domenica 27 aprile 2014

Di Balrog e di ali

Da che mi son dato al mio progetto di conversione della miniatura del balrog in assetato disangue, mi è capitato più volte di dire agli interessati che suddetta miniatura mi piace tantissimo – per quanto non la consideri assolutamente un balrog adeguato. Molti probabilmente considerano questa un'eresia: il balrog GW è una fedele resa del balrog che si vede nella trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, dopotutto.
Il fatto è che la mia esperienza tolkieniana predata di parecchi anni l'uscita dei film, e con l'andar raffinandosi della mia pignoleria filologica è andata sempre più discostandosi dalla lettura dei romanzi che ci viene offerta sul grande (e piccolo) schermo. Uno dei punti fondamentali di questa frattura è quello relativo all'eterna diatriba: i balrog avevano le ali, sì o no?

[premessa: segue pippone immane]


La questione è stata trattata tante volte e da tante persone, più o meno autorevoli (mi vengono in mente i cerchiobottisti del “i balrog hanno le ali ma non sanno volare”, veramente meritevoli di tessera DC honoris causa con bizantino bacio accademico), ma penso che possa ancora dare un mio contributo aggiungendo qualche piccola riflessione personale alla querelle.
In ogni caso, non posso prescindere dall'aprire la questione con un riferimento alla trattazione della questione fatta sull'Enciclopedia di Arda.

Riassumendo per i non anglofoni, la questione "ali del balrog" nasce sostanzialmente da due passi de La Compagnia dell'Anello*, due passi del quinto capitolo del libro secondo per la precisione (pagina 322 della mia edizione).
Nel descrivere il balrog (anzi, il Balrog), Tolkien dice infatti che:
"(the Balrog) halted again, facing him, and the shadow about it reached out like two vast wings."
In traduzione personale:
"(il Balrog) si fermò di nuovo stando dinnanzi a lui, e l'oscurità attorno a lui si dispiegò come due ampie ali."
In seguito, però, è scritto:
"... it stepped forward slowly on to the bridge, and suddenly it drew itself up to a great height, and its wings were spread from wall to wall.."
Ovvero: "... avanzò lentamente lungo il ponte, e d'improvviso si erse a grande altezza, e le sue ali si estendevano da parete a parete... "

Per i sostenitori del Balrog alato, qui c'è tutto quel che serve: poco importa che nel primo caso ci sia un "like" a identificare le ali come meramente metaforiche, in seguito le ali sono "its wings", "le sue ali", senza niente che possa rendere tali ali immateriali o metaforiche o comunque non concrete. I più scrupolosi dal punto di vista filologico si spingono poi a citare un passo da The History of Middle-earth in cui, riferendosi ai Balrog, Tolkien scrive che si muovevano "with winged speed", "con alata velocità".
Per costoro, con questi passi, il caso è chiuso: i balrog (volutamente minuscolo) avevano le ali. Che le sapessero o potessero usare, però, resta tutto un altro paio di maniche: perché in tutti i casi in cui in Tolkien compaiono dei Balrog appare evidente che loro non sono in grado di volare. Il Flagello di Durin stesso non solo precipita come un boccalone quando Gandalf gli fa crollare il ponte sotto i piedi, ma viene poi sconfitto dal nostro nel corso di una battaglia sulla cima di un monte durante la quale non solo non vi son riferimenti al suo volare via per evitare gli attacchi, ma addirittura viene detto esplicitamente che lo stregone lo scaraventa giù (The Two Towers, book three, chapter V, The White Rider).

Lo stesso in tutti gli altri passi tolkieniani: i Balrog si comportano come si comporterebbe qualsiasi altra creatura incapace di volare. Ed è qui, come accennavo prima, che si scatena la fantasia cerchiobottista del pensiero "pro-wings": i balrog avevano le ali, ma a Moria c'era troppo poco spazio per distenderle e volare; i balrog avevano le ali, ma nel corso della battaglia (qualsiasi battaglia in cui sia coinvolto un Balrog e che si concluda col suo cascare giù) sono state rese inservibili; i balrog avevano le ali, ma non il brevetto di volo (ok, questa è mia); i balrog avevano le ali ma quelle del Flagello di Durin sono venute meno quando è divenuto un essere di tenebra e fango anziché oscurità e fuoco, dato che il fuoco è etereo e l'acqua no (ok, questa è una boiata improvvisata sul momento, ma son pronto a metter la mano sul fuoco che da qualche parte è già stata tirata fuori). E, infine, il meglio del meglio: i balrog avevano le ali ma erano puramente estetiche e non in grado di volare.

Pur di non ammettere di aver sbagliato a interpretare una metafora, i nostri pro-wings si spingono fino a fare di Tolkien uno scrittore incapace ai limiti del ridicolo: i balrog avevano le ali ma esse non li reggevano in volo. Un po' come se in un romanzo hard boiled comparisse un tipo tosto che vive ai margini della legge, identificato più volte come un biker ma costretto a spostarsi con i mezzi pubblici in quanto la sua motocicletta è una moto giocattolo incapace di reggere il suo peso.
Cose del genere affossano qualsiasi romanzo o narrazione, o meglio: sono perle in un lavoro che punti sull'essere trash o comico, martellate allo sterno per un'opera che voglia essere seria - e non riconoscere a Tolkien il rigore della serietà è gesto a metà fra la sconsideratezza e l'imbecillità.

Il punto, per fortuna o purtroppo, è che i lettori di Tolkien non sono Tolkien. Un po' scherzando e un po' no, a volte mi definisco "collega" di Tolkien; ed è in effetti vero: il mio percorso di studi universitario, per quanto focalizzato su aspetti diversi, per quanto ancora incompleto, per quanto non temprato da anni di fatica e dedizione, è lo stesso seguito a suo tempo dal Professore - ovvero un percorso di studi filologici. Tolkien era lettore e studioso dei testi antichi, oltre che di lingue e storia antiche, prima che scrittore; ma la sua opera ha travalicato le barriere settoriali riuscendo a far quello che negli ultimi tempi ha fatto l'opera di ben pochi filologi: diventare "di massa" e "fare costume". Di Tolkien si è creata una vulgata, di certo sostenuta da tanti prodotti derivati prima e D&Derivati poi (nel primo Dungeons & Dragons, il "balor" era il "balrog", i "treant" erano "ent" e gli "halfling", termine peraltro tolkieniano tradotto da noi come "mezz'uomo", erano "hobbit"; senza considerare la classe del ranger, il termine tolkieniano da noi tradotto come "ramingo", che da un certo livello in poi poteva usare le sfere di cristallo perché Aragorn poteva usare il Palantìr).


Si è creata una vulgata tolkieniana, vale a dire anche una volgarizzazione; del resto è cosa nota agli addetti ai lavori come, traducendo il testo biblico per quella che si considera la Vulgata per antonomasia, Gerolamo usò in tanti casi delle forme che sapeva essere niente affatto corrette ma nondimeno passate nell'uso ed entrate nella tradizione cristiana. Nella vulgata di Tolkien, dunque, i balrog hanno le ali: non c'è altro da dire, "its wings" è scritto nero su bianco. Tanto che in tutte le altre opere derivate (giochi, miniature, film, disegni) i balrog hanno le ali; e non mi sembra troppo azzardato il paragone fra Gerolamo che inghiottendo il fegato filologico traduce certi termini con espressioni in uso ma errate, e Peter Jackson che fa il balrog alato tranciando la questione in favore del parere più diffuso seppur traballante.

Parere traballante, perché basato esclusivamente sul non riconoscere una metafora come tale, e sull'interpretare letteralmente una similitudine. Ammetto che buona parte dei lettori di Tolkien non siano filologi e non siano neppure lettori né tanto meno studiosi di epica, ma Tolkien *era* un filologo e uno studioso di epica! E in quanto tale riconosceva e usava espressioni metaforiche. Interpretare letteralmente una metafora è il modo migliore per snaturare il testo.
Per dire, nello stesso capitolo in cui vi è la descrizione del Balrog (nel caso della mia edizione addirittura nella stessa pagina, la 322), il commiato di Gandalf alla Compagnia è affidato alla celebre frase:
"Fuggite, sciocchi!"
O, in lingua originale:
"Fly, you fools!"
I sostenitori dei Balrog alati dovrebbero dunque, a rigore, sostenere che anche umani, elfi, nani e hobbit fossero secondo Tolkien in grado di volare, o che Gandalf li stesse invitando a sbattere le braccia nel tentativo di spiccare il volo. Ma, obiettano i pro-wings, in questi casi è chiaro che si tratta di una metafora perché niente lascia supporre che la Compagnia abbia i mezzi per volare; per quanto, a voler esser pignoli, se si può essere alati e non volanti, si può essere anche non volanti e alati; per quanto, a voler essere precisi, il verbo "to fly" viene usato in riferimento alla Compagnia più volte di quante non si parli di "wings" in riferimento al Balrog". L'unico motivo logico che spinge in un caso per l'interpretazione letterale e in un altro per quella metaforica è, molto semplicemente, la volontà di compiere il minor sforzo mentale per comprendere il testo - vale a dire la volontà di appiattire un testo letterario.

Il punto è che Il Signore degli Anelli mirava a essere un romanzo di epica in prosa, e metafore e similitudini sono una costante dell'epica indoeuropea di cui Tolkien era studioso (spiccatamente di quella nordica). Di fronte a metafore e similitudini, molto spesso la reazione del lettore non preparato è quella di considerare tali orpelli un inutile appesantimento del testo anziché un tentativo di vincolare un significato o una comprensione più profonda (o anche solo una maggiore artisticità); in questi casi, molto spesso, la similitudine e la metafora vengono prese alla lettera dacché, interpretandole in questa maniera, il testo viene ricondotto a un livello maggiormente comprensibile.
Del resto, che dietro alla giustificazione delle ali dei balrog ci sia una sorta di pigrizia intellettuale di fondo lo dimostra anche uno dei passi citati in precedenza. Perché nient'altro, se non la pigrizia, potrebbe spiegare il modo in cui un estratto viene strappato dal suo contesto e un pronome allontanato dal nome a cui rimanda. Mi riferisco al secondo passo citato da pagina 322, che personalmente citerei piuttosto come:
"The Balrog made no answer. The fire in it seemed to die, but the darkness grew. It stepped forward slowly on to the bridge, and suddenly it drew itself up to a great height, and its wings were spread from wall to wall; but still Gandalf could be seen, glimmering in the gloom..."
Ovvero: "Il Balrog non diede risposta. Il fuoco in esso parve morire, ma l'oscurità crebbe. Ess* avanzò lentamente lungo il ponte, e d'improvviso si erse a grande altezza, e le sue ali si estendevano da parete a parete; eppure ancora Gandalf poteva essere visto, debole luce nel buio..."
Perché citando per intero troviamo che nelle frasi precedenti al passo incriminato, l'unico passo canonico su cui ci si basa per sostenere che i Balrog avessero le ali, esistono almeno due sostantivi a cui può fare riferimento il pronome neutro "it" a cui appartengono "its wings": il Balrog e, appunto, la sua oscurità, "the darkness". E, dei due, il secondo è più vicino al pronome incriminato.
Prendiamo un brano equivalente, questo ad esempio:
"Mario stava andando in bicicletta, quando il velocipede si ruppe. La ruota posteriore rimase attaccata al telaio, ma quella anteriore si staccò. Rotolò lungo tutta la discesa e andò a finire in mezzo al canalone..."
Penso che sia chiaro a tutti i lettori che a rotolare lungo la discesa non è Mario, ma la ruota anteriore staccatasi dal telaio; questo perché la ruota compare come soggetto subito prima della frase in cui manca il soggetto espresso (o, a voler pensare in Inglese che sempre necessita di un soggetto, esso viene espresso mediante un pronome). Citare solo l'ultima frase ("rotolò lungo la discesa...") dicendo che fa riferimento a Mario, dunque, è un vero e proprio falso, una manipolazione del testo volta a dimostrare qualcosa anche a discapito del testo stesso.

Lo stesso, miei cari pro-wings, può essere detto del testo tolkieniano: ad avanzare pesantemente, a levarsi e a estendersi non è il Balrog, ma l'oscurità attorno ad esso che non ne costituisce il corpo quanto piuttosto una sorta di "aura" - a meno che non vi immaginiate Gandalf petto contro petto col balrog, si intende.
Del resto, questa uso del metaforico senza ribadire che si tratti di una metafora non costituisce affatto una novità inventata da Tolkien - per quanto per tanti lettori di Tolkien *sia* una novità.
Mi limito a citare una serie di passi da un testo epico di due millenni or sono, l'Eneide di Virgilio; passi relativi al celeberrimo cavallo di Troia, talmente grande da sembrare un monte (anche qui, ovviamente, c'è una chiara espressione iperbolica; ma l'iperbole è tipica dell'epica quanto e forse più della metafora).
Cito dal libro II**:
v 15: "...instar montis ecum diuina Palladis arte..." ("...grande come un monte un cavallo con la divina arte di Pallade...")
v 19: "...includunt caeco lateri penitusque cauernas..." ("...racchiudono nel fianco cieco e fino in fondo le caverne...")

Il cavallo, ovviamente, è e resta un cavallo a forma di cavallo; ok, magari stilizzata, ma di certo è una stilizzazione d'un cavallo e non d'una montagna per quanto Virgilio ce lo descriva alto come una montagna (ok, al più sarà stato alto come una collina). Eppure, al verso 19 per parlare delle cavità al suo interno si parla di "cauernas", "caverne" appunto; i cavalli non hanno caverne, sono le montagne quelle i cui spazi vuoti interni prendono tale nome; ma se il cavallo viene assimilato a una caverna, poi si possono usare in riferimento a esso anche termini che solitamente si impiegano solo per le caverne e mai per i cavalli - questo perché nella mente del lettore di Virgilio esiste già un legame fra i due.
(S)fortunatamente, Tolkien gode attualmente di un pubblico molto maggiore rispetto a Virgilio, e quel che è scontato per il lettore virgiliano non lo è altrettanto per il lettore tolkieniano: questi, dopo aver letto una metafora o un paragone ("shadow... like two vast wings", "oscurità... come due ampie ali") tende ad appiattire tutto su un solo piano (quando la metafora ci gioca sull'avere più livelli!) e a dimenticarsi delle implicazioni di quanto appena letto.
Non parlo ovviamente di *tutti* i lettori tolkieniani, ma penso che quanto appena detto si possa applicare alla maggior parte di essi - proprio perché Tolkien è entrato a buon diritto nel costume, mentre invece Virgilio è ormai un autore classico in lingua morta, e i classici in lingua morta ormai non li legge quasi più nessuno.

E dunque la maggior parte dei lettori di Tolkien, facendo il minor sforzo mentale, si immaginano il balrog come dotato di inutili ali non adatte al volo, quasi che fosse uno struzzo e una gallina. Ma, se ci pensiamo un attimo, la maggior parte dei lettori di Tolkien si immaginano il balrog dotato di corna e coda, e magari anche di zoccoli fessi, mentre Tolkien ce lo descrive  molto diverso (pagina 321):
"... like a great shadow, in the middle of which was a dark form, of man-shape maybe, yet greater..."
"... come una grande tenebra, nel mezzo della quale vi era una forma oscura, di sembiante umano forse, ma più grande..."
Non dunque un essere fatto di fiamme e tenebre, ma una figura umanoide più grande di un uomo (il che è logico: in Tolkien altezza = potere, tanto che le altezze sembrano variare al crescer del potere manifestato***), ma comunque abbastanza piccola da passare su un ponte pensato per dei nani in fila indiana, ammantata di tenebre e fiamme. Eppure, ancor prima della trilogia cinematografica che molto ha contribuito ad appiattire l'immaginario collettivo, la vulgata voleva i balrog come delle figure cornute, alate, possibilmente dotate di coda e zoccoli e, soprattutto, composte e non avvolte da oscurità e fuoco.
Qualcosa di simile, in effetti.


I Balrog di Tolkien, dopotutto, sono Maiar corrotti dal male, vale a dire "angeli caduti", vale a dire "diavoli"; e la maggior parte dei lettori tolkieniani, cresciuti in un contesto culturale cristiano, tende ovviamente a figurarsi i Balrog con la stessa iconografia tradizionalmente attribuita al diavolo: ali, corna, coda, zoccoli, corpo nero come il carbone o rosso come il fuoco.
Del resto, il balor di Dungeons & Dragons al quale ho accennato prima come spudorata scopiazzatura fruttifera di D&Derivati, è un mostro che appartiene nel gioco alla categoria dei demoni (ok, in D&D fra demoni e diavoli esiste una forte differenza, ma ci siam capiti), ed è tanto legato ai Balrog di Tolkien quanto all'immagine iconografica del diavolo quale ci è stata tramandata dalla tradizione cristiana. 

In sostanza, dunque, se in tanti si immaginano i balrog come creature alate e cornute, mentre solo con faciloneria si può sostenere che Tolkien si figurasse i suoi Balrog in questa maniera, questo accade perché se li figurano in tutto e per tutto come i diavoli della tradizione cristiana a cui sono in tutto e per tutto affini.
Il Balrog "conta come" un diavolo (e probabilmente questo era vero per lo stesso Tolkien, autore cristiano), dunque deve sembrare in tutto e per tutto un diavolo della più classica iconografia con tanto di corna, ali e possibilmente zoccoli e coda.

Come filologo, considererei questa teoria buona per essere buttata in un cestino o calciorotata giù da una torre, destinata a sfracellarsi come un Balrog senza ali. Ma poi ci rifletto su e mi dico una cosa: i Balrog di Tolkien non volavano e non avevano ali né corna; ma ormai, nella cultura popolare, questi tratti li identificano subito. E probabilmente non è troppo sbagliato pensare che esista da un lato il Balrog - maiuscolo - di Tolkien, figura umanoide possente (ma suppongo sotto i due metri e mezzo di altezza) ammantata di tenebre che può rivestirsi di fiamme o di fango, dall'altra il  gigantesco balrog - minuscolo - fatto di oscurità e fuoco e dotato di ali e corna.
Un conto è il testo originale, un conto diverso è la vulgata che se ne trae.

Perciò, per quanto la miniatura del balrog prodotta dalla GW non sia per me "un Balrog", posso dire con certezza che è una fantastica miniatura. Non è corretta dal punto di vista testuale, probabilmente se un Tolkien redivivo se la trovasse davanti agli occhi avrebbe difficoltà a riconoscerla come qualcosa di suo, ma è di certo in linea col modo in cui i più si immaginano i balrog.
Noi filologi, dopotutto, siamo una strana razza...

* faccio riferimento alla mia edizione in lingua originale di The Lord of the Rings, edita nel 2001 da Harper Collins Publishers nella collana Collins Modern Classics, ISBN 0-00-712970-X.

** edizione BUR del 2002, ISBN 88-17-11742-0.

*** e gli Istari come Gandalf, Maiar ammantati di forma umana, appaiono come umani *ricurvi*: celare il proprio potere pur essendo in grado di utilizzarlo va di pari passo con l'essere alti ma piegati.

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