lunedì 18 settembre 2017

Riflessioni ludiche: regole e gioco, un problema di aderenza

Per quanto attività libera, per quanto paradossale a seconda delle varie riflessioni ludologiche questo possa essere, ogni gioco ha delle regole: se si sta giocando a nascondino io che ho perso e conto non posso decidere di fermarmi a 15 anziché arrivare a 31 come hanno fatto gli altri prima di me; giocando a calcio non posso decidere di tirare la palla in porta con le mani. Farlo significherebbe violare le regole del gioco.

Questo, abbastanza evidentemente, è vero e forse ancor più valido per i giochi di ruolo, i wargames e i videogiochi: le prime due categorie di gioco si presentano di fatto come insiemi di regole, tanto che alcuni manuali sono diventati famigerati per la loro mole immane e le loro tabelle da modulo di dichiarazione dei redditi, mentre nel terzo caso le "regole del gioco" sono qualcosa di magari più discreto ma altrettanto importante, qualcosa che sta alla base dell'esperienza ludica ma che viene gestito per noi dal computer o dalla console, richiedendo da parte del giocatore soltanto degli input. In effetti, in tantissimi videogiochi, la differenza fra "pro" e "niubbi" sta tutta nell'aver compreso le regole del gioco e nel saperle applicare e sfruttare. I bug di un videogioco non sono che le scappatoie legali del suo regolamento.

Un altro fatto abbastanza evidente è che, col passare del tempo, le regole di un gioco tendono a modificarsi; togliamo dal nostro esempio giochi come Monopoli/y (il mio ha ancora la i) e Risiko: le loro meccaniche sono vecchie, datate, per certi versi sub-ottimali, ma i giochi sono diventati classici e iconici così come sono, al pari degli scacchi, al pari del cinema muto. Giochi del genere possono permettersi di restare sempre pressoché pari a se stessi, perché chi compra una scatola del monopoli vuole esattamente quel tipo di gioco. Di contro, giochi di ruolo e wargame, che dei GdR sono gli antenati, tendono col passare del tempo a modificare le proprie regole per ottenere più immediatezza, più adesione all'idea originale o, semplicemente, allo "spirito dei tempi" e al target di riferimento: non si può pensare che un lavoratore trentenne abbia lo stesso tempo libero di uno studente liceale. Qualche lustro fa le tabelle su cui effettuare i tiri di dado andavano tantissimo, in seguito sono state viste col fumo negli occhi, oggi sono gradite se puramente descrittive mentre, quando servono a decidere degli effetti numerici importanti e possono dare risultati casuali dal "va tutto bene" al "sei nella merda fino al collo", vengono tendenzialmente cassate.

Ovviamente esiste, anche nell'ambito dei giochi di ruolo e dei wargame, la tendenza a giocare i grandi classici così com'erano in origine: con termine preso in prestito dall'industria videoludica, dove i titoli invecchiano ancor più velocemente, si parla di retrogaming. I nuovi giochi di ruolo Old School, "vecchia scuola", non sono che riproposizioni dei grandi classici, sotto altri nomi per questioni di copyright. E, anche in questo caso, dopo la schiera dei retrocloni, vere e proprie riedizioni delle prime edizioni di Dungeons & Dragons, abbiamo visto il fiorire di regolamenti che offrono un'esperienza simile senza essere oberati da regole per niente intuitive; tanto per nominare due giochi molto blasonati, Symbaroum e L'Ultima Torcia seguono questa via.

Accantonato il discorso "sempre uguale a se stesso e sempre di successo", così come il discorso retrocloni, retrogaming e moda dei tempi andati (ho una giacca in jeans con spille dannatamente anni '80, non sto certo criticando questa tendenza), il problema di aderenza di cui parlo nel titolo del post emerge da una cosa fino a ora appena accennata: le diverse edizioni di un gioco di ruolo, o comunque qualsiasi gioco in cui, al di là delle regole puramente meccaniche, ci sia un mondo, un'ambientazione, insomma un/una lore per dirla come gli anglofoni.
Per quanto le regole stesse di un gioco non ne esauriscano l'esperienza offerta, esse costituiscono una parte importante della stessa: c'è una bella differenza fra un gioco di esplorazione in cui un solo colpo basta a uccidere definitivamente un personaggio, e un altro dove egli può resistere a due, tre, dieci colpi prima di rischiare la morte. Nel caso di D&D, il passaggio da "gioco di avventurieri poveri, sporchi, pitocchi e straccioni" a "gioco di eroi che salvano il mondo" è stato reso possibile anche da un calo della mortalità, dal passaggio dall'ottica-wargame "ogni soldato morirà come un cane prima o poi, generale compreso" a un nuovo modo di difendere e tutelare i personaggi nei quali i giocatori investivano energie creative ed emotive.

Modificando le regole del gioco, si modifica anche l'esperienza di gioco, poco da aggiungere. In certi casi, le modifiche possono essere tali da rendere il gioco tanto diverso da se stesso che perderà buona parte dei suoi estimatori, come un D&D 4^ edizione qualunque.


Ma che dire delle regole che vengono modificate non per dare un nuovo tono al mondo di gioco, bensì soltanto per adattare il regolamento alle nuove esigenze di cui sopra?
(ottenere più immediatezza e/o più adesione all'idea originale, allo spirito dei tempi o al target di riferimento)

Se l'apparato muscolo-scheletrico che c'è sotto si modifica, anche l'epidermide ne verrà modificata: la pelle di un bambino non può coprire il corpo di un body builder, e un grande obeso che dimagrisce avrà tanta pelle in eccesso da rimuovere per non sembrare uno shar pei. Lo stesso vale per un gioco.
Il problema è che, nel caso di tanti tipi di gioco, questa epidermide fatta di ambientazione, mondo di gioco e sapere fittizio diventa potenzialmente molto più importante delle meccaniche regolistiche con le quali la si gestisce. Le smagliature che vengono a crearsi fra regolamento e "lore", così, non solo sono "brutte", ma creano anche dei potenziali strappi nel cielo di carta, squarci nella sospensione dell'incredulità. Un maestro del fumetto ludico ha immortalato la questione per il passaggio dalla terza all'edizione 3.5 di D&D

Un esempio concreto è il funzionamento della magia arcana, quella a cui hanno accesso gli studiosi delle arti esoteriche, nell'ambientazione di Dragonlance per Dungeons & Dragons; la mia ambientazione preferita, in effetti.
 Originariamente, la magia di D&D era basata sul sistema elaborato dallo scrittore statunitense Jack Vance per il suo ciclo sulla Dying Earth, la Terra Morente; in tale sistema, detto gergalmente vanciano, un mago memorizza ogni giorno tot incantesimi ed è in grado di manifestare una sola volta ogni singolo potere mistico preparato prima di rimanere a secco.
Dragonlance costruisce tutta la sua elaborata cultura magica attorno a questo assunto: i maghi studiano ogni giorno gli incantesimi che poi dimenticheranno una volta lanciati, una situazione che ricorda dannatamente l'esperienza di uno studente universitario alle prese con un esame particolarmente ostico.

Senonché, a partire dalla sua terza edizione, D&D ha iniziato poco a poco a testare i limiti del sistema vanciano, ad abbandonarlo o a modificarlo pesantemente. In D&D 5^ edizione la classe del mago non funziona più come faceva in Advanced Dungeons & Dragons.
Se ancora in terza edizione era possibile, con un mago vanciano, mantenere valido quanto detto in decine di romanzi riguardo alla magia, un adattamento di Dragonlance alla 5^ edizione richiederebbe una riscrittura totale di quanto dato per assodato riguardo al funzionamento della magia nel mondo di gioco.


Non sarebbe un compito troppo difficile, in effetti, non peggiore delle costanti retcon dei fumetti americani (c'è stato un periodo in cui Bruce Wayne era Batman da meno anni di quanti ne avesse il figlio da lui generato quando già era Batman) o dei flashback spesso inconsistenti di Hokuto No Ken (ancora mi chiedo in che grado di parentela reale siano i vari zii di Ken, fra loro e con lui stesso), ma si tratta comunque di una questione da risolvere per non sottoporre a smagliature la sospensione dell'incredulità, con un regolamento che cozza col mondo di gioco.

Intendiamoci: in altri casi le nuove edizioni possono, anziché
indebolirlo, rinsaldare il raccordo fra ambientazione e regolamento. E' il caso, ad esempio, delle armi al plasma in Warhammer 40.000; da background, queste armi se surriscaldate rischiano di esplodere in mano a chi le usa, cosa che ha dato vita a tante situazioni divertenti. Con il passare delle edizioni e il semplificarsi del gioco, però, si è preferito in casa Games Workshop far sì che le armi al plasma rischiassero sempre, potenzialmente, di surriscaldarsi: una possibilità su sei.
Senonché, con l'attuale ottava edizione di WH40K, si è tornati al passato: un'arma al plasma può essere usata in modalità normale o sovraccaricata; nel secondo caso è più letale, ma rischia di far fuori chi la sta sciaguratamente impugnando.



Talvolta, queste variazioni di regole possono contribuire a rafforzare l'ambientazione di un gioco anziché indebolirla, in maniera non molto dissimile da come è presentata la razza felina dei khajiit nella serie The Elder Scrolls. Questi amabili felini, infatti, possono presentarsi in tantissime forme diverse a seconda della fase lunare in cui sono nati; in questo modo è perfettamente coerente e giustificabile che i khajiit di Morrowind siano diversi da quelli incontrati in Skyrim. Un po' poco credibile che in un dato luogo ci siano solo rappresentanti di un'unica sottorazza, ma basta dire che i khajiit si organizzano in comunità a seconda del periodo dell'anno in cui sono nati per giustificare il tutto.

Ora, quand'è che questo problema di aderenza fra regole e gioco si fa davvero problematico?
A mio avviso lo fa quando si tratta di creare un prodotto derivato dal gioco stesso.

Proprio i romanzi di Dragonlance, che tanto hanno contribuito alla fama dell'ambientazione, sono l'epitome di questo problema: la magia di D&D è cambiata, i romanzi hanno intere parti che ora, anziché aiutare il lettore a immergersi nel gioco, lo confonderebbero in base alle nuove regole. Tutte le sezioni su Raistlin che deve memorizzare la sua magia andrebbero cancellate, o quantomeno modificate, per far sì che oggi i romanzi siano aderenti al gioco come lo erano quando sono usciti.

E questo è il mio problema: mentre mi balocco con l'idea di un modulo di adattamento della saga videoludica della Legacy of Kain al gioco di ruolo Anime e Sangue, mi chiedo a quale videogioco dovrei fare riferimento per tanti aspetti che, nella storia della serie, sono cambiati.
Le regole del gioco cambiano, ma quando sei così giocatore da voler fare un gioco sul gioco ecco che devi decidere quale "variante d'autore" vuoi rendere. E non è affatto facile.


domenica 17 settembre 2017

Due piccole miniature senza pretese

Era previsto un articolo di riflessioni ludiche, relativo a questioni sollevate ancora una volta dalla mia voglia di un'espansione di Anime e Sangue per giocare la Legacy of Kain.

Però, nel giro di 24 ore, sono non troppo incredibilmente riuscito a finire due miniature che languivano da mesi nel limbo della mezza pittura.


Una delle due miniature, in realtà, era già stata dipinta (diciamo "colorata", va') nel lontano (sono vecchio) 2010; è stata la mia prima modifica "seria" a partire da un pezzo GW, un'elfa oscura incantatrice che volevo usare come araldo di Slaanesh su cavalcatura - all'epoca mancava il pezzo ufficiale.
La "modifica", all'epoca, constava di un piccolo dettaglio aggiunto alla cavalcatura e di un'icona di Slaanesh sul bastone.

Ovviamente, molto presto il pezzo mi sembrò troppo scarso, e decisi di lavorarci sopra ancora; non so quante volte di preciso l'ho preso in mano, mollato e ripreso, so solo che a un certo punto sono riuscito a trovare una posa separata dalla cavalcatura. Solo recentemente, montando una chela di demonetta gigante e due pezzi ulteriori, ho raggiunto un livello "finale": non è una miniatura perfetta, ma è una discreta demonetta illusoria/mutante del Caos, ed è un pezzo con un altissimo valore affettivo.

L'altra miniatura, invece, so solo che l'ho pagata una fesseria. Che cosa dovesse essere non l'ho ancora scoperto.


Come vedete, entrambi i pezzi sono i classici modelli in metallo di un tempo, a stampo bivalve e poco più che bidimensionali, dannatamente piatti nelle loro linee essenziali. Lo Zeus-Poseidon ha fatto scuola.


Il tiziospettro è una miniatura abbastanza interessante; date le molte mezzelune gli ho dato una colorazione che potesse in qualche modo richiamare Slaanesh, tanto per non farlo stonare in mezzo a eventuali pezzi simili. A voler fare prima, sarei andato di bianco e glaze su forse tutta la miniatura.
E forse avrei fatto meglio, col senno di poi: più che per WH, Spettrotizio è una miniatura perfetta per i giochi di ruolo.


Fun fact #1: avevo finito il protettivo opaco, e ne ho comprato uno di marca mai usata prima nel negozio di fiducia. Col risultato che vedete nel vortice. Opacissimo, proprio.


Fun fact #2: ovviamente, da bravo pirla patentato, la catena l'ho notata e dipinta solo quando mi accingevo a dare il protettivo.


La "prima mia miniatura modificata", d'ora innanzi PMMM, ha potuto ottenere una postura meno piatta grazie alle tante modifiche a cui l'ho sottoposta. Modifiche non esattamente gentili: ricordo con chiarezza di averla "scolpita", in certi punti, usando le tronchesine. L'arnese più agile di questo mondo, vero?


La spada, come notate, è molto più sottile del normale; sono collezionista di coltelli prima che modellista, e le spade-mazze proprio non le sopporto; una cosa di cui vado fiero, ultimamente, è che tutte le spade montate sui miei coltelli riescono effettivamente a tagliare la carta. Realismo signori, realismo. E il sangue che scorre sulle miniature è per la maggior gloria di Khorne.




I capelli sono, abbastanza chiaramente, un pezzo scolpito mooooooolto tempo fa.



Scoperte pittoriche #2: un buon modo per fare la pergamena senza troppo sbattimento.
Scoperte pittoriche #2: il nero non lo so proprio trattare decentemente.



Se non altro, queste gemme le ho dipinte passabilmente. Sono incredibilmente riuscito a fare il puntino bianco mignon.


Come vedete, in mezzo alle demonette ufficiali il pezzo ha il suo perché. E aggiunge un po' di verve a una sessantina di modelli tutti uguali.

giovedì 14 settembre 2017

Modellismo: principe demone di Khorne (Khorne Daemon Prince) terminato, e non solo

Dopo il modo (a pisciate e sassate?) in cui alcuni hanno "accolto" la mia ultima creazione, devo ammettere di aver pensato a lungo di appendere i pennelli a un chiodo, vendere baracca e burattini (pardon, pupazzetti) e mollare l'hobby.
Una reazione indubbiamente eccessiva, ma nei periodi di fragilità capita anche questo. Nella fase più brutta, e senza essere stato tirato in ballo in nessun modo, un bravissimo modellista italiano, Matteo Donzelli (in arte Durgin), mi ha contattato privatamente per darmi il suo sostegno morale e invitarmi ad andare avanti: non serve essere i migliori per darsi all'hobby, se quello è veramente un hobby.
E ha ragione da vendere, in effetti: se chi dipinge e scolpisce male deve essere schernito, se ne deduce che chi gioca a calcetto è solo un fallito che non è entrato nella nazionale; chi pesca qualcosa di più piccolo di uno capodoglio un incapace che non dovrebbe avvicinarsi al mare; chi ride degli altri senza saper scrivere una satira in ottave un fallito che dovrebbe amputarsi le mani e cucirsi la bocca.
Per fortuna, non va così.
A ciascuno le sue mediocrità che gli piacciono. Questa, il modellismo, è una mia mediocrità che mi piace praticare a modo mio.

Iniziato più di un anno fa (ricordo benissimo che l'avevo primerato prima di partire per NYC a giugno dell'anno scorso), il principe demone di Khorne modificato a partire da una statua di Khaine è finalmente terminato. Pittura mia, quindi non eccellente, ma discretamente passabile. Sono contento del modo in cui il pezzo è disarmonico, concentrando brutalità e grazia in un'unica miniatura.


La basetta, leggermente allargata rispetto alla prima versione, è un riciclo di teste e affini, unta di sangue, con costole ricavate da materiale organico (unghie).



La testa; una parte mica semplice, ché si trattava di trasformare qualcosa di elfico in una testa tipicamente khornita. Penso di esserci riuscito. Il semplice teschio sul petto dell'armatura fa molto per demonizzarla.



L'arma "regolare", una spada infuocata con lame blu. Sì, il verde avrebbe fatto più contrasto rispetto al rosso, ma ho preferito puntare su un colore che mediamente mi piace di più.



La seconda arma, interamente autocostruita a partire da pezzi vari, è decisamente più brutale. Nel background di Warhammer dopotutto abbiamo casi di principi demone "convertiti" e corrotti dalle loro armi impugnate, no? Direi che questo è uno di loro.




Deretano e ali metalliche. Ogni ispirazione degli X-Men è puramente scontata, essendo io il nerdaccio che sono.






Il "non solo", però, si riferisce al fatto che, in base ai consigli di chi mi ha realmente dato suggerimenti utili e non si è limitato a sniffare la pisciata altrui per lasciar poi la propria, ho cercato di superare alcuni limiti della custode.


In primo luogo, ho allargato la basetta creando una vera e propria scena di sacrificio con la vittima. Le foto purtroppo sono quel che sono perché, sul pezzo montato, era difficile riprendere i due soggetti separatamente dal demone. 



L'officiante del mini-diorama tiene in mano la testa di una demonetta, e stringe in pugno il coltello con cui sacrificare la vittima al(la) demone(ssa).



Probabilmente, però, è lui stesso la vittima designata, a giudicare dai tentacoli che si protendono alle sue spalle.




Dopotutto, solo un folle evocherebbe un demone, no?



Sulla custode, i lavori sono stati diversi: a parte riprendere in mano il colore in almeno due punti, ho aggiunto e/o scolpito una serie di gioielli e ninnoli. In particolare, questo pendente sul collo "riempie" il vuoto che c'era lì. L'horror vacui è una costante dell'estetica di Warhammer.


Uno spallaccio e sei catenelle, variamente montate e dipinte, rendono più vividi braccia e capigliatura.





Inoltre, siccome diverse persone mi avevano fatto notare che il vestito/terreno non era comprensibile, ci ho lavorato ulteriormente sopra: molta più rozza irregolarità, molte fenditure del terreno anche attorno al demone, tentacoli che ne scaturiscono tutt'attorno. Se non altro ora che si tratti di un'evocazione è qualcosa di più comprensibile.




Ah, sì, dimenticavo: come potete vedere, un bit elfico ha provveduto a rendere meno "vuota" anche la zona-deretano.




E così, con questi due, ho la bellezza di tredici "demoni ciccioni", dei quali tre vintage e dieci in qualche misura autocostruiti/modificati/montati su qualche diorama.
Perché per me è questo il modellismo: far emergere la propria creatività. Alcuni sapranno farlo meglio, altri (me) peggio, ma il mondo non ha bisogno di manieristi e petrarchisti vari. 



Guest star in tutto questo, due flaconi che dato il mio imbrano e la gustosità del mio sangue ricco di ferro e proteine mi sono stati più volte d'aiuto nel corso della carriera modellistica.











E, con questo principe demone, ho finito per la prima volta da, uh, dal 2011 tutti i pezzi della mia armata che erano rimasti a metà. Rimangono solo miniature sparse e varie, pezzi singoli, ed eventuali nuovi acquisti.

Ah, già, e rimane lui. Un pezzo di prova, più che altro, costruito per prendere confidenza col roll maker, ma ha il suo perché. Lo dipingerò a tempo perso insieme ad altre miniature, penso.