massa non aveva certo avuto termine l’oppressione degli umani sui propri simili e sulle altre stirpi: ancora i mezzosangue vivevano in ghetti, e ancora i più tradizionalisti fra popolani e nobili amfipoliti non cercavano neppure di trattenersi dal dileggiare la parlata degli stranieri.
Eppure, sentivo un nuovo vento di cambiamento che soffiava sulla grande città e sulle terre circostanti, leggero ma deciso come la brezza che gonfiava le nostre vele; di quel cambiamento io e i miei compagni saremo stati fra gli artefici, prima come semplici avventurieri e poi come agenti scelti di Amphipolis e degli Dei Olimpi nelle terre circostanti… ma questo, ancora, non potevo saperlo. Potevo solo trattenere il fiato, in ammirazione, davanti alla magnificenza della Stoà Xenikè, e domandarmi quale destino le Moire avrebbero intessuto per me."

sabato 17 novembre 2018

Un nuovo angolo dello stesso cielo

Alla fine, infine, è successo: ho trovato lavoro per una supplenza discretamente lunga in quel di Milano. Inizia così il processo di accumulazione del punteggio, inizio così a farmi le ossa sul lavoro, inizio così a poter ottenere una vita che sia mia.
Un nuovo inizio comporta però anche un accantonamento, se non un abbandono, di tutta una serie di cose. Libri, fumetti e miniature sono rimasti quasi tutti a casa, così come ho dovuto salutare per qualche tempo le mie vecchie abitudini. Il lavoro impone un ritmo a cui non ero abituato, soprattutto a causa dei tempi necessari per gli spostamenti, e questo ostacola quasi ogni sforzo creativo.

Incredibilmente, però, il "nonc'èlo" (come chiamo il cielo della Lombardia, contrapposto al cielo smosso dal vento della mia città) mi ha ispirato due poesie. Due attimi, due brevi istanti strappati ad un autunno che è dannatamente diverso dalla stagione verde e vitale del novembre sardo.

Piuma leggera
Che volteggia, travolta, al
Vento d'autunno.

Foglie sul fango,
Un tappeto di morte,

Un cielo grigio.