Principalmente giochi di ruolo, ma anche modellismo. Riflessioni e poesie, quando sono in vena. Quel che di volta in volta mi sento di condividere, insomma.
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martedì 10 agosto 2010
Per il mare: storia del mondo
Il prossimo lavoro, la geografia del mondo, mi porterà via un po' più di tempo dato che è ancora in gran parte in fase di ideazione.
Per il mare: la storia del mondo
Nel mondo si sa molto poco della storia mondiale: l'alba delle diverse civiltà, il processo e i conflitti che hanno portato alla nascita dell'Ordo Orbis sono apparentemente andati perduti nella catastrofe che ha riplasmato le terre. Perché, se la storia propriamente detta è sconosciuta anche ai migliori studiosi, di conto ben pochi lungo le rotte maggiori ignorano le mille leggende fiorite attorno alle civiltà del passato e alla loro scomparsa.
Secondo tali racconti, il mondo non è sempre stato quale si presenta ora: in passato, le terre emerse erano molto più ampie, e dove ora sorgono arcipelaghi di piccole isole un tempo si trovavano ampie estensioni di terreno punteggiate da rare montagne. Queste voci, si dice, sono avvalorate dagli avvistamenti di antiche rovine sui fondali marini più bassi, avvistamenti particolarmente frequenti nelle aree di più antica civilizzazione.
Non si sa se le antiche civiltà furono colte impreparate dalla Grande Inondazione: c'è chi dice che esse avessero previsto il fenomeno, e costituito l'embrione dell'Ordo Orbis come rimedio all'imminente sciagura; c'è chi dice che fossero ormai precipitate nella barbarie e che le acque si siano limitate a sommergere le effigi di culture ormai morte. E c'è anche chi sostiene che molti fra gli abitanti delle enigmatiche città sommerse avessero raggiunto un livello di progresso talmente elevato da permettere loro di lasciare il mondo mediante gigantesche navi volanti, dirigendosi alla ricerca di una nuova patria fra le stelle.
Quale che sia stato il destino degli abitanti delle terre sommerse, i superstiti alla catastrofe precipitarono nella barbarie; si ritiene che vi sia stato un periodo di lotta per la sopravvivenza, un vero e proprio medioevo della cultura e delle coscienze, della durata di qualche secolo. Poi, nel cosiddetto Vecchio Mondo, qualcosa iniziò a cambiare: mentre le rivalità fra i piccoli stati insulari continuavano, le principali gilde mercantili delle diverse comunità trovarono più vantaggioso allearsi fra loro allo scopo di garantire i propri commerci; era nato, con il Consortium Mercatorum, il primo nucleo da cui si sarebbe in seguito sviluppato l'Ordo Orbis.
Il potere del Consortium Mercatorum crebbe col passare degli anni: nel giro di poche decadi, i potenti principes mercatores erano in grado di dettare l'agenda politica di buona parte dei regni situati nel Vecchio Mondo. Col passare degli anni, le guerre si fecero sempre meno frequenti, salvo quando conformi agli interessi del Consortium, e in questa nuova era di pace imposta col potere del denaro i viaggi e le esplorazioni si fecero più frequenti. Vennero scoperte innumerevoli isole, e molte di esse finirono per essere assoggettate come colonie o protettorati ai regni del Vecchio Mondo; poche comunità, i cui capi furono rapidi nel porsi al servizio del Consortium Mercatorum, mantennero un'indipendenza formale.
Fu nel corso di queste esplorazioni che due messi del Consortium, entrambi nativi del regno di Talia, si imbatterono in due isole stupefacenti: Oderio Pipionum scoprì l'arcipelago battezzato Oderia in suo onore, mentre Tullio Voltae approdò nell'enigmatica terra di Dabhati.
Due, fra le isole che costituivano l'arcipelago di Oderia, avevano dimensioni ragguardevoli e incredibili, ed erano ricche di risorse naturali; gli indigeni non accettarono di piegarsi al Consortium Mercatorum, né di cedere le proprie preziose terre ai nuovi venuti, e da questo conflitto nacque una guerra quale non se ne erano mai viste. Il Consortium spinse i regni del Vecchio Mondo ad allestire una flotta senza rivali, e decine di imbarcazioni cariche di armati attraversarono l'oceano per sottomettere le isole dell'Oderia; la guerra durò più a lungo di quanto i principes mercatores si aspettassero, e fu nel corso di questo conflitto che alcuni giovani nobili colsero l'occasione per creare un esercito fisso e permanente, una forza armata al servizio del Vecchio Mondo e solo formalmente sottoposta al Consortium Mercatorum. Alla fine, fu solo grazie all'impiego di questa incredibile armata di guerrieri ben addestrati e armati, la Militia Marium, che le terre di Oderia vennero trasformate in colonie del Vecchio Mondo.
Se le cose andarono diversamente nella Dabhati, è probabile che ciò fu dovuto alla differenza di carattere esistente fra Oderio Pipionum e Tullio Voltae: quanto il primo era intransigente, arrivista e altezzoso, tanto il secondo era di larghe vedute e altruista. Va aggiunto il fatto che, al contrario degli apparentemente barbarici indigeni di Oderia, gli abitanti del Dabhati erano gli eredi di una civiltà antica quanto e forse più di quella del Vecchio Mondo. Voltae passò molti anni assieme a loro, diventando perfino un ministro del sovrano di quell'enorme isola, e stringendo numerosi patti e accordi con i seguaci della Legge Universale, una raffinata dottrina religiosa dabhatiana.
Tornando in patria, Tullio Voltae fu accompagnato da alcuni emissari del regno di Dabhati, così come da alcuni sacerdoti della Legge Universale. E fu in occasione di questo incontro che maturò l'embrione dell'Ordo Orbis: il Consortium Mercatorum e la Militia Marium detenevano entrambe un enorme potere politico, e la forza economica del primo era pari solo a quella militare della seconda; ma a entrambi gli ordini mancava un'ideologia potente, un'idea attorno alla quale costruire un nuovo ordine mondiale. La Legge Universale, ribattezzata nel Vecchio Mondo Lex Omnium, era proprio quell'ideologia: con lunghi viaggi per mare, vennero inviati messi e legati plenipotenziari; vennero stretti patti e alleanze, vennero accettati e imposti compromessi.
Nel giro di poche decadi dall'impresa di Voltae, l'alleanza fra i tre grandi poteri era cosa fatta: i numerosi governi restii ad accettare il nuovo ordine mondiale, fra cui quello della Dabhati, vennero rovesciati dalla potenza della Militia Marium, enormemente accresciuta dopo l'impiego a scopo bellico della prodigiosa polvere esplosiva inventata secoli prima -ironia della sorte- propria nella Dabhati. Nel frattempo, il verbo opportunamente riveduto e corretto della Lex Omnium, era stato diffuso fra la popolazione per abituare tutti i sudditi al nuovo potere; il supporto economico del Consortium Mercatorum provvedette a stabilizzare i nuovi governi e, nel giro di pochi anni, tutte le terre emerse vennero formalmente assoggettate alla giurisdizione dell'Ordo Orbis.
Le tre fazioni che avevano costituito il nuovo ordine mondiale mantennero una forte indipendenza, stabilendosi ciascuna in uno dei tre arcipelaghi principali: il Consortium Mercatorum si stabilì a Oderia, nella città di Vectorian appositamente fondata per essere al centro di tutte le rotte commerciali; la Militia Marium rimase stanziata nel Vecchio Mondo, da dove i suoi ufficiali potevano facilmente reclutare soldati di provata fedeltà; infine, la Lex Omnium ebbe la sua sede formale nelle antichissime terre della Dabhati, dove gli antichi monasteri che per primi avevano ospitato i seguaci della Legge Universale aumentavano notevolmente il prestigio della religione ufficiale mondiale.
Per parecchi secoli, l'Ordo Orbis governò tutte le isole senza incontrare alcuna opposizione degna di tale nome: le sparute sacche di resistenza venivano schiacciate e annientate una ad una, quando non erano ancora in condizione di nuocere al potere costituito. Poi, cinquant'anni fa, tutto questo ebbe termine.
È probabile che le mosse di Vigon Asrigue siano state programmate da questi ben prima dei primi attacchi ufficiali della sua armata, altrimenti non si spiegherebbe il modo in cui la sua Armata della Libertà riuscì a raggruppare sotto un'unica bandiera tutte le forze di opposizione all'ordine mondiale, portandole a costituire una forza militare, economica e ideologica degna di rivaleggiare con il potere che governava le terre da secoli. La crociata di Asrigue contro l'Ordo Orbis diede ben presto i suoi frutti: nel giro di poche decadi, le gesta del misterioso capo mascherato portarono alla ribellione numerose isole, e molti incrociatori della Militia Marium vennero attirati in trappole letali.
L'Armata della Libertà era specializzata nei gesti dal forte carattere ideologico, capaci di spezzare il morale al nemico e di mostrarne la fragilità intrinseca; emblematico è il caso dell'attacco contro Vectorian: Vigon Asrigue guidò in persona quattro dei suoi sette luogotenenti durante l'assedio alla città, provocando danni ridotti alla popolazione civile ma avendo cura di distruggere ogni magazzino e ufficio amministrativo del Consortium Mercatorum. Quando le sue forze si ritirarono misteriosamente, i membri dell'Ordo Orbis si dissero che era stato l'approssimarsi di una enorme flotta della Militia Marum ad allontanare i ribelli. Solo più tardi, i cittadini di Vectorian si accorsero del fatto che sulle torri più alte della città, compresa la sede del consorzio mercantile, sventolava la bandiera dell'Armata della Libertà. Lo stesso accadeva, nello stesso momento, nei porti principali del Vecchio Mondo e di Dabhati, assaliti a sorpresa dai seguaci di Asrigue: l'intero attacco non era stato che un diversivo volto a far lasciare sguarnite le altre capitali dell'Ordo Orbis, allo scopo di distruggere i principali edifici amministrativi.
Poi ventiquattro anni or sono, quando le forze di Vigon Asrigue sembravano ormai inarrestabili, quando i magistrii dell'Ordo Orbis erano quasi giunti a prendere in considerazione l'ipotesi della resa, il misterioso capo rivoluzionario svanì nel nulla. Il governo mondiale diffuse la voce di averlo catturato e giustiziato seduta stante, ma lo stesso boia sapeva che quel condannato non era la Furia Rivoluzionaria.
Pure, per quanto l'ordine mondiale sperasse di porre così fine all'Armata della Libertà, le gesta dei seguaci di Asrigue non si placarono: pur privati della loro guida, i seguaci della Furia mantenevano il proprio addestramento e il proprio numero. Anche se ben presto la grande flotta si suddivise in numerose squadre, più o meno fedeli agli ideali propugnati da Vigon Asrigue e più o meno dedite alla pura e semplice pirateria, la minaccia rappresentata dalle vestigia dell'Armata della Libertà non venne mai meno.
Per combattere questa nuova piaga contro la propria influenza, l'Ordo Orbis istituì il corpo dei cosiddetti ordinarii, soldati scelti totalmente indipendenti dai tre poteri che costituiscono il governo mondiale e formalmente soggetti soltanto ai magistrii dell'ordine. Facendo leva sulla loro avarizia, i migliori diplomatici del Consortium Mercatorum riuscirono anche a portare dalla propria parte alcuni degli ex-seguaci della Furia Rivoluzionaria, ai quali venne formalmente riconosciuto il diritto di predare le isole dichiaratesi indipendenti dall'Ordo Orbis.
Ma nel frattempo il seme piantato da Vigon Asrigue continuava a dare i suoi frutti, e la forza dell'ordine mondiale sempre più frazionata aveva difficoltà a intervenire ovunque col giusto tempismo: sempre più navi salpavano l'ancora sventolando una bandiera pirata, e sempre più isole si dichiaravo indipendenti. Istituzioni che erano rimaste solide e immutabili per secoli erano state scosse profondamente e costrette ad adattarsi a un mondo in continuo fermento.
Quale che sia stato il suo destino, Vigon Asrigue ha forse raggiunto il suo vero scopo: qualsiasi cosa abbia in serbo il futuro per le isole, difficilmente tutto ritornerà come prima.
domenica 8 agosto 2010
Per il mare: ambientazione per Pathfinder
Man mano che creerò nuovi documenti, li posterò separatamente come documenti di testo, e solo come ultima cosa creerò un PDF contenente l'ambientazione completa.
Intanto, per ora, eccovi l'introduzione.
PER IL MARE: INTRODUZIONE
“Ricordate, governatore, che come vicario nelle vostre terre dell'Ordo Orbis avete il preciso dovere morale e spirituale di garantire a tutti i vostri sudditi e sottoposti la pace e la sicurezza sulle quali si regge il precario equilibrio terreno del nostro mondo. Tale pace e tale sicurezza non possono prescindere dall'ordine, in quanto là dove vi è anarchia proliferano i razziatori, e gli agnelli vengono predati dai lupi; perciò che voi siate come pastore per il vostro gregge, guidandolo nei momenti perigliosi e proteggendolo dai flagelli dei mari, questi seguaci delle tenebre che nulla bramano se non la devastazione, la morte e l'annientamento della pace di cui l'Ordo Orbis è incarnazione terrena.”
Estratto dalla parte finale di una lettera inviata dai magistri dell'Ordo Orbis al governatore di Marecabeum in occasione del suo insediamento.
“Sono ventate di piombo che le due navi si scambiano, squarciando le fiancate delle imbarcazioni e aprendo orribili ferite nei petti dei combattenti. Infine, mentre il suo vascello si sta ormai sfasciando, Paulo il Nero urla con la sua formidabile voce: “A me, filibustieri! All'arrembaggio!”"
Da “Le ultime imprese di Paulo il Nero”, libro scritto da Romeo Saligarum, attualmente inserito nell'indice dei libri proibiti come tutti i testi di tale autore.
“E vi diranno che lo fanno per il bene del mondo, contro la vostra volontà ma per la vostra stessa salvezza. Non dovete credere loro! Non prestate fede alle parole di quanti dicono di volervi proteggere e poi sopprimono la vostra libertà di tracciare da soli il vostro stesso destino. Voi, voi soli siete i padroni di voi stessi. Se il governo mondiale detiene un qualche potere sopra le vostre persone, un potere che talora arriva finanche al diritto di vita e di morte, questo accade solo perché voi avete rinunciato a esercitare autonomamente tale potestà su voi stessi. Reclamate ciò che è vostro! Io non vengo a comandarvi, ma per guidarvi lungo il vostro stesso sentiero. Non cerco servi adulanti o schiavi genuflessi, come fa invece l'ordine mondiale. Io ricerco compagni, uomini che siano in grado di liberare il prossimo essendo loro stessi liberi. Non c'è bene al mondo che valga quanto la libertà di un essere umano, e non è vera pace quella che viene ottenuta a spese del proprio diritto all'autodeterminazione.”
Brano tratto dal discorso tenuto da Vigon Asrigue in occasione del suo ormai leggendario attacco contro la città di Vectorian.
Per il mare è il nome di una mini-ambientazione di mia ideazione per il sistema di gioco Pathfinder. Questo lavoro nasce dal desiderio di disporre d'un mondo di gioco coerente e adeguato a giocare una campagna esclusivamente marinara, mischiando i toni di alcuni dei più famosi prodotti d'intrattenimento contemporanei e non aventi come tema i pirati.
Nello specifico, sono pesantemente debitore nei confronti dei film della serie Pirati dei Caraibi, così come del manga One Piece, senza dimenticare il grandissimo debito mai saldato verso le letture giovanili dei romanzi di Salgari; un'altra notevole e apparentemente inusuale fonte di ispirazione per questa ambientazione è stata la trilogia di Queste Oscure Materie. Ma, chiaramente, mi sono ispirato anche a molte altre fonti che sarebbe lungo elencare; dico solo che quanto vi è di mio in questa ambientazione è più un lavoro di rielaborazione e di fusione che non di creazione vera e propria.
Addentrandovi nella lettura, troverete molti nomi e luoghi chiaramente ispirati a luoghi e personaggi reali o dell'immaginario piratesco comune. Tutto ciò è chiaramente intenzionale: come game master, trovo che la presenza in un'ambientazione di elementi che rimandano a oggetti presenti nell'immaginario comune aiutino i giocatori a interagire più agevolmente con tali elementi. Inoltre, trattando di un genere codificato come quello dei pirati, non posso esimermi dal rendere omaggio ad alcuni dei capisaldi di tale genere.
Dal punto di vista tematico, Per il mare è un'ambientazione incentrata su avventure che si svolgono appunto nei mari e nelle innumerevoli isole che sorgono lungo le rotte più o meno note. Tutte queste isole sono formalmente poste sotto la giurisdizione dell'Ordo Orbis, una vera e propria teocrazia mondiale che, nel nome della giustizia e della pace, governa con il pugno di ferro ogni terra emersa. Nel corso dei secoli numerose persone si sono opposte all'ordine mondiale e ai suoi agenti, gli ordinarii; ma mai, fino a cinquant'anni fa, tali forze riuscirono a mettere seriamente in crisi l'Ordo e la sua sovranità. Tutto cambiò con la venuta di Vigon Asrigue e del suo esercito: Asrigue riuscì a organizzare timidi intellettuali, sparuti gruppuscoli rivoluzionari, pirati senza arte né parte e soldati sbandati in cerca di una causa, unendoli in una prodigiosa armata sotto lo stendardo della libertà. Anche se dopo la sua scomparsa, ventiquattro anni or sono, l'esercito di Vigon Asrigue si frazionò in numerose ciurme di pirati, più o meno fedeli al loro progetto originario, l'Ordo Orbis era ormai entrato nella sua fase discendente: sempre più persone mettevano in discussione i suoi metodi di governo, le privazioni a cui sottoponeva e sottopone le persone, i suoi moralismi e le sue ipocrisie.
È in questo mondo squarciato dalla guerra, dove speranza e disperazione si intrecciano beffarde, dove grandi pericoli e grandi occasioni attendono gli avventurieri lungo il corso del loro destino, che si svolgono le avventure Per il Mare.
venerdì 6 agosto 2010
Un bel poemetto
La forma metrica è quella ormai tipica dei miei ultimi lavori, endecasillabi a ritmo dattilico, in questo caso organizzati in quartine. Tramite l'inserimento di un ritornello facilmente orecchiabile ho cercato di dare il tono d'una ballata al componimento.
Il tema del poemetto vorrebbe essere fantastico, e presenta molti riferimenti a varie tematiche e opere fantasy.
Ho cercato, chiaramente, di dare al tutto un valore più universale dell'essere semplice evasione. Spero di esserci riuscito.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Fredda, una luce splendeva nel buio;
Rigide stelle marcavano il corso
Delle battaglie, ed intanto accorreva
Cupo il dolore, affilando il suo morso.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Molti i campion, d'ogni parte vocati.
Grandi massacri, le stragi insensate
Erano sorte, compagne ai dannati,
Quando le faglie si fur spalancate.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Faglie sul cuore di tenebre oscure,
Come tumori nei cuori mortali,
S'erano aperte portando sciagure
Empie, una guerra che mai ebbe uguali.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Giunsero poi dalle faglie dannate,
Come dei feti abortiti dal male,
Neri gli araldi, le forze elevate
Oltre ogni modo, nessuna morale.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Forti, le braccia recavano morte,
Senza rimorsi annientavan nazioni.
Solo era salvo chi aperte le porte
Tutto s'offriva alle lor perversioni.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Quale d'un nembo di tenebre l'ombra
Buia ricopre di sagome cupe
Terre, e una valle di vita fa sgombra,
Tale era il mondo, qual preda alle lupe.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Lupe crudeli nei loro ululati,
Eran le stirpi dei molti seguaci
Giunti agli araldi da tenebra nati
Come scherani crudeli e rapaci.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Pure, non tutti allor strinsero l'armi
Quale masnada del cancro profondo
Né, questo è certo, mai posso scordarmi
Della grandiosa riscossa del mondo.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Chi disperato cercando vendetta,
Altri volendo soltanto aiutare
Quanti soffrivano in terra negletta,
Molti allor giunsero il mondo a salvare.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Dura battaglia, crudeli i nemici:
Pallida e spenta, speranza sfumare
Quasi sembrava in quei giorni infelici.
Pure, non smisero mai di lottare.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Risero, prima, gli araldi tiranni:
Nulla, si disser, ci possono fare.
Venne poi il tempo, coi mesi e con gli anni,
Nostro, e i tiranni facemmo tremare.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Passo per passo ripresa è la terra.
Vengon respinti i gran soggiogatori
Quando anche i giusti si infiammano in guerra.
Forti, essi avanzano, liberatori.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Fino a quei cancri di tenebra oscura
Donde son nati ricacciano gli empi,
Sì che la terra ritorni a esser pura,
Sì che mai più si rivedan tal scempi.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Chiusa ecco infine ogni faglia dannata;
Morti gli oscuri, son liber gli oppressi.
Gioia per molti, la tenebra è andata,
Pure gli eroi non saran più se stessi.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Empia, la guerra ha corrotto i soldati:
Essa richiama al massacro il cuor loro,
Sembra lor spingere ai gesti passati
Degli aguzzini, non lascia ristoro.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Sanno i campioni che cosa hanno dato:
Persa è purezza, il coraggio non vale,
Ogni campione sa che è condannato.
Rende la guerra ogni uomo animale.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Dunque, essi vanno in ritiro dal mondo.
Grande è il dolore, svaniti gli eroi.
Pur, v'è conforto al dolore profondo:
Resta ancor forte il messaggio, arde in noi.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
Questo dovere, fratelli, ci è dato:
Nostro dover raccontare la storia,
Fare che al mondo non venga scordato
Quanto è accaduto, servarne memoria.
Quelli eran gli anni dei tempi nefasti,
Pochi ricordi ne sono rimasti.
Trema chi sa, le celate memorie
Sfumano ormai nelle pallide storie.
domenica 25 luglio 2010
Altri haiku
I primi due risalgono a sabato scorso, il secondo l'ho scritto ieri.
Risa distratte
In trionfo gioioso.
Bagni di luce.
Pura m'inebria
Luna di vento oscuro,
Fresco ristoro.
Piena e non vista.
Tiranno, il tempo inganna
Con venti freddi.
giovedì 15 luglio 2010
Tentativi di haiku
Più che la tematica, mi attrae molto la "sfida" insita nel creare un componimento di senso compiuto -e in una lingua "abbondante" come l'italiano- in soli tre versi di ridotte dimensioni.
Per l'adattamento formale sono ricorso allo schema quinario/settenario/quinario, cercando talvolta di rendere possibile leggere in sinalefe la conclusione di un verso e l'inizio del successivo in modo da formare un endecasillabo.
Per quanto riguarda le tematiche, sono principalmente autobiografiche e "mediate" in modo da inserire qualche riferimento alla natura; invece, la collocazione stagionale è spesso assente, anche se nell'ultimo verso ho sempre cercato di rendere un po' conto della "stagione interiore" a cui ogni componimento corrisponde.
Sfiorisce il sogno,
Il freddo inverno avanza:
Ecco la notte.
Attesa vana,
Al volgere del sole;
Anni sprecati.
Rosa oscurata
Aprendosi alla luna,
Amante mesta.
Senza una notte
Le giornate meschine,
Falso splendore.
Fiore fasullo,
Non ti cercherò più:
Hai quel che vuoi.
Non mi commuovo
Più per questi tuoi loti:
Tu l'hai voluto.
Passano i giorni,
Verdi prati d'affanni.
Vedo la meta.
Boccioli persi,
Naufragati nel gelo
Del tuo inverno.
Inebriante,
Bacio della natura.
Ora non più.
lunedì 5 luglio 2010
Mostri Mitologici per Pathfinder/Monsters of Mythology
Si tratta di un riadattamento di alcune creature mitologiche presenti sul Bestiario volto a renderle più attinenti alle loro versioni originali.
Spero che possiate trovarlo utile e stimolante.
Monsters of Mythology
mercoledì 30 giugno 2010
Luuuunga pausa più breve poesia
Intanto, per farmi perdonare ecco una poesia.
E spero, entro la settimana, di poter proporre un qualche altro lavoro per Pathfinder.
Dita sottili, donate dall'arte,
Venute al mondo senza alcuno scopo,
Senza quel dove dal quale si parte,
Dubbie, senza alcun fine, e senza un dopo.
Dita capaci di mischiar le carte
Del destino, e di sgusciar come un topo
Fra le maglie dell'usbergo di Marte
Fino al segreto del suo canopo.
Dita da santo, da ladro, dottore,
Se strette a pugno forti nel colpire
Ma capaci di carezze d'amore.
Dita destinate anch'esse a morire,
Come ogni cosa dentro questo mondo,
Quando si sarà spenta la loro ora,
Senza aver compreso il senso profondo
Di esse stesse, senza aver visto l'aurora.
martedì 1 giugno 2010
Ritorno poetico
Per quanto la situazione sia ancora quella che è, ritorno con un aggiornamento di poesia.
Nello specifico, un tentativo di quartine d'endecasillabi con ritmo dattilico (schema ABAB). Sto man mano acquisendo confidenza con questa forma metrica, e spero in futuro di riuscire a proporvi qualcosa di migliore sempre con lo stesso schema.
Credi davvero, mio povero amico,
Quanto ci impongono i falsi sapienti?
Odi tu dunque ora quanto ti dico:
Sono soltanto schiavisti di genti,
Questi maestri di false speranze,
Vuoti cantori di favole stanche,
Sempre più presi da squallide danze,
Spenti i loro occhi, le nocche ormai bianche;
Bianche di sforzo crudele e beffardo,
Teso a rinchiuderci nelle gran file
Fatte di schiavi, a piegarci lo sguardo
Verso le loro menzogne di bile.
Quindi, ti prego, non dare mai retta
Ai condannati che regnano al mondo:
Tieni, ti prego, la mente ben stretta.
Loro ci voglion portare a quel fondo
Dove son scesi per primi essi stessi
Alla ricerca di nuovo potere
-Vogliono solo, ricorda, gli ossessi,
Qualche gingillo per le anime nere
Ch'hanno nel petto, e ne vanno ben fieri-
Sopra le cose cui senza diritto
Danno dei nomi non certo sinceri,
Quasi che fosse una sorta d'affitto
Questo, richiesto da un qualche padrone
Vuoto, fasullo, ben simile a loro,
Sì da ottenerne legittimazione
Nell'appropriarsi del nostro tesoro.
domenica 9 maggio 2010
Problemi e Pausa
Purtroppo, sto attraversando un brutto periodo nel quale praticamente non riesco più a comporre poesie e a scrivere regole per i GdR.
Non so quanto possa durare, e fino a che durerà non sarò in grado di proporvi nuovi aggiornamenti.
Mi scuso con voi, e vi assicuro che sono il primo a sperare di avere nuovamente modo di proporvi nuovi contenuti il prima possibile.
giovedì 25 marzo 2010
Nuovi endecasillbi
Non un urlo, non le grida violente
Sono vera libertà, presenza grata,
Sogno futuro, balsamo presente.
Solo una voce, appena sussurrata,
Può fregiarsi di questo amato nome.
La voce di chi sa, di chi possiede
Se stesso, con la sua vita, come
Un uomo che è certo, anche se non vede
Il proprio volto, di essere se stesso
In ogni istante, e non deve gridare
La sua identità al mondo. Eppure, spesso,
Troppo spesso ormai, il poter reclamare
La propria identità è un privilegio
Concesso a pochi, e un urlo di dolore
Contro questo nuovo potere regio,
Voce estrema di libertà che muore,
È quel poco che oggi ancora ci resta.
Il potere strilla, urla a voce piena
La sua ingiustizia violenta, la festa
Delle angherie e della nostra pena.
Non imitarlo: non devi coprire
I sussurri di tutti gli altri oppressi
Con un grido: non può certo morire
Così il potere, neppure se facessi
Tremare la terra di indignazione,
Neppure fra cento stelle in caduta.
Se non l'accompagnano altre persone,
Una sola voce è sempre perduta.
Han più vigore dell'urlo più forte
Mille sussurri sinceri, compatti:
Essi soltanto daranno la morte
Alla tirannia ed ai suoi misfatti.
lunedì 15 marzo 2010
Armi "piuccheperfette" in Pathfinder
Masterwork Weapons
giovedì 11 marzo 2010
House Rules per Pathfinder
Fra l'altro, ho aggiornato il file sul monaco propostovi l'altro giorno, inserendo altri due aspetti più in linea con alcuni testi in sanscrito che ho solo recentemente letto.
House Rules
mercoledì 10 marzo 2010
Pathfinder: opzioni di classe
Li pubblicherò qui un po' alla volta, anche se per i primi il ritmo sarà molto serrato in quanto mi serve renderli disponibili ai giocatori dell'avventura in play by forum che sto per far partire sul forum di Dragons' Lair.
Per ora, eccovi una serie di regole opzionali per il monaco e per il ranger.
Le prime servono a rendere più simile agli eroi epici indiani (Rama, Arjuna e compagnia) un personaggio dotato di questa classe, mentre il documento relativo al ranger fornisce una serie di stili di combattimento extra.
Indian Monk
Additional Combat Styles
A volte ritornano...
In questo periodo non sono praticamente riuscito a scrivere poesie, ma sono in grado di offrirvene almeno una che ho finito proprio oggi.
E' un tentativo particolare di riportare lo schema metrico del dattilo, un piede tipico della poesia classica, nello schema dell'esametro. Data la metrica antica, ho evitato la rima di stampo moderno. In pratica, si tratta di endecasillabi sciolti accentati sulla prima, sulla quarta, sulla settima e sulla decima strofa.
Ora, il prossimo obiettivo è riuscire a comporre in quartine degli endecasillabi simili, e finalmente avrò trovato un metro "epico".
Oggi, di nuovo, tornate alla mente,
Forti, potenti, voi grandi signori
Commemorati da antiche leggende,
Siri imperiali d'un epoca morta.
Pure, non certo ricordo con gloria
Quanto faceste, le vostre gran gesta
Mai, ve lo giuro, saranno onorate
Né celebrate da me nei miei canti:
Foste d'esempio per troppi tiranni,
Empi, dannati sovrani caduti,
Figli d'un'era nefanda e corrotta.
Quindi, da me non cercate alcun vanto,
Perfidi epigoni, falsi messia,
Troppo patetici, troppo inferiori
Pure alle vostre illusioni di gloria.
Siete patetici, senza alcun'aura
Nobile, senza splendore regale:
Siete ammantati di falso, d'inganno,
Solo la furia vi resta, la rabbia
Dura e crudele dei vecchi tiranni.
lunedì 1 febbraio 2010
Poesia notturna
Nella seconda quartina c'è un riferimento a una leggenda sarda, quella dell'erchitu.
Non mi lasciare, ti prego, da solo
Nel buio, contro il cupo sussurrare
Di mille pipistrelli alzati in volo
Nell'ombra che non oso più guardare.
Non mi lasciare, ora sotto le porte
Del mio spirito si leva il verso
Tenebroso dei tori della morte,
Streghe e demoni in corteo perverso.
Non mi lasciare, la falce di luna
È solo un malefico ghigno oscuro
Nel cielo ottenebrato, se nessuna
Stella illumina il cammino sicuro.
Non mi lasciare solo nella notte,
Solo con la mia disperazione
Stretta al collo come mille garrotte,
Triste e perso come questa canzone.
sabato 30 gennaio 2010
... perché sono una persona coerente.
O meglio: lo sono nelle passioni. Ma per il resto, a quanto risulta, la mia forza di volontà si fa spesso e volentieri da parte...
Perciò ecco tre poesie, scritte tutte e tre per la stessa persona e a distanza di settimane nello stesso ordine in cui le propongo, che descrivono bene quanto ho scritto sopra.
No, non pensare che io sia immune
Alla pietà ed ai sentimenti,
O che il mio amore fosse quel comune
Bramare per due momenti
Di possedere la tua giovinezza,
Volerti avere, e nulla più:
Non ti amavo per la mera bellezza,
Il sogno, la musa, eri tu.
Mi levavo in alto lungo i pensieri,
Fino a perdermi in te, assai spesso;
Le parole, i modi, erano sinceri,
Ti avrei donato me stesso.
Ma tu mi hai rifiutato. Ora l'accetto.
Io, che ti avrei dato tutto,
Io, che amavo ogni tuo difetto,
Accetto di veder distrutto
Dal tuo calmo ma fermo rifiuto
Il bel sogno, il mio sperare.
Tu hai scelto, ed io rimango muto:
Al cuore si può comandare.
Ho messo a tacere l'amore. Molto
Ne soffro, certo, ma non quanto
Ho sofferto per il dono non colto,
Dolore che trascende il pianto.
No, non ho più lacrime da versarti.
E non ne verso più per me.
No, non sono certo giunto ad odiarti,
E non ho astio verso di te.
Non rinnego quello che per me è stato,
E la sofferenza non scordo.
Ma l'amore mio per te è andato;
Resta appena, lieve, un ricordo.
E ora eccomi, sospeso lungo il niente
Che ritorna ancora a se stesso.
E si fa ancora vivo nel presente
Quello che allora, come adesso,
Veniva, dolceamaro, e dominava,
Anche senza la tua vista,
Ogni mio pensiero. Si fa schiava
L'anima al ricordo, ed è trista,
Sospesa fra due opposte speranze
E verità, temendo quasi
Ogni esito di queste nuove danze
Che affollano i pensieri, invasi
Da ricordi, da sogni e delusioni
Forse effimeri, ma eternati
Dalle tante, forse troppe canzoni
Che spesso, con silenziosi fiati,
Ho dedicato a te, a quello che provo
Vedendoti, al solo pensiero
Di te, ed a questo amore sempre nuovo,
Ogni momento più sincero.
Da tanto, forse troppo tempo ormai
Io penso sempre a te, a te soltanto.
Il motivo lo conosci, tu sai
Quello che provo per te, ma non quanto,
Intensamente io lo sento. Mai
Ho provato un tale amore, né tanto
Ne ho mai sofferto in passato. Dirai
“Noi siamo amici”, “non essere affranto”,
Ma niente può cambiare quel che provo
Per te, forse neppure il rifiutarmi
Anche come amico. Sempre io trovo
Un motivo per amarti, uno nuovo,
Appena svelato. Voglio donarmi
A te, alla bella rosa senza rovo.
venerdì 22 gennaio 2010
In Un Altro Mondo
In Un Altro Mondo continua la mia tradizione di "piccoli giochi semplici" inaugurata con Limes e Catene del Fato, ma con una veste grafica più curata -finalmente sto imparando qualche trucchetto con GIMP e Open Office.
In Un Altro Mondo
lunedì 11 gennaio 2010
Né rifugio né quiete
Niente di trascendentale, e stavolta una poesia non legata a nessuno stato personale.
Né dimora né rifugio, quiete
Negata a noi, cupi viandanti,
Mentre le stelle stesse, stelle liete
Si fanno ogn'ora più distanti.
E dal profondo della terra s'ode
Appena, stentato, un rumore:
Voce di chi grida,voce che erode
La speranza, e reca dolore.
No, non ascoltare queste parole,
Non accoglierle nella mente,
Ma sii sordo, non far ciò che vuole
La cupa voce del presente.
giovedì 7 gennaio 2010
Ninfe mitologiche in Pathfinder
Ora, ad anni di distanza, ho deciso di riprendere in mano il concetto dietro a quel lavoro e di svilupparlo nuovamente... ma stavolta per Pathfinder.
In questi anni, sono cambiate molte cose: da inesperto giocatore iscritto al liceo classico che ero, sono diventato un giocatore più esperto (e perditempo), e grazie alla carriera universitaria che ho scelto ho avuto modo di sviluppare le mie conoscenze mitologiche (e di mitologia comparata).
Perciò, la nuova versione di questo lavoro non è tanto una conversione da D&D 3.5 a Pathfinder, quanto una vera e propria rivisitazione del mio stesso lavoro.
Spero che vi possa piacere, e che possiate trovarla utile in molte partite. ;)
Ninfe in Pathfinder
giovedì 31 dicembre 2009
Nehtrmanus
Questa volta vi propongo di nuovo la rivisitazione di un mostro classico non convertito per ragioni di copyright. Si tratta di una reinterpretazione piuttosto libera, basata più sul concetto "uomo-serpente" che non sulla sua incarnazione in D&D.
Per il nome "nehtrmanus" ho affrontato una piccola ricerca filologica: si tratta di un nome derivato da due radici indoeuropee ricostruite, "nehtr" serpente e "manu" uomo.
Nehtrmanus
lunedì 28 dicembre 2009
Un nuovo inizio s'apre ai miei occhi
Risale a due settimane fa, ma ultimamente sono stato un po' troppo impegnato per scrivere qualcosa.
Un nuovo inizio s'apre ai miei occhi,
Una via nuova, ingombra di sciocchi
Che ignorano il gioco della vita
E la sua malizia infinita:
Ritengono, pensando a se stessi,
D'ottener chissà quali successi.
E non sanno che il mondo è intriso
Di altri sciocchi dal comico viso
Che avranno dall'egoismo spinto
Solo una tomba, di fiori un cinto,
Un mausoleo monumentale.
Come se un'urna non fosse uguale
Circondata da spoglie di guerra
O semplicemente sotto terra.
Lasciamoli, lasciamoli fare,
Ché sappiamo come andrà a parare:
Loro saranno ceneri morte,
Mentre la nostra memoria, forte,
Resterà in terra, lei, duratura,
Anche nell'ombra d'era futura.
Perché abbiamo fatto un dono a tutti
Gradito, di quelli mai distrutti,
Offerto a genti d'ogni nazione
Senza fare alcuna distinzione.
Tale è il potere della nostra arte,
Dono di cui tutti sono a parte.
Questo è il frutto della poesia,
E quanto ancora umile è la mia
Rispetto a ciò che voglio cantare.
Ma un giorno la farò migliorare.
giovedì 24 dicembre 2009
La Sfida del Presepe
E' un gioco in tema con la tematica natalizia e, soprattutto, un gioco poco serio: non vuole offendere nessuno, piuttosto far divertire tutti.
Godetevelo, è il mio regalo di natale. ^^
La Sfida Del Presepe
mercoledì 23 dicembre 2009
Fuori programma: aggiornamento
Ho modificato e integrato il lavoro per Pathfinder di giovedì scorso, spero che vi piaccia di più del precedente. ;)
Legge e Caos in Pathfinder 2.0
lunedì 21 dicembre 2009
Un lavoro di media lunghezza.
Non è lunga come altri componimenti che ho tirato fuori, ma è probabilmente il lavoro più lungo che abbia scritto con questo schema metrico.
No, non pensare che io sia immune
Alla pietà ed ai sentimenti,
O che il mio amore fosse quel comune
Bramare per due momenti
Di possedere la tua giovinezza,
Volerti avere, e nulla più:
Non ti amavo per la mera bellezza,
Il sogno, la musa, eri tu.
Mi levavo in alto lungo i pensieri,
Fino a perdermi in te, assai spesso;
Le parole, i modi, erano sinceri,
Ti avrei donato me stesso.
Ma tu mi hai rifiutato. Ora l'accetto.
Io, che ti avrei dato tutto,
Io, che amavo ogni tuo difetto,
Accetto di veder distrutto
Dal tuo calmo ma fermo rifiuto
Il bel sogno, il mio sperare.
Tu hai scelto, ed io rimango muto:
Al cuore si può comandare.
Ho messo a tacere l'amore. Molto
Ne soffro, certo, ma non quanto
Ho sofferto per il dono non colto,
Dolore che trascende il pianto.
No, non ho più lacrime da versarti.
E non ne verso più per me.
No, non sono certo giunto ad odiarti,
E non ho astio verso di te.
Non rinnego quello che per me è stato,
E la sofferenza non scordo.
Ma l'amore mio per te è andato;
Resta appena, lieve, un ricordo.
giovedì 17 dicembre 2009
Legge e Caos in Pathfinder
Stavolta, vi propongo quattro archetipi, volti a fornire alla Legge e al Caos le stesse "potenzialità regolistiche" che in Pathfinder hanno Bene e Male.
Legge e Caos in Pathfinder
lunedì 14 dicembre 2009
Di nuovo archeologia poetica
La seconda, invece, risale a qualche tempo fa, ed è un lavoro un po' più scherzoso.
Sto arrivando a capire molte cose,
Finalmente, e forse perfino
Ad accettarle. Colui che rispose
Con tanto astio al suo destino
Ormai se n'è andato: resto io solo,
Immerso fra i cocci dei miei
Sogni infranti, caduti dopo il volo
Che ci rese pari agli dei.
Ma nella rovina mi scopro privo
Di lacrime. A lungo ho pianto,
Sino quasi a non sentirmi più vivo,
Ed ho affidato spesso al canto
Questi pensieri, quasi che potessi
Così liberarmi di loro.
Solo accettando, vivendo con essi
Ho imparato ad aver ristoro.
Chi di giunger prima non vede l'ora
Va dritto in braccio alla Nera Signora.
Chi si consuma con fretta incalzante
Non si godrà mai il suo tempo restante.
Chi sostiene che il tempo sia denaro
Scoprirà che lo deve pagar caro:
Per ogni istante che avrà risparmiato
Un attimo di vita andrà sprecato.
Vivi con calma, se vuoi darmi ascolto:
Così nulla di tuo ti sarà tolto.
giovedì 10 dicembre 2009
Nephandum per Pathfinder
Eccovi la prima (e forse definitiva, chissà...) parte di questo mio lavoro.
Nephandum Per Pathfinder - Trasfigurati
lunedì 7 dicembre 2009
Nuova prova
La seconda, invece, è scritta col mio "classico" distico endecasillabo più enneasillabo.
Entrambe sono abbastanza attuali come ispirazione, ma hanno a che fare con sentimenti diversi.
Dovrei cantare lo sdegno e la vergogna
Di questi miei tempi oscuri,
Ma non ho forza per mettere alla gogna
Con modi forti e sicuri,
In modo che non si possan liberare
Mai, i nostri carcerieri
Menzogneri, maestri nell'ingannare,
Cuori cupi, animi neri.
Non ho forza: troppo grande è lo sfacelo,
La menzogna troppo oscena.
Ma avranno anche costoro, un dì, sotto il cielo,
La ben meritata pena.
E noi rideremo, fratelli, in quel giorno
Apertamente di loro:
Avranno una caduta senza ritorno,
Non avranno più ristoro.
Tempo d'attesa, d'esile speranza,
Di visioni quasi stentate
Che si affollano come in una danza,
Assieme a gioie inconfessate,
Lungo il fluire della mia mente
E poi affollano i pensieri.
Ed il mio sentire si fa assente,
Sperando che il sogno si avveri.
Ma poi mi riprendo, ma poi mi scuoto
Da questo sogno disperato,
Ripetendomi che esso è vano e vuoto.
Ma vorrei vederlo avverato.
giovedì 3 dicembre 2009
Filii Nephandi per Pathfinder
Anzi, se va tutto bene per le prossime settimane (sino a quella di natale) dovrei riuscire a rispettare il programma regolare.
Ultimamente Pathfinder mi sta prendendo sempre di più, e così ora vi propongo la versione semplificata (ma altrettanto interessante) di Filii Nephandi, il mio lavoro sui vampiri per D&D 3.5, riadattato al GdR della Paizo.
Ho optato per un approccio più leggero in termini di regole, evitando dove possibile doppioni e producendo un lavoro più leggero e utilizzabile senza sconvolgere le regole già esistenti.
Filii Nephandi Pathfinder
lunedì 30 novembre 2009
Dopo la tempesta
La tematica, in questo caso, è più leggera, surreale e "visionaria" rispetto a quella dell'altra poesia con cui condivide la forma.
Riguardo all'ispirazione, sono pesantemente debitore nei confronti di De André.
Negli alti cieli, dopo la tempesta,
Gli spiriti dell'aria ripuliscono
Le nubi, bagnate dopo la festa
Voluta da quanti ora ne gioiscono.
I santi stan facendo comunella
Per raccontarsi i segreti del cielo
Mentre i servitori, con la barella,
Portano via un corpo sotto il velo.
Ma poi, dopo la rappresentazione,
Shakespeare se ne scappa via veloce
Affinché nessuno nella nazione
Senza il gracchiare della sua voce.
E lo segue Amleto, in mano la spada,
Gridandogli: “Oh padre, dove mai corri?”
E poi, quando finiscono la strada,
Cadono in lacrime giù dalle torri.
Li raggiunge Plauto, sospeso in volo
Sulle sue grandi orecchie da mercante
Per riprendersi l'arte data a nolo
A quel drammaturgo così distante.
Se la ride Shakespeare del creditore;
Quindi Plauto, con cipiglio da mafioso,
Chiama Cesare, il grande vincitore,
Per punire il Bretone irrispettoso.
Amleto, proteggendo il creatore,
Cade morto, trafitto avvelenato
Mentre Shakespeare per il grande dolore
Esala l'anima tutta d'un fiato.
Tutto questo si guarda soddisfatto,
Ridendosela molto il bravo Alfieri,
Quand'ecco Napoleone d'un tratto
Gli rinfaccia gli insulti di ieri.
Il Francese lo assalta, valoroso,
Ma viene Foscolo, gli dà man forte,
E perciò Manzoni, mai a riposo,
Canterà del Corso una nuova morte.
Torna Cesare, da tutti omaggiato,
Imbrattato del sangue di Avoniano,
Ma non di Iago, Iago è risparmiato,
E già fa cenni a Bruto da lontano.
Pertanto quando passa l'arrotino
I congiurati affilano i pugnali
Per donar la corona al Valentino,
Per sostituire ai vecchi i nuovi mali.
E fanno omaggio, in processione, i papi
Ma guardan Virgilio con occhi tristi:
Rimproverano l'elogio delle api,
Piccoli animaletti comunisti.
Per cui Virgilio il suo parere muta.
“Nessuno”, dice, “insulta l'arte mia!”
E d'accompagnar Dante si rifiuta,
Lasciandolo perder lungo la via.
Torquemada lo vorrebbe bruciare,
Ma i letterati gli fan scudo attorno;
Il proposito deve abbandonare
Perché non è abbastanza grande il forno.
L'inquisitore arretra, intimidito,
Ed a Machiavelli viene un'idea:
Lo metton nel forno, tutto condito,
Recitando il “mors tua vita mea”.
Mentre Virgilio esalta i suoi seguaci,
Ringraziandoli perché l'han salvato,
Torquemada è quasi cotto alla brace
Con notevole sdegno del papato.
Leopardi poi serve la portata
Di cui tutti mangiano a sazietà:
Infine, l'Europa sì è vendicata
Di chi molto ha oppresso la libertà.
A tal vista scappan lesti i tiranni,
Ma scivolano nei fiumi di sangue
Che han fatto scorrere per molti anni,
E svengono tutti con l'aria esangue.
Restano per molto tempo svenuti:
Quando riapron gli occhi, in mezzo alle feste,
Scoprono, fra gli applausi ed i saluti,
Che di loro restan solo le teste.
Ed ognuno vuole dare un colpetto
Alle loro teste comiche e brutte;
Ma dopo che se ne è tratto diletto
Anche le teste vengono distrutte.
Quando la pioggia smette di lavare
Le coscienze e le menti dei presenti,
Gli invitati sono pronti ad andare
A portar questa gioia anche ai parenti.
E scendon dalle nubi salutando
Chi li ha fatti per un po' divertire
E diranno tutto ciò raccontando
Questa festa a chi non poté venire.
giovedì 26 novembre 2009
Altre poesie
Una, la più lunga, l'ho appena finita di scrivere, mentre la seconda in termini di dimensioni risale alla settimana scorsa ed assomiglia molto al componimento breve dello scorso aggiornamento (scritto infatti in contemporanea). Infine, la minipoesia non so neanche io quando l'ho scritta: mi sono limitato a ritrovarla in un quaderno.
Ho disegnato un cerchio dietro al cielo
Per celare lì il tuo nome,
E conoscere ristoro. Ma il velo
Delle nubi e del sole, come
Temevo, non splende certo abbastanza
Da farmi scordare il candore
Della tua anima, né la distanza
Può alleviare il mio dolore.
Ho disegnato un cerchio nella notte
Per bruciarvi il tuo ricordo.
Ma tu resti in tutte le mie rotte
La meta agognata, in accordo
Con i sogni e gli aneliti più lieti.
Pure, da quando ho osato dirti
Quel che per te sola provo, mi vieti
L'amore. Non posso obbedirti,
Anche se con molta gioia farei
Avverare quel che tu vuoi,
Perché nel cuore dei pensieri miei
Brillano sempre gli occhi tuoi.
Non la candida luna, non le stelle
Del volto, come diamanti i begli occhi,
Mi hanno vinto, ma le loro sorelle
Notturne. Pura, con le tue ombre tocchi
Il mio cuore, ormai vinto nel profondo
Dalla tua pudica ritrosia,
Che rende te sola, unica al mondo,
Sovrana amata dell'anima mia.
Attendiamo, sospesi lungo il giorno
Che esso si compia, o venga forse meno
La sua malinconia. Ma il ritorno
Non sarà piacevole, o meno alieno.
Qualcosa, ormai, si è perduto per sempre.
lunedì 23 novembre 2009
Dopo la pausa forzata, si ricomincia...
Ora come ora, sto avendo maggiori difficoltà a creare regole per i giochi di ruolo, ed è quindi probabile che anche gli aggiornamenti ludici si trasformino in aggiornamenti poetici.
Per ora, comunque, ecco un bel paio di poesie.
La prima è basata su una serie di fonti classiche (ma principalmente su Alceo), anche se lo stimolo per crearla è nato leggendo una breve poesia indiana.
La seconda invece è -molto banalmente- un sonetto autobiografico.
Infine, il terzo breve componimento è un po' la descrizione di quello che ho provato, per un attimo, mentre componevo un'altra poesia.
Dimmi, fratello, in cosa speri mai?
Perfino all'alba le giornate
Si fanno brevi per noi, tu lo sai,
E le ore spese sono andate.
Su, brindiamo assieme un'ultima volta;
Ora arriva la notte nera,
E presto la vita ci sarà tolta:
Sia l'ultima gioia sincera.
Sebbene sia successo molto in questi
Giorni, sebbene abbia risolto oscuri
Dubbi, ed alfine in alcuni contesti
Gli eventi prossimi siano sicuri;
Pure si fan sempre più manifesti
La mia tristezza e i dubbi futuri.
Temo i miei sentimenti: non onesti
Penso che siano, oppure non maturi?
Non ne ho ancora la certezza. Aspetto
Che sia il tempo, ora, a darmi risposta.
Non decido; sì, per questo difetto
Ho sofferto in passato. Ma lo accetto:
Il tempo è crudele, e so quanto costa
Trarne il caro, ricercato diletto.
Sublime nel profondo è questo istante.
Possa la sua memoria amata, pura,
Restare con me e mai abbandonarmi.
lunedì 9 novembre 2009
Due poesie
Il primo non ha un'occasione particolare, se non l'angoscia di aver lottato per qualcosa che ormai si è perso, angoscia molto viva in troppi momenti.
Il secondo, invece è una rivisitazione di un esempio di poesia indiana rivista anche in chiave autobiografica.
Ti ricordi ciò che ora è celato?
L'abbiamo cercato a lungo, in molti,
Quasi perdendo ogni nostra speranza;
Ma lo trovammo infine, fu trovato
Quando ormai era in dubbio la sua esistenza.
E fu lieto quel giorno, molto lieto.
Ma già si presagiva la sciagura,
Poiché un prezzo ben caro era richiesto;
E lo pagai fino all'ultima goccia
Della memoria, lo pagammo tutti.
Lo scordammo: conclusa è la ricerca,
Ma il suo bel frutto ci è stato sottratto.
Ogni speranza ormai è svanita.
Ti vedo; è passione che m'attanaglia
Nel contemplarti; e nasce subito,
Caldo, il desiderio. Ma poi lo tempra,
Rapida, l'anima, ed amore
Mi conquista, duraturo, baluardo
Contro l'ira, infida alleata
Per quanti intraprendono la via più dolce.
Ma segue l'ansia di vederti,
Di parlarti ancora, di rivelarti
Il mio sentire, dolce amata.
E da questo le pene, insopportabili
Pene, che sempre mi inquietano
Quando tu, mia diletta, dolce amore,
Anima bella, sei lontana.
giovedì 5 novembre 2009
Vigrahacora, mostro per Pathfinder
Comunque, mi sono più o meno ripreso.
E, per festeggiare, vi offro il mio primo lavoro per Pathfinder, il vigrahacora.
Il nome, sanscrito, significa "ladro di corpi", ed è una versione riveduta e personalizzata di uno dei mostri iconici di D&D non convertiti a Pathfinder.
Vigrahacora
martedì 27 ottobre 2009
Ritardi e scuse
A partire da lunedì prossimo, però, penso di poter riprendere il ritmo regolare.
martedì 20 ottobre 2009
Fuori programma: "e i figli di dio videro..."
Alla fine, ho abbandonato la tematica dei nephilim per concentrarmi di più sull'amore fra angelo e donna mortale e ridurre la lunghezza del componimento.
Comunque, anche così è venuto su un poemetto mica male in quanto a lunghezza. ^^
Spero che vi possa piacere. :)
Dal profondo dei cieli, oltre la luce
Vegliava sul mondo, spirito eletto.
Grande la potenza, volto mai truce,
Provava per gli uomini grande affetto.
Era un custode, angelico guardiano,
Forte e giusto, baluardo dei mortali.
Il mondo egli osservava da lontano
Lui solo, fra gli spazi siderali.
E vide un giorno il tuo volto, lo vide
Mentre alzato il capo tu sorridevi;
E come un naufrago fra le acque infide
Brama le spiagge, brama sabbie lievi
E nulla sente di desiderare
Più di quel dolce tocco sulla pelle,
Così l'angelo si scopre ad amare
Una giovane dalle chiome belle.
E allora egli lascia la sua alta sede,
Spinto da amore che forte richiama.
Nella discesa nient'altro egli vede
Se non quel bel volto che lui tanto ama.
Nella discesa la luce lo ammanta,
Mentre egli si veste di forma umana.
Nella discesa la sua anima canta,
Vibra nel cosmo melodia lontana.
Dopo eoni, gli pare, giunge alla terra,
Poiché lunghi gli istanti anche ai beati
Rende la passione quando li afferra;
Giunge alla terra sui suoi piedi alati.
Allora, beato, lui le si accosta;
Brillano gli occhi, e bello è il sembiante,
Ma la sua vera natura è nascosta,
La sua sede gloriosa ormai è distante.
E lei lo vede, bello più del sole,
Maestoso e dolce, simile e lontano.
La incuriosisce: sapere ella vuole
Chi è mai costui, uomo dal volto strano.
“Straniero, domanda, “chi mai voi siete?
Inusuale è il vostro aspetto, da re.”
L'angelo risponde parole liete
“Sono venuto”, risponde, “per te.
Da lontano ti ho ammirata, in passato,
Mentre osservavo, con te, il mondo intero.
Ti ho vista crescere e fiorire, grato,
Ma senza intendere il prodigio vero
Che ha fatto di te, bambina mortale,
Il fiore del mondo, dolce e perfetta,
Ragazza di cui non esiste eguale,
Ché in te nessuna virtù mai difetta.
Solo vedendoti matura e adulta,
Vedendo i tuoi capelli, come seta,
Il tuo volto su cui beltà esulta
Io ti ammirai, con l'anima inquieta;
Ti ammirai come per la prima volta
Sentivo amore sbocciare copioso,
E compresi che se tu mi fossi tolta
Ne soffrirei, sarei senza riposo.
Sì, per questo ho lasciato le mie sedi;
Poiché senza di te non io non son niente,
Son venuto qui da te, come vedi.”
“Dolce straniero, l'anima mia sente
Qualcosa, per voi. Ma troppo è il mistero,
Troppa la maestà: donde arrivate?
Siate voi con me, vi prego, sincero,
Se davvero così tanto mi amate.”
“Da lontano vengo, fanciulla pura,
Oltre le stelle ed oltre ogni ambizione
Dei mortali, da oltre la notte scura.
Non sono umano d'alcuna nazione,
Ma immortale d'alta stirpe divina;
Angeli, è così che voi ci chiamate,
E ci dite beati. Ma ferina
È la mia vita, e le giornate ingrate
Dacché ho fissato il tuo volto di luna,
E per amarti ai cieli ho rinunciato.
Senza di te non ho speranza alcuna,
Senza il tuo amore io sono condannato
Ad un orribile tormento eterno:
Tale sarebbe infatti la mia vita
Alla grande pena, all'oscuro inferno.
Amami, dama di grazia infinita,
Amami, bella fra le donne umane:
Io ti dono ora e per sempre il mio cuore,
Io che vivevo fra stelle lontane,
Io che fra gli angeli ero gran signore.”
“Colme di miele son le tue parole,
E risvegliano in me amore ancestrale,
Ma a sentirle il mio cuore pur si duole,
Perché una bella parola a che vale
Se non la sostiene la verità?
Provami, bell'angelo, quanto hai detto.
Se verace è il tuo amore il mio sarà
Tre volte più grande, mio bel diletto.
Ma provami, angelo, la tua natura.
Mostrami ora il tuo volto maestoso,
Sì che l'anima possa essere sicura
Nel concedersi a te, nel dar riposo
Al tuo grande tormento, amore mio,
Alla tua passione ora ricambiata.
Quale donna mai di un figlio di dio,
Non vorrebbe infatti essere l'amata?”
Lacrime rigano il bel volto angelico,
Ed egli sorride, piangendo forte:
“Non può esser mostrato, amore, l'eterico
Sembiante, esso darebbe fredda morte
A chiunque vi posasse mai il suo sguardo
Poiché grande, troppo grande splendore
Esso emana. Ed io con che riguardo
Potrei infligger tal pena a te, mio amore?”
“Pure è necessario, mio innamorato,”
Rispose lei, accostandosi lenta,
“Affinché il nostro amore sia temprato
Correre tal rischio.” E lo fissa attenta.
Allora egli si risolve a mostrarsi,
E un brivido scuote membra immortali
Mentre assume aspetto tal d'adorarsi.
Il volto è magnifico, senza eguali,
E risplende, la terra illuminando
Come oltre i grandi monti sorge il sole
Portando luce, il cuore riscaldando.
Egli si rivela, come ella vuole.
Lei trema a veder l'aspetto glorioso,
Ché non riconosce più in lui l'amato;
Fissare il volto è quasi doloroso,
Ma in esso brilla amore dichiarato
Per lei, e il suo grande angelico aspetto
Non le dona morte, ma gioia immensa,
Poiché sincero è stato il suo diletto.
Ed ora a nient'altro ormai ella pensa
Se non a lui, lui che attraverso i cieli
E' disceso da lei chiedendo amore,
Lui che per lei ha sollevato i veli
Della sua anima vera, gran fulgore,
Lui che, nume a vedersi, le sorride
E spalanca le braccia, gesto lieto,
Perché mai, mai così bella la vide.
Ed egli ignora, ignora il gran divieto
Che è dato ai potenti, agli angeli puri,
Di mostrarsi agli umani, star con loro.
Pena e distacco infatti son sicuri
Per quanti, col volto simile ad oro,
Si rivelano ai nati dalla terra
Trista stirpe, mai di certo invidiabile,
La piagan morte, fame, peste e guerra;
Eppure, più di ogni altra essa è amabile.
Ma di queste cose essi ora non hanno
Memoria, ed ignorano, innamorati
Che dal loro amore verrà gran danno,
Che il loro amore li ha già condannati.
Ignorano: non hanno occhi né mente
Per niente o nessuno, a parte l'amato.
Lei corre incontro; le labbra sue sente
Serrate alle proprie. Lei l'ha abbracciato
E lui l'accarezza, la stringe forte
Le mani fra i capelli, e lei fra i suoi.
“Mai ti lascerò”, egli dice, “alla morte”
“Per te,” ella dice, “sarò quel che vuoi.”
Ed ora si amano, si aman sinceri,
Ma già il cielo prepara la vendetta,
Per quanti sfidarono coi pensieri
E con azioni la catena stretta
Che è stata posta, vincolo ai beati,
Per separarli dalla stirpe umana.
Entrambi avranno posto fra i dannati.
Sarà questo amore senza peana
Poiché l'ira calerà annientatrice
A punire l'amore non concesso,
Non è mai permesso essere felice
A chi viola le leggi di dio stesso.
Ma la terra conserverà memoria,
Ed il vento serberà nei suoi canti
Le parole d'amore, e questa storia
Renderà immortali i miseri amanti.
E che sia monito, ed esempio eterno
A quanti amando patiscon dolore:
Perché non esiste, no, alcun inferno
Quando l'anima è ricolma d'amore.
Perché due spiriti, diversi e affini
Hanno mostrato esser forza maggiore
Dell'ira di dei, potenti e beghini
Il semplice, puro, e perfetto amore.
lunedì 19 ottobre 2009
Qualcosa di corposo
Ho pensato che, rifacendosi alla versione originale, il tema potrebbe essere trasferito molto bene in poesia, una poesia d'amore tragico e impossibile. Così, mi sono messo di buona lena e ho iniziato a scrivere.
Non sono ancora arrivato alla fine di questa fatica, ma c'è già qualcosa di apprezzabile da leggere.
In futuro, i prossimi aggiornamenti di poesie saranno il proseguimento di questo componimento, in quanto voglio terminarlo prima di passare ad altri lavori.
Dal profondo dei cieli, oltre la luce
Vegliava sul mondo, spirito eletto.
Sua era la speranza, volto mai truce,
Provava per gli uomini grande affetto.
Era un custode, angelico guardiano,
Forte e giusto, baluardo dei mortali.
Il mondo egli osservava da lontano
Lui solo, fra gli spazi siderali.
E vide un giorno il tuo volto, lo vide
Mentre alzato il capo tu sorridevi;
E come un naufrago fra le acque infide
Brama le spiagge, brama sabbie lievi
E nulla sente di desiderare
Più di quel dolce tocco sulla pelle,
Così l'angelo si scopre ad amare
Una giovane dalle chiome belle.
E allora egli lascia la sua alta sede,
Spinto da amore che forte richiama.
Nella discesa nient'altro egli vede
Se non quel bel volto che lui tanto ama.
Nella discesa la luce lo ammanta,
Mentre egli si veste di forma umana.
Nella discesa la sua anima canta,
Vibra nel cosmo melodia lontana.
Dopo eoni, gli pare, giunge alla terra,
Poiché lunghi gli istanti anche ai beati
Rende la passione quando li afferra;
Giunge alla terra sui suoi piedi alati.
Allora, beato, lui le si accosta;
Brillano gli occhi, e bello è il sembiante,
Ma la sua vera natura è nascosta,
La sua sede gloriosa ormai è distante.
E lei lo vede, bello più del sole,
Maestoso e dolce, simile e lontano.
La incuriosisce: sapere ella vuole
Chi è mai costui, uomo dal volto strano.
“Straniero, domanda, “chi mai voi siete?
Inusuale è il vostro aspetto, da re.”
L'angelo risponde parole liete
“Sono venuto”, risponde, “per te.
Da lontano ti ho ammirata, in passato,
Mentre osservavo, con te, il mondo intero.
Ti ho vista crescere e fiorire, grato,
Ma senza intendere il prodigio vero
Che ha fatto di te, bambina normale,
Il fiore del mondo, dolce e perfetta,
Ragazza di cui non esiste eguale,
Ché in te nessuna virtù mai difetta.
Solo vedendoti giovane e adulta,
Vedendo i tuoi capelli, come seta,
Il tuo volto su cui beltà esulta
Io ti ammirai, con l'anima inquieta;
Ti ammirai come per la prima volta
Sentivo amore sbocciare copioso,
E compresi che se tu mi fossi tolta
Ne soffrirei, sarei senza riposo.
Sì, per questo ho lasciato le mie sedi;
Poiché senza di te non io non son niente,
Son venuto qui da te, come vedi.”
“Dolce straniero, l'anima mia sente
Qualcosa, per voi. Ma troppo è il mistero,
Troppa la maestà: donde arrivate?
Siate voi con me, vi prego, sincero,
Se davvero così tanto mi amate.”
venerdì 16 ottobre 2009
VtM: Vampire Tremendamente Maschiacce
Pesantemente parodistico, può un po' essere considerato la summa di tutto l'umorismo sulle tipiche pupe maggiorate da film d'azione; e predata Tomb Raider di parecchi anni.
Due anni fa, in quel di Lucca, trovai una copia dell'edizione italiana a 1 euro.
Proprio in quel periodo, ero attanagliato da un dilemma: mi serviva un sistema di GdR per rendere il feeling della serie di Bloodrayne, serie di videogiochi splatter all'inverosimile dove si interpreta la classica sexy dampira armata di armi in coppia.
Maschiacce Armate Pesantemente fu la mia rivelazione.
In poco tempo, è nato Vampire Tremendamente Maschiacce, il più stupido supplemento vampiresco che la storia del GdR potrà mai ricordare.
Eccovelo qui.
Vampire Tremendamente Maschiacce
lunedì 12 ottobre 2009
Ritardo mostruoso
Una poesia vecchia di qualche mese, appartenente al mio filone "ribelle-apocalittico".
Verrò dal Caos come messaggero
A voi che siete senza coscienza,
E mistificate sempre il vero
Per la vostra sporca convenienza.
Verrò dal disordine profondo,
Non certo privo di coerenza,
Donde è nata l'anima del mondo
Stuprata da voi con gran violenza.
Vengo dal tutto, vengo dal niente,
Per vendicare la sofferenza
Imposta alla più misera gente
Con la vostra vile compiacenza.
Vengo dal popolo dei poeti
Senza l'ossequiosa riverenza
Per i potenti, ma sempre lieti
Di denunciar la loro indolenza.
Sono venuto per voi, signori,
Per la vostra tronfia incoerenza,
Affinché voi proviate i dolori
Che infliggeste con tanta irruenza.
Sono venuto per voi, gli eletti,
Che ci negaste la conoscenza
Voi, dannati, più che maledetti,
Imponendo la vostra potenza.
Tremerete nel vedere le stelle,
Ormai private d'ogni innocenza;
Notte e vendetta sono sorelle:
Col buio vi darò la sapienza.
venerdì 9 ottobre 2009
Druidismo in HARP
L'avevo creato per una campagna mai partita, in quanto un giocatore voleva un PG druido con incantesimi simili.
Druidismo
mercoledì 7 ottobre 2009
Stesso spunto, due poesie
La prima è stata riscritta circa sei mesi fa, mentre la seconda l'ho finita da qualche giorno.
Personalmente, preferisco il secondo componimento: è più breve, ma fatto meglio.
Quando le tele d'infami demiurghi
Ci avvolgono come sogni oscuri
Dove corriamo esausti e disperati,
In fuga da quel che sempre cerchiamo.
Quando il ricordo si fa impalpabile
Come memoria perduta, di altri,
Dove noi non abbiamo alcun posto
E non ne avremo mai in futuro.
Quando il tempo inclemente ci incalza
Come carcere selvaggio, e duro,
Dove il tessuto del fato ci stringe
Fra le sue odiate spire letali.
Quando il mondo ci crolla sopra il capo,
Come nemico ancestrale e spietato.
Quando annaspiamo in mari crudeli,
Neri di tempesta e disperazione.
E quando il pensiero è tortura atroce,
Ferita auto inflitta da tristi eoni.
Ci opprimono le tele, alte nel cielo,
Strozzando l'urlo dell'ultimo spirito.
Infami, le hanno volute i demiurghi
Forti e nere, per meglio intrappolare
Le ali nostre, striscianti sull'asfalto
Di strade troppo strette per volare
Oltre i grattacieli, oltre le alte torri,
Oltre le gabbie di fumo striato
E oltre ogni altra loro savia menzogna.
lunedì 5 ottobre 2009
Altro sonetto
Salute a voi, miei più cari profeti,
Esemplari in modi, parole e azioni,
Autori delle immortali canzoni,
Voi sapienti cantori, voi inquieti.
Salute alle celle ove voi languite,
Salute alle tombe colme di fiori,
Falso dono di chi vi ha fatto fuori
Temendo l'esempio di vostre vite.
Io vi onoro, e non sono certo il solo;
Poiché altri assieme a me, o in altri tempi,
Hanno svelato la realtà del dolo
Di chi vi ha inchiodati, strappati al suolo
Portando avanti patetici scempi
Per occultare il vostro vero ruolo.
Dionisiaca quinta
Dopo tanto io ora torno da te,
Dioniso beato, forte re
Di tragicommedie e burle estreme,
Di estasi e di morte e vino assieme,
Patrono di poeta vocato
Come di libero squinternato.
Seppur mio compagno di risata,
M'hai dato vicenda sfortunata;
Ma io ora la accetto, dopotutto
Non sei poi patrono così brutto.
Ci ho pensato sopra e perché no?
Della tragedia anch'io riderò,
Ché dal mio soffrire se ne rido
Verrà un sapere ancora più fido.
Ciò componeva il grande signore,
Il saggio calvo dal molto onore.
E se non hai tu oggi mente occupata
Donami, dai, una gran serata:
Così potrò svagarmi un pochino,
E poi alzarmi tardi al mattino.
Vampiri alternativi in D&D 3.5
Spero che sia decisamente migliore dei suoi precursori. ^_^
Filii Nephandi
venerdì 2 ottobre 2009
Il Fato nella 4^ edizione di D&D
Quindi, non avete scuse: scaricatele e godetevele! :)
Fato D&D 4^