lunedì 26 dicembre 2011

Haiku di dicembre

Come impone la legge non scritta delle vacanze, è un periodo nel quale si ha molto da fare ma non si combina mai un cavolo.

Per questo motivo, il mio aggiornamento di ora sono solo questi brevi haiku, scritti in tutto l'arco del mese festaiolo ormai prossimo alla conclusione.



Volti degli astri
Caduchi, le splendenti
Luci in inverno.

Un sole forte,
Come un bimbo che ride
Mostrando il volto.

Squarci di sole, il
Manto grigio di nubi
Copre ogni cosa.

E piove tenute il
Cielo radioso, terra
Che si raggela.

Alto sovrano,
La corona dei raggi, il
Volto celato.

Freddo di fuori, un
Gelo più grande morde
L'anima trista.

Nubi d'uccelli in
Fuga, avanza l'inverno
Dal volto freddo.

Dopo le piogge,
D'un terso che ferisce, il
Cielo di ghiaccio.

Inaspettato il
Sole d'antevigilia
Splende beffardo.

venerdì 16 dicembre 2011

Nell'uscire dal roveto.

Non commento la poesia, si commenta da sola.

Il brutto del molto "sentire" è che ci si brucia con una scintilla, e che si soffre per quella bruciatura come per un coltello nel fegato.



Cenere grigia, nient'altro rimane
Nel vento che un tempo
Lieve spirava di brezze e profumi.
Mi persi, seguendo
Dolci fragranze di rosa, fin dentro un
Roveto, cercando, in
Vano, trafitto da spine nel corpo,
Nell'animo, un'ombra
Fresca che fosse ristoro per me. Ma
Quei rovi eran fitti,
Lacero e stanco dovetti accettare
Che quello non era il
Luogo bramato: il profumo portato
Dal vento spirava
Solo per me, che sentivo nel cuore il
Bisogno d'un prato,
Fresco di fiori, laddove potessi
Trovare ristoro.
Eccomi adesso, in ginocchio nel fango,
Lo sguardo soffermo
Sopra quel cielo nel quale la luna
Svanisce sottile, il
Cielo che piange con lacrime fredde
Per me che lo guardo.

martedì 13 dicembre 2011

Due componimenti gemelli

Queste due brevi poesie sono idealmente l'una il seguito dell'altra.
Una riflessione a margine può essere che, a quanto pare, sono un "innamorato mannaro", di quelli che si struggono di più quando la luna è piena. Chissà come sarei depresso su un pianeta con sette lune.


Muoiono i sogni di ieri, ricordi
Di quando speravo in
Stelle diverse. Mi paion lontane
Adesso, ne scorgo
Solo un'immagine spenta: son fredde,
Son morte, da quando
Sorse nel cielo una stella più grande,
Una luce radiosa,
Piena ogni istante di grazia maggiore.
Talvolta la sfioro,
Tese le dita in un gesto impacciato
D'amore, carezza
Lieve, stentata, di timido amante
Che sogna, rapito.


Oggi la luna era piena, uno specchio
Di luci e di sogni.
Pallida luce emanava dall'astro,
Sfumata nel bianco:
Nubi sottili velavano il volto, i
Contorni confusi
Come da lacrime calde. Non posso,
Mia luna, non posso
Dire di più su di te, su quel volto
Che sogno ogni notte.
Sembri vicina, il tuo nome al mattino
Sul labbro, ogni giorno, e
Pure distante, celata da un velo
Sommesso di nubi.

mercoledì 7 dicembre 2011

Dalla mitologia a me

L'ennesima, seria ma non troppo, poesia da innamorato autorepresso e timido.

In questo caso, però, ai soliti temi ho aggiunto un riferimento mitologico (con rovesciamento finale) che viene chiarito solo nel quartultimo verso.
Intanto, il grande componimento del quale parlo ormai da un mese non è ancora stato concluso. Son lento, lo so, ma sono tanti, tanti versi.



Narrano i miti che solo il Signore,
L'Asceta Divino,
Unico in tutti i tre mondi del cosmo,
Poté senza affanno
Rendersi immune alle frecce d'Amore.
Lo vinse, si dice,
Solo la Figlia del Monte, quand'ella
decise di darsi al
Duro patire d'ascesi, impietosa,
Per rendersi degna,
Simile in tutto al bramato compagno,
D'essergli sposa.
Questo si narra. Ma come potrebbe
Un uomo comune, in
Preda ai tumulti del cuore, riuscire
Laddove soltanto
Uno poté di siffatta natura?
E come, mi chiedo,
Posso resistere essendo qual sono,
Sensibile e stolto,
Lesto a bruciarmi col fuoco provato
Nell'animo? E come
Posso resistere all'anima pura
Di lei, lei radiosa
D'ogni sognata virtù, della grazia
Bramata da sempre,
Giovane fiore di loto dal volto
Di luna? Ma lei non
Prova per me la passione che sento
Nel solo a pensarle ,
Lei certamente non m'ama, lo vedo.
Ma donami allora,
Figlia del Monte, una salda fortezza
Nell'animo, dammi,
Grande signora, la forza interiore
Di spirito saldo
Grazie alla quale potesti, soffrendo
Con gioia l'ardore,
Renderti simile ai sogni di Śiva,
Che possa anche io stesso
Rendermi simile ai sogni di lei,
Che mi prese nel cuore.

venerdì 2 dicembre 2011

Armi, metalli e battaglie in RuneQuestII

Dopo lungo e sofferto travaglio di nascita, ho finalmente dato forma apprezzabile a tutta una serie di regolette per RuneQuestII che mi ronzavano in testa da mesi.

Trovate tutto in questo PDF, parzialmente illustrato e probabilmente prossimo a essere entro breve aggiornato, cosa sulla quale -perdonatemi il gioco di parole- vi aggiornerò.

Armi, Metalli e Battaglie

giovedì 1 dicembre 2011

Satira I

Breve introduzione filologica: la satira latina, definita come il primo genere "nato a Roma", pur derivando da modelli greci per le tematiche si differenziava notevolmente da esse in virtù dell'adozione di un metro "alto", quell'esametro dattilico dell'epica che da tempo mi balocco a rendere in Italiano.
Vuole il caso che io stia frequentando in facoltà un corso monografico sulla satira latina, e vuole la mia natura che io sia portato a comporre basandomi anche e soprattutto su quel che studio.

Avrete ormai capito qual'è la conseguenza delle due premesse.

Quella che vi presento è la seconda "satira" che ho iniziato a scrivere, ma la prima a esser stata completata; la sua sorella maggiore, difatti, è un satirone "di viaggio" che, pur coi suoi 700 e passa versi, non ho ancora completato.
In questo caso, invece, il tema è una sorta di polemica contro quanti attaccano la morale atea, come contro quanti agiscono senza alcuna morale reale, e si conclude con un piccolo accenno personale a quei problemi che ultimamente mi stanno un po' levando il sonno.



Molti lo so, non si pongono questi
Problemi: non seguon
Codici, alcuna morale, al di fuori
Del fare soltanto il
Proprio piacere. Non pensano poi a
Che cosa potrebbe, ef-
Fetto inatteso, accadere per causa
Di quanto compiuto.
Peggio, parecchi non mostrano cura
Degli altri, di quello
Che essi potrebber soffrire a ragione
Dei loro voleri.
Sono diverso, lo so, o quantomeno
Da tempo mi sforzo
D'esser diverso, seguendo dei duri
Principi morali.
Molti ritengon che noi, i “senza dio”,
Siam privi del tutto
D'ogni possibile sano valore; im-
Becilli: seguiamo
Codici nostri, e bizzarri talvolta,
Ma rigido e serio
Quello di quanti si pongono l'uomo
Qual solo obiettivo.
Spesso, è più duro seguire la legge
Dell'uomo rispetto ai
Mille supposti mandati divini:
Lo so, io lo soffro.
Quanto sarebbe più facile agire,
Seguendo soltanto i
Propri volevi, oltre i limiti, oppure
Peccare sapendo
Sempre a portata di mano una qualche am-
Nistia dei peccati.
Io non ricorro a mezzucci di questa
Miserrima specie:
Giudice sono, e carnefice spesso, a
Me stesso. E pertanto
Ora, da tempo, m'impongo una calma
Che certo non sento
Dentro, nel cuore: m'impongo freddezza -od
Almeno ci provo:
Quanto è difficile rendere muto
L'alato, il crudele!