domenica 17 aprile 2011

Componimento sperimentale goticheggiante

Allo stato attuale delle cose, la poesia che vi sto postando è il frutto di due settimane di riflessione, modifiche e dubbi. Non sono pienamente convinto della validità di alcuni passi, ma prima o poi dovevo pur "concludere" il tutto; ovvero, con ogni probabilità riprenderò in mano più e più volte questo componimento nei mesi prossimi.

Quello che mi ha creato tante difficoltà è stato il tentativo di creare una poesia che avesse a che fare con lo stile gotico (e più in generale con tutta l'ala più "tetra" del romanticismo sette-ottocentesco) senza però ricadere nel trito e scontato sistema moraleggiante del genere. Temo di aver tirato fuori soltanto una serie di versi definibili al meglio come "di maniera", al peggio come "vaccata assurda".
A voi il giudizio.


Celano gli alberi antichi, nell'ombra
Pietosa e gelata,
Tetra una casa, più antica, da tempo
Scordata dall'uomo.
L'edera scala le mura sgualcite
Dal tempo incessante,
Muri ingrigiti dagli anni di pioggia,
Crepati dal sole.
Prospera muffa al di sotto del manto
Di foglie cadute,
Scese ogni autunno a coprire di nuovo,
Fedeli, la terra.
Quasi nessuno nei giorni dell'oggi
S'attarda a gettare,
Occhi furtivi, uno sguardo alla casa
Che s'erge, isolata,
Cupa, nel freddo cortile, protetta
Da siepi di rovi.
Quando talvolta un'occhiata indiscreta
S'indugia, intrigata
Dalla possanza degli alberi antichi
Sul vecchio edificio,
Quasi a cercare una faccia, indignata
Da tanta intrusione,
Sportasi appena fra i vetri in frantumi,
Fra imposte marcite,
Nulla le s'offre dall'ombra ancestrale,
Soltanto quel buio;
Incubo caro ai bambini, a chi sogna.
E quando talvolta
Qualche curioso passante, straniero
Di certo, domanda
Chi mai ne fosse padrone, rapito
Dall'edera antica,
Pochi frammenti di voci troncate
Da un vecchio timore
Sono la sola risposta che ottiene
Dai mesti vicini.
Pesano tetre leggende, racconti
D'un epoca andata,
Quando -lontani quei giorni!- di voci
Vibrava la casa.
Ora neppure un sussurro si leva
Dal tetro edificio:
Pure le bestie si tengon lontane
Dall'ampio giardino,
Quasi che provino oscuro terrore,
Memoria o visione,
Nell'accostarsi a quei muri in rovina.
Raccontano i vecchi,
Quando il terrore è scacciato dal vino,
Che l'ultima voce
D'uomo, sentita dai padri nei giorni
Lontani, venire
Tetra dall'ampia dimora in rovina
Urlasse di morte.
Era la voce del vecchio padrone,
Crudele vegliardo,
Dicono, autore di un empio peccato
Terribile a dirsi.
Questa soltanto è l'estrema memoria
Rimasta dell'uomo,
Forse malvagio, di certo colpito
Da fato impietoso,
Grande in passato, memoria sbiadita
Nell'incubo adesso.
Solo la casa rimane, in rovina,
Consunta dal tempo,
Fredda nell'ombra del vecchio giardino,
Estremo ricordo.

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