sabato 30 aprile 2011

Ombre antiche sul presente: le ultime due culture

Queste sono le due culture mancanti per Ombre antiche sul presente.
Finita la loro stesura, penso che mi prenderò un giorno o due di riposo prima di dedicarmi ai prossimi capitoli dell'ambientazione: in primo luogo la sezione riguardante magie e aspetti soprannaturali, quindi quella relativa alle diverse organizzazioni attive nel mondo.


Cittadini di Daiva
In un mondo dove edifici in rovina e mura diroccate sono quanto resta delle antiche città, Daiva costituisce un'eccezione talmente unica da essere divenuta mito. Gli abitanti di tutti i rifugi conoscono le mille voci sulla favoleggiata città e sui suoi possenti difensori, ma col passare delle generazioni queste voci si sono arricchite di elementi favolistici, riflesso dei sogni e delle aspirazioni di quanti non hanno avuto in sorte la fortuna di nascere al sicuro fra le mura di Daiva.
Un tempo, in effetti, Daiva era una simile città da sogno: ricca di monumenti elevati con parole arcane, lastricata di marmo e perfettamente autosufficiente, essa doveva la sua fortuna alle geniali intuizioni di alcuni studiosi locali. All'epoca in cui, in ogni altro luogo, gli uomini si dedicavano in massa alla forma più semplice, immediata e diretta di magia, a Daiva si sviluppò una scuola esoterica che imponeva ai suoi adepti una disciplina di ferro, e che riplasmava le forze del caos in forme di più facile controllo. La magia tradizionale non scomparve, poiché la nuova arte era di difficile comprensione e ancor più ardua da padroneggiare, ma il numero di incantatori dilettanti, le cui formule si limitavano ad aprire uno squarcio nel velo che separa il mondo dal caos, si ridusse drasticamente.
Questa nuova magia, inoltre, era molto più potente della vecchia; in un primo tempo, i suoi usi furono fondamentalmente pacifici, e volti a realizzare splendidi monumenti lungo le vie di Daiva, come a conferirle una limitata autonomia alimentare. In quel tempo, comunque, essa non era certo la città più maestosa del mondo, né la più prospera.
Tutto questo cambiò con l'avvento del caos: quando le imprevedibili forze del mutamento si abbatterono sul mondo, il loro impeto fu più violento contro quei luoghi dove, specialmente, c'era una notevole concentrazione di praticanti dell'antica magia. Intere città vennero spazzate via, i suoi abitanti mutati in bestie mentre cercavano vanamente di difendersi con qualche incantesimo o divorati da quelle stesse bestie che, un attimo prima, erano state i loro cari. Ma non a Daiva: se la vecchia magia era un canale aperto per le ondate di piena del caos, di contro la nuova magia praticata nella città risultava troppo potente e strutturata per poter essere sviata e sfruttata da quel caos a cui essa stessa attingeva. Vi furono orribili delitti e mutazioni, e molti cittadini morirono; ma non si scatenò l'inferno, come nel mondo esterno. E quando le orde del caos, bramose di fagocitare e devastare ogni cosa, giunsero alle porte di Daiva, trovarono ad accoglierli schiere di guerrieri-stregoni, primo nucleo di quelle che sarebbero state le future armate cittadine.
Furono questi individui, forti delle proprie capacità sovrumane, ad assumere il ruolo di guide e difensori d'una città ancora in piedi ma prostrata dal cataclisma. In pochi anni, nel consiglio di notabili che in precedenza governava la città si introdussero i comandanti delle principali milizie; con l'ausilio delle arti arcane vennero erette delle mura ciclopiche, dall'aspetto di vere e proprie montagne, a difesa dell'abitato; inoltre, venne rigidamente controllato l'uso della magia stessa, e i pochi praticanti dell'antica arte ancora in vita vennero rapidamente uccisi. Le nuove mura comprendevano al loro interno anche vasti campi coltivabili, boschi e miniere, e nei primi anni buona parte della popolazione di Daiva dovette dedicarsi ad attività non dissimili da quelle che oggi impegnano gli abitanti dei rifugi.
Ma grazie alla vigorosa guida dei suoi capi, la città si riprese rapidamente e, nel giro di qualche decennio, tornò a essere una culla di benessere, l'ultima superstite in un mondo quasi completamente corrotto. Fu allora che alcuni fra i capi cittadini presero in considerazione l'ipotesi di impegnarsi attivamente non più solo nella difesa, ma anche nell'attacco contro ogni infestazione del caos. E fu sempre allora che alcuni di essi pensarono di essere ormai abbastanza potenti da poter maneggiare la magia del caos senza venirne corrotti; in segreto, si addentrarono assieme ai loro seguaci nei segreti di quella stessa pratica che avevano tanto duramente combattuto in passato. Immuni alla corruzione fisica portata dal caos, vennero tuttavia infettati nell'animo fino a bramare un potere sempre maggiore.
Fu così che, trent'anni dopo l'avvento del caos, a Daiva si scatenò una temibile guerra civile. Molti civili morirono, e al loro fianco caddero innumerevoli soldati. Pure, se grande era il numero dei traditori, ancor più grandi erano le fila di quanti fra i guerrieri-stregoni si consideravano ancora i servitori e non i tiranni del proprio popolo. A prezzo di gravi sacrifici, quanti erano stati infettati dal caos vennero sconfitti e costretti all'esilio. Daiva rimaneva ancora in piedi, pura e immune al caos, ma ben lungi dall'innocenza: lo scontro aveva radicalizzato molte cose, e nulla sarebbe più stato come prima.
Sono passati quasi centocinquanta anni da allora; in questi anni, la popolazione di Daiva è vissuta sotto un governo forzatamente dispotico, nel quale pian piano i comandanti delle diverse bande di guerrieri-stregoni hanno assunto un peso sempre più maggiore; la magia che un tempo rendeva florida la città è ora concessa soltanto a quanti scelgono di servire la patria come combattenti, e in generale si sono fatte sempre più pressanti le restrizioni volte a prevenire una nuova invasione da parte delle forze del caos. Gli abitanti della città godono sempre di condizioni di vita ottimali, forse le migliori nel mondo, ma godono di una libertà molto limitata. La popolazione è molto calata, e i guerrieri-stregoni preferiscono far abbandonare interi quartieri piuttosto che ristrutturarne gli edifici in rovina. Nessun contatto è stato più mantenuto col mondo esterno, se non quelli accidentali dovuti alle tante spedizioni punitive contro gli antichi traditori.
Gli abitanti di Daiva conducono una vita molto simile a quella dei secoli andati: autonomi sotto tutti i punti di vista, godono di comodità che il resto del mondo ha dimenticato, e le loro fatiche sono ripagate da una vita pacifica. Eppure, essi sono poco inclini al sorriso: sanno che da qualche parte, fuori dalle altissime mura dietro cui si sono trincerati, un nemico sta radunando le sue forze. Un nemico che conoscono bene, poiché non è altri che la metà oscura del loro stesso volto.
Caratteristiche: Gli abitanti di Daiva sono in tutto e per tutto degli umani comuni. A memoria d'uomo, non è mai nato nella città un bambino mutato dal caos.
Linguaggio: A Daiva si parla un antico idioma, chiamato daivin, non del tutto dissimile dalle parlate che hanno dato origine alla lingua franca dei rifugi. Con una certa dose d'impegno, due parlanti dei diversi linguaggi possono intendersi fra loro applicando la propria abilità nella rispettiva lingua d'origine all'altro idioma imparentato dopo avervi applicato una penalità del 30%.
Background culturale: Esclusivamente Cittadino: anche quanti si occupano delle attività produttive necessarie al fabbisogno della comunità, infatti, possiedono un'educazione formale impensabile per gli abitanti dei rifugi.
Professioni: Come per il background culturale, ma sono escluse tutte quelle professioni che forniscono bonus alle abilità magiche al di fuori della stregoneria.

Mutati dal caos, le orde selvagge
Una sola cosa hanno in comune le popolazioni fin'ora descritte: nonostante le loro differenze, odiano e ripugnano il caos, dalla cui corruzione tentano in ogni modo possibile di salvarsi. Ma questo non è certo stato l'atteggiamento di tutti gli uomini: fin dagli inizi della catastrofe, alcuni individui accolsero con una gioia selvaggia i “doni” conferiti dal caos, gioendo delle mutazioni a cui esso li sottoponeva e unendosi crudelmente alle orde di mostri che predavano quanti un tempo erano stati i loro simili.
È da questi umani imbastarditi, divenuti coi secoli una cosa sola con il caos, che gli uomini sono costretti a difendersi. A forza di unioni promiscue nei luoghi dove era maggiore l'impulso alla mutazione, tali creature hanno piano piano finito per abbandonare le fattezze di un tempo, mantenendo soltanto poche vestigia di quello che era l'aspetto dei loro padri. Tuttavia, negli ultimi decenni il caos sembra aver trovato una sorta di equilibrio nei loro corpi, delle forme comuni alle quali uniformare i suoi principali servitori.
Così, sebbene alcuni individui possano presentare tratti abnormi e talvolta vere e proprie menomazioni, generalmente tutti quanti i mutati attualmente diffusi nelle terre devastate possono essere ricondotti a tre tipologie. I primi sono i cosiddetti “mutati normali”, noti ai propri simili come idithidhis; hanno forma vagamente umana, ma le loro teste ricordano quelle delle bestie più comuni nelle aree da cui provengono, come pure la folta pelliccia che ricopre a tratti la loro pelle dalle tonalità inumane. È agli idithidhis che è affidata la sopravvivenza dei mutati: immancabilmente di sesso maschile, essi sono capaci di impregnare ogni creatura vivente con un embrione di mutato che, maturando nel giro di poche settimane, nascerà già maturo e pronto all'azione dal cadavere del genitore.
Le altre due sottorazze di mutati sono, fortunatamente, meno frequenti. Fra esse, la prima è quella delle “Madri”, le meretmer; esse appaiono come donne umanoidi oscenamente grasse, dotate di una pelle spessa e cangiante in grado di resistere anche ai colpi più forti. Ma la cosa più inquietante del loro aspetto sono le teste senza bocca né naso, completamente calve se non per otto lunghi tentacoli semoventi; ogni tentacolo termina con una piccola bocca, ed è attraverso queste fauci che le meretmer parlano e si nutrono; nelle situazioni di maggior pericolo, inoltre, i tentacoli sono in grado di proiettare un getto di pur icore caotico nebulizzato, capace di offuscare i sensi e danneggiare il corpo di chiunque abbia la sfortuna di respirarlo. Le Madri devono il loro nome alla loro rara capacità di poter partorire un mutato senza per questo incontrare la morte, e di riuscire a portare avanti più gravidanze contemporaneamente; si dice anzi che alcune meretmer siano in grado di riprodursi da sole, ed è per questa ragione che molti umani le odiano sopra ogni cosa.
Infine, l'ultimo tipo di mutati a essersi stabilizzato e di certo il più temibile è quello dei “Nascosti”, i kokrokipt. I kokrokipt infatti, sebbene fisicamente meno possenti degli altri mutati, sono in tutto e per tutto identici ai comuni umani: soltanto un'indagine magica potrebbe rivelarne la natura caotica, ma si tratta di un mezzo del quale ben pochi rifugi dispongono. Ed è grazie alle sapienti infiltrazioni dei Nascosti che, negli ultimi tempi, molti rifugi sono stati catturati con l'inganno. A differenza degli altri mutati, inoltre, i kokrokipt possono essere sia di sesso maschile che di sesso femminile, e sono in grado di riprodursi in maniera standard con dei partner umani dando vita a degli altri Nascosti.
Al contrario, l'accoppiamento fra mutati può dare vita a un figlio appartenente a una qualsiasi delle tre specie, senza apparentemente nessun legame con quelle dei genitori. Gli idithidhis sono comunque i mutati più comuni, pertanto l'occasionale nascita di una meretmer o di un kokrokipt viene sempre vista come una benedizione del caos. In ogni caso, tutte le razze tendono a maturare molto in fretta, e generalmente un individuo di un anno ha già la corporatura e i modi di un adulto. Fanno eccezione i Nascosti, il cui sviluppo fisico segue i ritmi di quello umano.
Dal punto di vista sociale, i mutati vivono in vere e proprie bande di dimensioni variabili, generalmente costituite da un centinaio di individui. Non hanno una struttura sociale vera e propria, e ogni individuo provvede da solo alle proprie necessità con cacce individuali e quel poco di artigianato necessario ai rozzi strumenti di cui si servono. L'unico potere di cui un individuo dispone è quello che riesce a conquistarsi mediante la violenza e la sopraffazione; fanno eccezione le Madri: data la loro rarità, godono sempre di un notevole prestigio e non è raro che si ritrovino a comandare la propria tribù. È a loro che viene affidato il ruolo di “accudire” i nuovi nati, che siano o meno nati nei loro ventri, e molta della crudeltà dei mutati va attribuita alla perversione con cui le meretmer “educano” la prole.
I mutati non fanno generalmente uso di case, né di vestiti o armature; accade però talvolta che un mutato reclami l'armatura o le armi di un umano ucciso, e si ha notizia di intere bande stabilitesi nelle rovine di un'antica città.
Gli unici mutati a possedere una vera e propria organizzazione sociale sono quanti, assoggettati dai guerrieri-stregoni traditori, sono stati forzatamente trasformati in schiavi dei loro crudeli padroni. Questi ancor più pericolosi abomini costituiscono le truppe d'assalto degli esiliati, e non è raro che possiedano rudimentali armi e armature. E se l'incontro con una banda di mutati comuni raramente lascia scampo all'incauto viaggiatore, nessun abitante dei rifugi né zigano è mai sopravvissuto all'attacco d'una simile tribù.
Caratteristiche: I mutati normali usano le statistiche dei broo, mentre i Nascosti fanno ricorso a quelle degli ogre; infine, le Madri usano le statistiche dei walktapi. È anche possibile che un personaggio cresciuto fra i mutati sia in realtà un umano infettato dal caos e dotato di adeguati tratti caotici. Ogni mutato ha una possibilità pari al proprio punteggio di VOL+COS su 1d100 di possedere 1d3 tratti caotici.
Linguaggio: La lingua dei mutati è il goglogot, o quantomeno è questo il termine con il quale essi vi si riferiscono. È un insieme di suoni talvolta inumani, spesso articolati in maniera non comune, che sembra in qualche modo costituire una sorta di vera e propria “lingua del caos”. Qualsiasi parlante del goglogot aggiunge il punteggio critico della sua abilità in tale lingua a tutte le prove di Magia Comune.
Background culturale: Praticamente solo Selvaggio. Anche quegli umani degenerati che decidono volontariamente di unirsi alle orde del caos sono ben presto spinti ad abbandonare la vecchia mentalità per abbracciare quella dei loro nuovi alleati. Tuttavia, un individuo cresciuto presso una comunità di guerrieri-stregoni traditori potrebbe invece appartenere al background culturale Barbaro; si dovrebbe, comunque, trattare di un'eccezione più unica che rara.
Professioni: Come per il background culturale.

martedì 26 aprile 2011

Ambientazione per RuneQuest, prime due culture

Con un po' di ritardo rispetto ai tempi preventivati, ecco a voi la descrizione e le regole per le prime due culture della mia nuova ambientazione.
Spero di riuscire a finire le altre due culture mancanti entro la settimana, ma non me la sento di promettere niente.

Intanto, ho trovato un nome per l'ambientazione: Ombre antiche sul presente. Spero che vi piaccia.


Gli abitanti dei rifugi
Della varietà di culture e popolazioni che un tempo abitavano il mondo è rimasto ormai ben poco. I superstiti, infatti, raramente si riconoscono negli eredi di questa o quella civiltà, e preferiscono piuttosto considerarsi gli abitanti di un dato rifugio contrapposti agli “altri”, quelli che vivono al di fuori di esso.
Molto raramente i rifugi si trovano nei pressi di un'antica città: fondati negli anni direttamente successivi all'avvento del caso da bande di disperati dalla più diversa provenienza, i nuovi insediamenti sono sorti in luoghi precedentemente quasi dimenticati, talvolta praticamente mai toccati da mano umana. La necessità di far fronte comune, prima per sopravvivere e poi per difendere e fortificare il piccolo angolo di pace raggiunto a prezzo di tanto grandi sacrifici, ha spinto i fondatori ad accantonare ogni possibile divergenza. Genti dalla pelle diversa vivono e muoiono fianco a fianco, e i discendenti di antichi nobili trascorrono le giornate intenti in umili lavori che di certo avrebbero fatto ribrezzo ai loro avi. Ogni rifugio è una sorta di grande comunità per la quale l'indipendenza è una necessità: circondati da ampie fortificazioni, e sempre difesi da guardie armate, i rifugi incorporano al loro interno non solo le abitazioni vere e proprie, ma anche terre coltivate, pascoli, sorgenti e, in alcuni rari casi, addirittura miniere.
All'interno del singolo rifugio, la posizione di una persona dipende dalle sue capacità: un buon combattente e un buon artigiano godranno di una notevole influenza all'interno della propria comunità, e molti insediamenti sono a tutti gli effetti governati da un consiglio di “notabili” scelti fra gli abitanti più capaci e benvoluti. Quasi in nessun caso si è costituita una qualche aristocrazia, ma molto di frequente i migliori guerrieri, i difensori del rifugio contro le orde del caos, sono fra gli uomini più stimati dalla propria gente.
La disperata concitazione del passato cataclisma, inoltre, ha fatto sì che le differenze fra i sessi si affievolissero sempre meno; sebbene le società di molti rifugi siano basate su una famiglia monogamica, all'interno di tali nuclei il peso della donna dipende dalle sue capacità intrinseche e non semplicemente dal suo genere: non è raro che una donna molto abile nel proprio mestiere goda di una stima superiore rispetto al marito.
Ogni cosa che proviene dal mondo al di fuori del rifugio potrebbe essere contaminata, e ogni possibile viaggiatore un abominio del caos. Per questo motivo, il commercio fra i diversi rifugi è praticamente inesistente; la stessa economia monetaria sussiste unicamente in quegli insediamenti abbastanza grandi da essersi sviluppati come veri e propri stati in miniatura, mentre altrove si ricorre a forme più o meno raffinate di baratto. Questo non vuol dire che i contatti fra i diversi rifugi siano assenti, né che un viaggiatore debba aspettarsi di essere linciato da chi non lo conosce; anzi, i viaggiatori sono relativamente comuni, e quanti non riescono a trovare una propria sistemazione spesso finiscono per spostarsi di rifugio in rifugio, non mettendo mai radici in nessun posto e finendo talvolta per diventare vere e proprie “guide”, esperti esploratori della devastazione, se non veri e propri predatori dei tesori ancora nascosti nelle antiche rovine.
I rari manufatti delle ere antiche, come le poco utilizzate e quasi mitologiche canne da fuoco, sono fra i pochi beni ad alimentare un certo commercio, quantomeno nei centri più grossi. Tuttavia, una comunità preferirà fare affidamento solo sulle proprie risorse, rinunciando a ciò che non può produrre pur di non dover dipendere dal mondo esterno.
Concentrati sull'annoso problema della propria sopravvivenza, sempre timorosi di venire travolti da un nemico subdolo e inumano costantemente alle porte, gli abitanti dei rifugi costituiscono delle comunità unite, pratiche, e poco portate all'arte e alla speculazione. Solo i giovani, e talvolta gli anziani nelle sere in cui il cielo lascia trapelare la luce d'una stella, si abbandonano ogni tanto ai sogni di un mondo migliore.
Caratteristiche: Gli abitanti dei rifugi usano i tratti dei normali umani; quei rari individui mutati dal caos che nascono all'interno di un rifugio vengono generalmente uccisi poco dopo la nascita, a meno che la loro mutazione non sia particolarmente facile da nascondere.
Linguaggio: La commistione di genti e stirpi diverse in seguito dell'avvento del caos ha fatto sì che in tutti i rifugi si sviluppasse una sorta di lingua comune, forse retaggio di una antica lingua precedentemente parlata dagli avi più antichi; soltanto alcuni rari insediamenti, che non hanno mai avuto contatti con gli altri rifugi, possono aver sviluppato un proprio idioma.
Background culturale: Tipicamente Barbaro; nel caso dei rari personaggi cresciuti spostandosi sempre da un rifugio all'altro, aggregandosi o meno a una carovana di zigani, è preferibile l'uso del background culturale Nomade. Solo pochi rifugi, sufficientemente grandi da poter costituire una piccola replica della favoleggiata Daiva, possono permettere ai loro abitanti di scegliere il background culturale Civilizzato.
Professioni: Come per il background culturale, con l'eccezione di cortigiano, marinaio, nobile, e di tutte le professioni che forniscono bonus alle abilità di magia. Solo in alcuni rarissimi casi dovrebbero essere concesse tali professioni.

Gli zigani, misterioso popolo di viaggiatori
A memoria d'uomo, gli zigani hanno sempre vissuto per le loro, girovagando da un rifugio all'altro e trascorrendo la maggior parte del proprio tempo nelle distese caotiche al di fuori degli insediamenti umani, attraversandoli in piccole comunità senza apparentemente correre nessun rischio.
Per questo motivo, essi sono guardati con diffidenza e spesso con odio dalle persone comuni, per le quali il mondo al di fuori dei rifugi è solo un'immensa, letale trappola. A rafforzare tale odio contribuiscono le voci e leggende secondo cui, fin da prima dell'avvento del caos, gli zigani erano soliti vivere in grosse comunità nomadi perennemente ai margini della società. Inoltre, molti parlando degli zigani fanno riferimento ai misteriosi riti che costoro compirebbero, nelle notti di plenilunio, nelle aree più segrete dei rifugi che li ospitano.
Si sussurra di strani riti in onore del caos, di innominabili divinità e di sacrifici di sangue, e i più intolleranti sarebbero ben disposti a sterminare qualsiasi comitiva di zigani che si presenti alle porte del proprio rifugio. Ma nessuna comunità, di fatto, può fare a meno dei servigi che solo gli zigani sono in grado di svolgere. Accusati di vivere di espedienti, furto e rapina, gli zigani rimangono nondimeno i migliori allevatori e addestratori di cavalli, animali quanto mai necessari a quanti hanno bisogno di spostarsi da un rifugio all'altro; inoltre, le loro abilità metallurgiche -e la loro capacità di rintracciare i metalli nel caos del mondo esterno- non conoscono pari.
Infine, gli zigani restano gli unici in grado di trovare con una certa sicurezza il tragitto più breve fra un rifugio e l'altro, la via sicura all'interno della quale il caos non può insinuarsi e dove è possibile approvvigionarsi con risorse naturali incontaminate. Per questo motivo non è raro che gli occasionali viaggiatori si aggreghino alle loro carovane, né che assumano degli zigani come vere e proprie guide.
Questo continuo peregrinare ha un forte valore per la cultura zigana: imperscrutabile agli occhi degli altri uomini, esso segue in realtà un ben preciso schema di migrazioni e spostamenti a date fisse, secondo un tragitto segnato secoli prima dell'avvento del caos e caratterizzato da una serie di tappe intermedie lungo un vero e proprio cammino religioso. Accusati da alcuni di adorare il caos, gli zigani ne sono in realtà acerrimi nemici e costituiscono gli ultimi adoratori superstiti di una antichissima religione naturale, che da sempre ha i suoi santuari nei luoghi ora impiegati come rifugi.
È in funzione di questi spostamenti che i dharya, nome con cui gli zigani chiamano se stessi, conducono le proprie esistente. Da lungo tempo, ormai, hanno perso la memoria del loro originario luogo di provenienza, e decine di generazioni come stranieri in tutto il mondo li hanno abituati a considerare questa la condizione standard in cui condurre le proprie vite. Nomadi per natura, i dharya danno poco peso alle comodità e a tutto quel che non è abbastanza pratico da poter essere caricato su un carro; costretti dalla dura esigenza di sopravvivere in un mondo ostile, hanno sviluppato una cultura nella quale ogni individuo deve saper stare al proprio posto, svolgendo il proprio ruolo in maniera impeccabile. Pure, conoscono i piaceri della vita e anzi amano festeggiare ben più di quanti dimorano chiusi nei rifugi.
Al vertice della scala sociale degli zigani vi sono gli anziani, depositari della memoria dell'intero popolo e sacerdoti d'elezione nei riti plurisecolari nonché guide impareggiabili nel trovare un percorso sicuro; i combattenti, quanti sono in grado di impugnare le armi per difendere le carovane dai rari ma potenzialmente letali assalti dei mutati, godono di quasi altrettanta stima. Tipicamente, la guida di una comunità viene affidata a un anziano o a un guerriero, e talvolta è proprio un anziano combattente a potersi fregia di tale titolo. Allevatori di cavalli e bovini, artigiani e fabbri occupano una posizione di fatto subordinata; è tradizione che un figlio segua le orme del padre imparandone il mestiere, ma i dharya non sono soliti soffocare un talento naturale e privare la tribù di una risorsa in omaggio alle tradizioni. La posizione delle donne è in un certo senso subordinata a quella degli uomini: raramente godono di importanti incarichi, e raramente svolgono un vero e proprio mestiere; tuttavia, è compito delle donne di ogni famiglia gestirne le risorse e vigilare affinché il suo carro sia sempre in buono stato e pronto agli spostamenti, ed è risaputo che gli zigani tengono in grande conto le opinioni delle proprie spose.
Popolo fiero e orgoglioso, insofferenti della servitù e di quei lavori che ritengono umilianti, gli zigani sono acerrimi nemici del caos, né è loro abitudine dedicarsi all'esplorazione delle antiche rovine degli adharya (i non zigani), come invece fanno gli abitanti dei rifugi. Olivastri di carnagione, amano adornarsi di gioielli elaborati da loro stessi forgiati, e amano gli abiti colorati tanto quanto la buona musica e tutte quelle forme di intrattenimento che troppe uomini hanno ormai scordato. Per questo motivo, non è raro che talvolta un abitante dei rifugi decida di unirsi per un certo periodo di tempo a una carovana di zigani, vivendo in tutto e per tutto come loro; molti di questi individui abbandonano la comunità dopo qualche tempo, magari quando il suo pluriennale girovagare l'ha riportata al rifugio dal quale proviene, ma non è raro che tali persone arrivino ad apprezzare tanto i dharya da chiedere, e talvolta ottenere, di poter entrare a pieno titolo nella comunità.
Caratteristiche: Gli zigani usano in tutto e per tutto le statistiche degli umani; individuano e uccidono alla nascita quei rari dharya infettati dal caos con una crudeltà verso il proprio sangue che molti troverebbero quasi inumana.
Linguaggio: Gli zigani parlano un proprio linguaggio, noto come dharayan. Si tratta di una lingua molto antica, per certi versi non dissimile dall'idioma parlato nei rifugi, ma certamente parecchio più complessa e in certi casi cristallizzata in stadi molto antichi. Molti zigani, comunque, imparano anche la lingua comune dei rifugi.
Background culturale: Quasi esclusivamente Nomade: uno zigano che si stabilisce definitivamente in un rifugio, abbandonando la sua comunità e adottando il background culturale di quella in cui si stabilisce, è poco più che un reietto agli occhi di due popoli, e costituisce un'eccezione talmente grande da risultare praticamente unica.
Professioni: Come per il background culturale, con l'eccezione di tutte le professioni che conferiscono bonus alle abilità di magia comune e stregoneria. Questi tipi di magia sono un tabù per gli zigani, e quanti fra i dharya decidono di praticarle raramente sopravvivono.

domenica 24 aprile 2011

Un'altra poesia

Purtroppo, a causa del lavoro e di altri impegni non sono ancora riuscito a scrivere molto altro per la mia ambientazione in lavorazione.

In compenso, tanto per non lasciare il blog senza aggiornamenti settimanali, ho deciso di pubblicare questa poesia, scritta in settimana.
Non è niente di particolare, ma è sempre qualcosa.


Cerco qualcosa che il mondo non offre
Di certo a chiunque,
Né senza affanno lo dona a quei pochi
Ai quali i destini
Hanno concesso di averne la grazia,
Chimera splendente.
Molti non danno alcun peso alla cerca
Che compio, incessante:
Tutto va bene, ogni nome, ogni viso
Ci placa la brama.
Forse temprato dagli anni sofferti
Nell'esser diverso,
Molto diverso dai canoni d'oggi
Dettatici in legge,
Ho maturato nell'animo questo
Mio gran desiderio:
Mai esser pago del poco, dell'oggi,
Di facili grazie.
Forse pretendo qualcosa di troppo,
Può darsi, l'ammetto;
Pure pretendo, severo, altrettanto
Da me. Non mi basta
Essere quello che sono, condurre
La semplice vita
Squallida, persa, di quanti non hanno
Alcun Desiderio,
Forse blasfemo, d'andare ben oltre
Se stessi, cercando
Sempre di rendersi un poco migliori
Dell'oggi, soffrendo
Certo la dura scalata -ma dolci
Quei frutti che cogli
Solo dai rami più prossimi al sole!
Impongo, crudele,
Questa continua scalata a me stesso,
Soffrendo e sudando
Tanto dolore nell'animo. Come,
Mi chiedo talvolta,
Mai mi potrebbe bastare qualcosa
Di basso, l'ignobile
Semplice amore carnale d'un giorno,
D'un mese, scordato
Presto nel nulla d'un'altra passione
Di breve durata?

domenica 17 aprile 2011

Componimento sperimentale goticheggiante

Allo stato attuale delle cose, la poesia che vi sto postando è il frutto di due settimane di riflessione, modifiche e dubbi. Non sono pienamente convinto della validità di alcuni passi, ma prima o poi dovevo pur "concludere" il tutto; ovvero, con ogni probabilità riprenderò in mano più e più volte questo componimento nei mesi prossimi.

Quello che mi ha creato tante difficoltà è stato il tentativo di creare una poesia che avesse a che fare con lo stile gotico (e più in generale con tutta l'ala più "tetra" del romanticismo sette-ottocentesco) senza però ricadere nel trito e scontato sistema moraleggiante del genere. Temo di aver tirato fuori soltanto una serie di versi definibili al meglio come "di maniera", al peggio come "vaccata assurda".
A voi il giudizio.


Celano gli alberi antichi, nell'ombra
Pietosa e gelata,
Tetra una casa, più antica, da tempo
Scordata dall'uomo.
L'edera scala le mura sgualcite
Dal tempo incessante,
Muri ingrigiti dagli anni di pioggia,
Crepati dal sole.
Prospera muffa al di sotto del manto
Di foglie cadute,
Scese ogni autunno a coprire di nuovo,
Fedeli, la terra.
Quasi nessuno nei giorni dell'oggi
S'attarda a gettare,
Occhi furtivi, uno sguardo alla casa
Che s'erge, isolata,
Cupa, nel freddo cortile, protetta
Da siepi di rovi.
Quando talvolta un'occhiata indiscreta
S'indugia, intrigata
Dalla possanza degli alberi antichi
Sul vecchio edificio,
Quasi a cercare una faccia, indignata
Da tanta intrusione,
Sportasi appena fra i vetri in frantumi,
Fra imposte marcite,
Nulla le s'offre dall'ombra ancestrale,
Soltanto quel buio;
Incubo caro ai bambini, a chi sogna.
E quando talvolta
Qualche curioso passante, straniero
Di certo, domanda
Chi mai ne fosse padrone, rapito
Dall'edera antica,
Pochi frammenti di voci troncate
Da un vecchio timore
Sono la sola risposta che ottiene
Dai mesti vicini.
Pesano tetre leggende, racconti
D'un epoca andata,
Quando -lontani quei giorni!- di voci
Vibrava la casa.
Ora neppure un sussurro si leva
Dal tetro edificio:
Pure le bestie si tengon lontane
Dall'ampio giardino,
Quasi che provino oscuro terrore,
Memoria o visione,
Nell'accostarsi a quei muri in rovina.
Raccontano i vecchi,
Quando il terrore è scacciato dal vino,
Che l'ultima voce
D'uomo, sentita dai padri nei giorni
Lontani, venire
Tetra dall'ampia dimora in rovina
Urlasse di morte.
Era la voce del vecchio padrone,
Crudele vegliardo,
Dicono, autore di un empio peccato
Terribile a dirsi.
Questa soltanto è l'estrema memoria
Rimasta dell'uomo,
Forse malvagio, di certo colpito
Da fato impietoso,
Grande in passato, memoria sbiadita
Nell'incubo adesso.
Solo la casa rimane, in rovina,
Consunta dal tempo,
Fredda nell'ombra del vecchio giardino,
Estremo ricordo.

giovedì 14 aprile 2011

Ambientazione per RuneQuest, ennesimi brani

Anche questi testi faranno parte della mia ambientazione per RuneQuest in corso di lavorazione.

Ancora una volta, fanno riferimento a un preciso aspetto del mondo in costruzione, nello specifico il modo in cui è scivolato nell'abbraccio letale del caos.

Inoltre, questi potrebbero essere gli ultimi testi che scriverò per un po' dato che penso di aver quasi finito la prima parte del lavoro: probabilmente, a breve mi dedicherò alle regole vere e proprie e, se va bene, per metà maggio il manualetto sarà completo.


Estratto da un antico testo religioso

“In verità, l'uomo è creatura degli Dei, plasmato a immagine della Loro volontà, affinché sia il Loro araldo in terra. Solo il fedele è vero uomo, e coloro i quali si rifiutano di ascoltare il Verbo rinnegano se stessi nell'offendere i propri Signori.
Che la dannazione ricada sul capo di quanti rinnegano i Veri Dei, loro creatori; possano le fiamme funeste degli inferi ardere l'anima di quanti ancora inneggiano ai falsi idoli, possano la morte coglierli intenti a celebrare i loro sporchi riti di sangue. Poiché hanno scelto le tenebre, e la Luce non li guiderà alla salvezza.
La Luce degli Dei traccia il cammino dell'uomo: araldo divino, egli deve dominare il mondo in Loro nome. Egli è la più alta fra le creature, il signore del creato, il custode della materia. L'uomo deve portare avanti il Disegno Divino, suo dovere è seguire il Verbo e la Luce.
Le tenebre degli inferi attendono chi professa una fede blasfema nella natura, poiché egli ha scelto di essere schiavo di ciò che gli Dei ci chiedono di dominare; sarà lutto e pianto a quanti ancora adorano i falsi dei e professano il loro empio credo.
Tu non ti farai sviare dagli empi, tu non ti prostrerai davanti agli schiavi, tu non cederai alle forze oscure. Ma, illuminato dalla Luce, seguirai il Verbo secondo il volere degli Dei.”



Discorso di un sapiente

“Immagina un fiume, un fiume con la tendenza a gonfiarsi in funeste ondate di piena. Ora, immagina che per arginarne gli effetti qualcuno costruisca un'enorme barriera tutt'attorno agli argini, e un'imponente diga che ne interrompa il corso.
Il fiume si ingrosserà sempre di più, non trovi? Sì, per qualche tempo il pericolo delle piene verrà evitato, ma la loro devastazione sarà soltanto rimandata.
Ora immagina che, sempre più di frequente, qualcuno apra dei pertugi nella diga per attingere un po' d'acqua dal fiume. Nei primi tempi non ci sarà nessun rischio in tutto ciò, ma con l'accumularsi delle acque esse usciranno dalle fessure con forza sempre maggiore, sfuggendo talvolta al controllo di chi voleva impiegarle.
E, infine, immagina che alla fine vengano aperte contemporaneamente centinaia e centinaia di fessure permanenti nella diga. La forza della barriera verrà meno, e la violenza delle acque a lungo accumulata si scatenerà tutta in una volta con una immensa ondata di piena. Ogni cosa verrà travolta, e anche se poi il fiume riprenderà il suo corso antico le terre attorno ad esso diventeranno un unico, enorme acquitrino; gli argini verranno erosi, e il letto del fiume si estenderà in un'area molto più grande. Intere pianure diventeranno paludi, e il fiume stesso perderà il proprio rigore per trasformarsi in un corso stagnante e melmoso, colmo di mulinelli e detriti. Magari qualche luogo, provvidenzialmente in altura, si salverà dalla catastrofe, ma le antiche colline emergeranno ora come isole in mezzo a un mare di devastazione putrescente.
Ecco, questo è quel che è successo al nostro mondo. Il caos è stato a lungo il fiume che irrigava i campi del nostro mondo, alimentandolo con la sua forza mistica. Poi gli uomini hanno eretto una barriera fra se stessi e tale principio creativo, volta a proteggerli dai suoi imprevedibili flussi. Ma nel contempo hanno continuato ad attingere energia dal caos, per potenziare la propria magia come per mantenere viva la terra. E a un certo punto la barriera ha ceduto: le forze del caos, a lungo represse, hanno invaso il mondo e trasformato ogni cosa col loro potere incontrollato e non più incanalabile. Soltanto alcune aree, paragonabili a quei rilievi tanto fortunati da sfuggire all'inondazione del mio esempio, si sono salvate dalla devastazione.
Perché è successo tutto questo? Perché l'uomo è stato così stupido da frapporre una barriera fra se stesso e quelle energie caotiche dalle quali non poteva prescindere? Immagino che tu non sappia molto delle antiche fedi religiose, vero? No, non posso darti torto, gli antichi dei non meritano altro che l'oblio, e il biasimo sempiterno degli uomini.
Perché, vedi, furono loro a spingere l'uomo a un tale gesto avventato. Ho letto i pochi libri di teologia rimasti da prima della catastrofe e credimi, le cose sono andate proprio così: per devozione e fede gli uomini hanno eretto con la fede una barriera impenetrabile, ma per mantenersi in vita dovevano quotidianamente attingere a ciò che stava al di là di essa. No, non è solo la magia a derivare il suo potere dal caos: anche gli uomini, gli animali, e ogni aspetto della natura stessa derivano in qualche misura dal caos la propria vitalità. Una vitalità che un tempo era controllata e filtrata, ma che ora emerge senza più alcun vincolo devastando quello stesso mondo che alimenta.
Dobbiamo ringraziare solo gli dei per tutto questo, ricordatelo. I maledetti hanno distolto la loro attenzione da noi adesso, o forse è il caos che li tiene lontani, non lo so. Di certo, se gli dei non ci fossero stati ora noi tutti non saremmo qui a soffrire. Luridi bastardi.”



Preghiera di un fedele
“Signori delle stelle, ancora oggi io vi onoro. Anche da questa terra devastata, anche con l'oscurità della morte che incombe su di me, io vi invoco con cuore devoto. Anche se i guardiani che ci avevate dato sono stati consumati dalla propria stoltezza, anche se la loro follia ha condannato la mia stirpe, io mi rivolgo a voi quale suddito fedele.
L'equilibrio deve essere ripristinato nel mondo, deve regnare nuovamente la giusta alternanza di caos e ordine da cui deriva il flusso della vita. Voi soli siete i maestri dell'equilibrio, voi soli siete creatori e non distruttori, guide e non tiranni, custodi e non carnefici.
Io vi invoco, signori delle stelle, e mi rivolgo a voi: possa la vostra benedizione darmi la forza di fare quel che devo, di agire come è necessario quando verrà il momento. Possa il sacrificio mio e degli altri fedeli portare alla salvezza del nostro mondo, possa il nostro sangue lavare l'onta di quanti si piegarono al messaggio dei vostri servitori impazziti.
Da guardiani, essi vollero diventare dei; da protettori dell'uomo, osarono ambire a esserne i signori; bramarono la devozione totale degli uomini, bramarono l'annientamento di quel che dovevano guidare, e ne furono annientati. Possa io, con la vostra benedizione, arginare la violenza del caos senza bramarne la distruzione né venirne distrutto.”

domenica 10 aprile 2011

Ambientazione per RuneQuest, nuovi brani

Altri tre brani per la mia ambientazione in corso d'opera. Trattano di uno dei temi più spudoratamente ispirati a Warhammer 40K; spero però che si inizi a intravvedere qualcuna delle fondamentali differenze che ci saranno fra i soggetti dei brani e le loro palesi fonti di ispirazione.


Le memorie di un uomo disperato
“Ve l'ho detto, non lo so proprio da dove siano arrivati: un attimo prima non c'erano, e quello dopo ce li siamo trovati davanti, armati di tutto punto. Armati come? Spade, lance, scudi... non ricordo bene; le lame sembravano di ferro, ma brillavano al sole come le loro armature. Che faccia avevano? Non lo so, ve lo giuro: uno solo era senza elmo, ma portava un cappuccio calato sugli occhi.
Erano quattro, solo quattro, sì! Non hanno neanche aperto bocca: appena sono arrivati ci si sono buttati contro, e in un attimo la metà dei nostri erano a terra a mordere la polvere. Combattevano benissimo, dannazione! Io ho preso una botta talmente forte da farmi cedere le gambe, e quella è stata la mia salvezza: mi hanno creduto morto. Altri non sono stati così fortunati.
Due dei miei compagni hanno tentato di sparare, e quelli per tutta risposta hanno staccato dalla cintura due canne da fuoco e li hanno colpiti alla schiena. Canne da fuoco, sì, ve lo giuro: ne avevano tutti una al fianco, e non erano certo i gingilli scarichi e arrugginiti che qualcuno si tira ancora dietro. Erano armi vere e proprie.
Dopo che ci hanno eliminati, hanno disperso i muli e si sono messi a seguire a ritroso le nostre tracce. Non so che fine abbiano fatto: appena ne ho avuto il coraggio sono corso via; non so cosa sia successo al rifugio in cui ci trovavamo prima.
Questo è tutto, ve l'ho già detto! Non so se fossero dei vostri o degli “altri”, dovete credermi, vi prego. Non ce la faccio più, vi scongiuro: basta con questo dolore. Ve lo giuro, non sto nascondendo niente, per favore...”



Il rimpianto di un guerriero

“Perché, perché tradire? Eravamo come fratelli, non c'era nulla allora che ci dividesse. Quante battaglie, fianco a fianco contro le progenie del caos, la nostra vita nelle vostre mani e la vostra nelle nostre. Solo le nostre lame e il nostro coraggio a frapporsi fra Daiva, la grandiosa, l'ultima città degli uomini, e la corruzione che divora il mondo.
Perché un tale mutamento d'animo fratelli, perché? O già da allora nel vostro cuore tessevate le trame del tradimento, già da allora bramavate il potere sopra ogni cosa, già da allora stimavate ininfluente il vostro dovere verso la patria comune? Perché tradire tutto quel che rappresentavate in nome di una assurda crociata volta soltanto ad accrescere il vostro potere nella speranza di poter maneggiare l'essenza più perversa del caos senza venirne corrotti?
Per noi eravate come fratelli, ma quel tempo ormai è lontano. Senza rendervene conto, convinti di mantenere salda la vostra umanità, siete diventati perfino più corrotti delle incolpevoli bestie contro cui un tempo levaste le armi al nostro fianco.
Voi siete i traditori, voi siete i dannati; gli uomini inferiori, naufraghi disperati nella tempesta di un mondo divorato dal caos, sono impotenti dinnanzi a voi e tremano al vostro passaggio. Ma noi non conosciamo la paura, né la pietà; non nei confronti dei traditori, non nei confronti dei mostri che siete diventati. Affilate le vostre lame, preparate i vostri più folli incantesimi, e serrate le cinghie delle vostre armature deformate dal caos. Perché noi, i difensori di Daiva, i fedeli, coloro che non hanno ceduto, non ci arrenderemo mai né a voi né a nessun altro. Per Daiva, e per l'umanità tutta!”



Dal discorso di un comandante
“Ci chiamano traditori, ci definiscono folli e corrotti, dicono che abbiamo tradito l'umanità! Sciocchezze, nient'altro che sciocchezze, sono soltanto le idiozie che una mente limitata partorisce quando non è in grado di affrontare la sfida postale innanzi dal futuro!
Noi siamo uomini, e l'uomo è il signore del mondo. Lo era prima dell'avvento del caos, e deve continuare a esserlo ancora, anche in un mondo che sembra rifiutarlo e stritolarlo fra le sue spire. Tutto è cambiato; e allora? Non è forse massima dote dell'uomo quella di saper cambiare, di sapersi adattare alle esigenze e alle imposizioni di quel che lo circonda? L'uomo è caos incarnato al massimo grado: mutevolezza nei mezzi, continuità negli intenti, aspirazione a controllare e possedere ogni cosa.
Io vi dico, fratelli, che non dobbiamo temere il caos. Gli stolti lo temono, e combattono l'inevitabile. Resistere lancia in resta, le gambe saldamente piantate nel terreno, all'onda di distruzione che si appresta a sommergerti non è un comportamento da eroe, no: è un comportamento da stupido. Perché opporsi all'ineluttabile? Il mondo è divenuto il dominio del caos, e allora? Accettiamo il caos nei nostri cuori, e plasmiamolo in una nuova arma al nostro servizio, che fortifichi il nostro braccio e faccia strage dei nostri nemici.
Noi siamo gli uomini nuovi, noi che non temiamo il caos e i suoi doni, noi che abbiamo imparato a controllare e domare i mutamenti tanto funesti per i nostri simili inferiori. Noi siamo il futuro dell'uomo!
Il mondo sarà nostro fratelli, poiché noi siamo divenuti tutt'uno col caos, e il caos è potente!”

giovedì 7 aprile 2011

Ambientazione per RuneQuest, altri due racconti

Festeggiando in maniera assolutamente inadeguata il mio centesimo post nel blog (quanto è passato da allora, incredibile... quanto sono lontani alcuni dei motivi per i quali avevo iniziato a scriverci), vi posto altri due racconti freschi di giornata per l'ambientazione a cui sto lavorando.

Da essi si dovrebbe intuire qualcosa di più sul presente del mondo, e se sono riuscito nel mio intento la lettura dovrebbe suscitarvi parecchie curiosità.
Manca ancora una revisione vera e propria, che presumibilmente effettuerò assieme a una pesante limatura una volta che tutti i racconti saranno completati. Per ora, comunque, penso di aver svolto un buon terzo del lavoro.


Dal discorso di un viaggiatore

“Sì, apparentemente non c'è modo per sapere quale strada scegliere, quale percorso ti porterà verso un rifugio e quale via, al contrario, rappresenta solo una trappola tesa dal caos per ghermirti. Ho sentito tante storie di viaggiatori che si sono addentrati in quelle che sembravano foreste incontaminate solo per poi trovare la morte, o peggio, nell'abbraccio del caos.
Ma mai uno zigano, ci avete fatto caso? Gli zigani sanno sempre quale strada scegliere, conoscono il percorso giusto e lo sanno seguire senza farsi confondere da niente e nessuno. No, non è certo perché sono seguaci del caos, per favore, piantatela con queste sciocchezze. Sì, va bene, qualcuno ci sarà anche fra loro, ma posso assicurarti che gli zigani odiano il caos più di tutti noi, e il trattamento che riservano ai loro fratelli corrotti è qualcosa che non auguro a nessuno di subire. Come faccio a sapere tutte queste cose sugli zigani? Semplice, ho viaggiato con loro per un certo tempo.
Ed è stato in quegli anni che ho scoperto il segreto degli zigani. No, non sacrificano bambini alla luna piena e no, tutte le cazzate sui loro riti di sangue per tenere lontano il caos sono, appunto, cazzate. Il segreto a cui mi riferisco è il modo che usano per muoversi in sicurezza fra un rifugio e l'altro. Come, adesso vi fate tutti silenziosi? La cosa vi interessa, eh?
Bene, bene, lasciatemi parlare e forse imparerete qualcosa che potrà salvarvi la vita un giorno.
Come di certo sapete tutti, da ogni rifugio partono tutta una serie di percorsi sicuri verso gli altri, vicini e lontani; il problema è che se è facile raggiungere i rifugi vicini semplicemente muovendosi sempre dritti nella loro direzione, la cosa diventa difficile quando il rifugio che si vuole raggiungere dista decine e decine di giorni di cammino. In questi casi è facilissimo perdersi, e abbandonare il percorso per finire in una zona contaminata dal caos. Gli zigani, però, hanno un modo tutto loro di trovare e seguire i percorsi; lo chiamano “seguire la natura”, se non ricordo male.
In pratica, se ci si presta attenzione, si nota che ogni percorso sicuro è caratterizzato da qualcosa. Che cosa? Beh, è difficile dirlo, dipende: magari a volte segue il corso di un ruscello, magari invece c'è tutta una fila di piante dello stesso tipo, o magari dei favi di api -sì, api- sugli alberi. Non è mai chiaro cosa definisce un percorso, ma gli zigani hanno una dote naturale nell'individuare questo aspetto della via, e in questo modo sono in grado di seguirla senza mai perdersi.
Non è facile riuscirsi per un non zigano, nossignore, però vale la pena di imparare come si fa. È “seguendo la natura” che sono arrivato qui, e vi dico solo che il mio viaggio è durato ventisette giorni. Eh, che ci volete fare, si invecchia e le gambe non si muovono più veloci come una volta. Ma sapete cosa vi dico? Meglio essere un vecchio saggio che un ragazzotto avventato, quando sei fuori dai rifugi: ne ho visto troppi perdersi e morire in maniera orribile. Il mondo è crudele, non dimenticatelo mai.”



Riflessioni di una guardiana

“Da cento cicli, ormai, gli dei tacciono. La loro voce si è spenta, il loro respiro affievolito fino a perdersi nel sussurro crescente del caos. Ma noi resistiamo.
Custodi, questo è il nostro nome; guardiane, questo è il nostro compito, il nostro dovere, lo scopo della nostra vita; vigilare sul mondo, guidarne la vita secondo i disegni celesti. Ma le stelle tacciono ormai, e quello che un tempo fu il servo, docile argilla nelle nostre mani, ha assunto la forma di un orribile mostro che tutto devasta e divora. Il fiume in piena ha rotto gli argini e invaso le terre emerse, trasformando la pianura ricolma di vita in un fetido acquitrino paludoso dove strisciano le larve di immonde bestie alate. Ma noi resistiamo.
Anche se il mondo è in rovina, anche se la natura nostra madre è ormai assediata e vinta dalle spire soffocanti del caos, anche se i nostri signori immortali tacciono, noi restiamo e resteremo sempre le guardiane del mondo. Lo dobbiamo alla memoria di chi ci ha dato la vita; lo dobbiamo alle bellezze di una natura moribonda, del cui splendore radioso godevamo nella nostra giovinezza; e lo dobbiamo agli uomini, agli sparuti gruppi di mortali che, nella disperazione, devono unicamente a noi la loro stremata sopravvivenza.
Senza di noi sarebbero perduti. I nostri antichi altari permangono, reticolo di pace in un mondo affogato dalla sua stessa linfa; li chiamano “rifugi”, e pensano di essere loro stessi a pagare con sangue e sacrifici il prezzo della propria difesa. Non conoscono la verità, poiché da tanto tempo ormai hanno voluto dimenticare. Avessero voluto gli immortali che mai l'uomo dimenticasse le sue origini, avessero voluto gli immortali che mai l'uomo seguisse le vie di potenza indicate dagli dei, avessero voluto gli immortali che mai l'uomo pensasse di sostituirsi alla natura nel portare a termine il disegno divino. Ma l'uomo ha dimenticato, e solo pochi fedeli sono rimasti negli anni passati; derisi e disprezzati, libavano con acqua di fonte sugli altari di pietra, danzavano agli equinozi e levavano canti notturni sotto la luce della luna piena.
Pure, il nostro aiuto va a tutti gli uomini, e difendiamo questi rari paradisi di pace per chi ci riverisce come per chi, ormai, ha perfino scordato le leggende nate dal nostro ricordo.
Noi resistiamo, e resteremo le guardiane della natura. Fino a che il sole risplenderà su questa terra sciagurata, le custodi rimarranno fedeli al proprio compito. Molte sorelle sono cadute nel corso degli anni, morte o corrotte dall'inarrestabile stretta del caos; non ha importanza: esse non sono più guardiane, ormai, ma solo pallide ombre, sussurri di follia nel coro di voci devastate.
Noi resistiamo, e resisteremo anche per le sorelle cadute, fino a che i nostri corpi avranno una flebile brezza di vita.”

martedì 5 aprile 2011

Nuova ambientazione per RuneQuest, racconto introduttivo.

Il mio prossimo progetto gidierristico corposo, che se andrà tutto bene dovrei riuscire a completare nel giro di un mese e mezzo, sarà una miniambientazione per RuneQuest II.

Lo scopo principale del lavoro in questione è creare un mondo nel quale giocare col mio gruppo, un po' come nel caso di Avventure per il mare.
Questa ambientazione, nello specifico, sarà pesantemente influenzata dall'universo di Warhammer 40.000, ma con una notevole interpretazione personale in chiave fantasy-apocalittica. Inoltre, sia per facilitare il mio compito di scrittura del manuale, sia per agevolarne la lettura da parte dei giocatori, questo lavoro si comporrà principalmente di brevi racconti.

Il primo di tali racconti è già pronto da qualche tempo, e altri ancora sono in cantiere. Non escludo di modificarlo un po' nella versione definitiva del manualetto, ma per ora ve lo presento così com'è.

Molti punti non vengono, volontariamente, chiariti: questo racconto deve essere principalmente un'introduzione, e pertanto l'ho scritto cercando di suscitare la curiosità del lettore nei confronti di quel che verrà dopo.

Insomma, alla prossima!


Discorsi attorno a un fuoco da campo
“Se so quand'è cominciato tutto questo casino? Beh, mio nonno raccontava sempre, la buonanima, che ai tempi di suo padre tutto era diversa da come è oggi: la gente non viveva soltanto nei rifugi, e tutto il mondo era abitabile a parte qualche zona; c'erano un sacco di città con migliaia di abitanti, non solo quella Daiva di cui parlano tanto i sognatori. E il caos rimaneva confinato in qualche buco, dove i suoi deliri non creavano problemi a nessuno.
Merda, è cambiato tutto da allora... quanto sarà passato? Cento anni, penso, o forse di più; che importanza ha? Io conosco solo questo mondo, e lo stesso vale per te e per tutti quelli che ho incontrato; e così sarà anche per tuo figlio, credimi: questo schifo è il posto in cui dobbiamo abitare, e sperare in qualche miracolo non serve a niente. O gli dei sono morti, oppure se ne sono sempre fregati di noi, altrimenti non avrebbero permesso che accadesse questo scempio.
Ma recriminare non serve a niente, hai ragione. E sta' tranquilla: con me tu e tuo figlio siete al sicuro, ho già attraversato molte volte questa zona, e per la giusta ricompensa vi porterò tutti e due al prossimo rifugio sicuro. Ce ne sono ancora, sì, anche se si fanno sempre più rari; basta poco per mantenerli sani: basta mollare un calcio in culo a ogni dannato stregone che prova ad avvicinarsi, e far fuori tutto quello che non è umano. Anche gli animali? Certo, signora mia, anche gli animali: non più tardi di quindici giorni fa ho visto quello che doveva essere stato un cervo; aveva due dannatissime mani al posto delle corna, e la coda terminava in una chela assurda. E sai che cosa ha fatto quella bestia quando mi ha visto? Ha riso, capisci? Un maledetto cervo che rideva come un essere umano! Si è buttato in carica contro di me, ma per fortuna avevo il mio arco a portata di mano; forse ora è la sua carcassa a far ridere chi la guarda, chissà...
Il punto è che se un uomo è mutato te ne accorgi facilmente, credimi, se si tratta di un animale è più difficile. L'unica è tenersi strette le poche bestie sane che restano, e non farle assolutamente pascolare in zone contaminate come ho visto fare a un gruppo di imbecilli. Gente del genere sarebbe capace di mangiarsi la carne di un animale mutato, che idioti.
Perché impallidisci? Eh, sì cara mia, c'è chi lo farebbe, mondaccio boia; idioti. All'inizio magari non ti fa niente, e magari è anche buona, ma poi appena inizi a digerirla ti muta inevitabilmente: porca miseria, stai mandando giù un pezzo di caos a ogni boccone, questo è cercarsela!
Dammi retta: questo casino ce lo siamo cercato noi uomini. Quando ancora c'erano le città, nessuno ha fatto niente per opporsi agli stregoni, anzi: era considerata una cosa conveniente imparare qualche dannato incantesimo per aiutarsi nella vita di tutti i giorni. Intere città con centinaia e centinaia di maghi dentro, te le immagini? Certo che alla fine sono cadute, porca di una miseria. Come, non lo sai? Però, il vostro rifugio doveva proprio essere un buco, accidenti. In pratica, comunque, ogni volta che un dannatissimo stregone lancia uno dei suoi maledetti incantesimi, c'è una piccolissima possibilità che in qualche modo il caos si manifesti.
Non so bene come funzioni la cosa; una volta ho accompagnato un tizio che diceva di essere uno studioso, anche se secondo me era solo un gran contaballe, e lui mi ha spiegato qualcosa: pare che ogni stramaledetta magia prenda il suo potere dal mondo del caos, usandone le forze. Quindi, se lo stregone non sta attento, la cosa gli scappa di mano e il caos entra nel nostro mondo. Immaginati cosa vuol dire questo in una città con un centinaio di maghi o giù di lì, porca miseria, immaginatelo. È così che è incominciato il vero casino: le città sono cadute, i loro abitanti sono morti o si sono trasformati in mostri, e il resto del mondo si è trovato nella merda.
Davvero, se non si sta chiusi in un rifugio, con gente a fare sempre la guardia sulle palizzate, si è condannati. Tu e tuo figlio avete avuto molta fortuna a trovarmi: da soli sareste morti nel giro di qualche giorno, credimi. Non ti preoccupate, porterò te e il bambino al sicuro entro dopodomani al massimo, dovremmo essere abbastanza vicini.
Ma com'è che quello in cui stavate prima è caduto? Per caso avete lasciato entrare qualche mutato del caos? Non lo sai, vero? Scommetto che è andata così, comunque. Ho sentito delle voci abbastanza inquietanti negli ultimi tempi: c'è chi dice che quegli abomini si stiano facendo scaltri ultimamente, e che stiano trovando il modo di corrompere sempre più rifugi. Secondo un tizio, uno dalla faccia spiritata che tremava di continuo, il caos non trasforma sempre gli uomini in mostri; sostiene che alcuni restino quasi normali, o addirittura che migliorino il loro aspetto fisico. Sarebbero questi a infiltrarsi nei rifugi e a farli cadere corrompendo tutti gli abitanti. L'idiota sembrava prendere molto sul serio questa storia, tanto che a un certo punto ha cercato di strangolare una ragazza dicendo che la sua bellezza doveva essere un effetto del caos. Un pazzo, credimi: abbiamo già abbastanza casini così, senza bisogno di crearcene altri da soli.
Ma tu stai tranquilla, non permetterò che facciano male a un bel pezzo di figliola come te, e arriverai sana e salva al rifugio, davvero. Che cosa voglio in cambio? Bah, si vedrà lì. Tu intanto riposati, mi sembri stanca e sei davvero molto pallida; bah, chissà che cosa avete passato tu e tuo figlio prima che vi trovassi. Ma non preoccuparti, con me sei al sicuro. Ti chiedo solo, per favore, di restare sveglia qualche ora mentre io mi riposo. Ora sono molto stanco, accidenti, e ho bisogno di dormire. Svegliami se senti dei rumori, d'accordo. Svegliami e farò tutto quello che vuoi, mia signora.”

domenica 3 aprile 2011

A volte non ritornano, ma l'incontro resta

Ci sono casi di incontri fortuiti che fanno riallacciare rapporti vecchi di anni, e ci sono casi di inimicizie risanate dopo una coincidenza più che casuale.
Ma ci sono anche i casi di conflitti che non si attenuano per l'essersi, semplicemente, scambiati un cenno di saluto stizzito.
E poi ci sono quegli incontri casuali dopo i quali ci si accorge di non provare assolutamente niente. O meglio, niente se non l'astio nei confronti di una casualità farlocca che contro ogni previsione crea coincidenze là dove sarebbe auspicabile che non ce ne fossero.

Questa poesia nasce da un simile avvenimento.


Niente: soltanto dall'astio a vederti
Son preso, davvero.
Freddo distolgo lo sguardo dal volto
Che prima sognavo
Colmo di baci, seguendo un amore
Respinto e deriso.
Tu parimenti distogli il tuo volto
Dagli occhi che un tempo
Tanto ti amavano, mai ripagati.
Adesso sto meglio;
Senza smaniare correndoti dietro,
Bambina viziata,
Vivo felice e mi godo i miei giorni.
Ma tu, ne son certo,
Sempre rimani la stessa egoista
D'allora, e allontani
Quanti ti vogliono bene. Continua,
Rimani da sola,
Soffri, ed incolpane quanti hai ferito.
Ormai non mi tange.