giovedì 19 ottobre 2017

Riflessioni ludiche: i due scogli dell'ispirazione

Quando non sto studiando, non mi sto dando al modellismo, non sto precipitando nel baratro di Skyrim Special Edition e sono in tutta tranquillità in camera mia, vale a dire circa dieci minuti a notte prima di addormentarmi, continuo a riflettere e a rimuginare sul mio progetto di un adattamento di Anime e Sangue alla Legacy of Kain.














Uno dei punti principali di ogni adattamento di un gioco a un'ambientazione che trascende i limiti del tempo (nella Legacy of Kain i paradossi temporali e i viaggi nel tempo sono un elemento fondamentale della saga) è inquadrare i limiti cronologici dell'ambientazione, le cosiddette "ere giocabili": ogni mondo di gioco ha la sua storia fittizia, ma tipicamente i personaggi si muovono e agiscono solo in un dato periodo storico. Ovviamente, la Legacy of Kain offre diversi periodi storici in cui ambientare le avventure dei personaggi, se non altro tutti quelli vissuti dai personaggi dei videogiochi.

Anche qui, come facevo notare nella precedente riflessione ludica, la soluzione offre essa stessa dei problemi: quale versione si prende per buona, qualora la fonte ne offra di diverse? La prima, in quanto più "genuina"? O l'ultima, in quanto più elaborata? Quella che preferiamo noi in base al nostro gusto? Quella che preferiscono gli autori? Quella che preferiamo noi e che reputiamo l'unica valida in assoluto? Non c'è una vera soluzione che vada bene per ogni situazione. Vero, Han?

Nel caso della Legacy of Kain, ad esempio, il villaggio di Uschtenheim è un luogo abbastanza importante per le vicende narrate, ma nelle sue due incarnazioni ludiche (in Blood Omen e in Soul Reaver 2) ci viene presentato in maniera diversa. Eppure in questo caso posso dirmi fortunato: almeno un luogo ci viene presentato, sappiamo come immaginarlo, sappiamo a cosa fare riferimento quando se ne parla.




Su tanti altri aspetti che sarebbe interessante e forse doveroso affrontare in una avventura di GdR, invece, la serie tace.


Proprio dalla necessità di colmare questo vuoto, questo silenzio, nasce la mia riflessione su quelli che ho chiamato i due scogli dell'ispirazione.

Senza andare a scomodare Simplegadi, Scilla e Cariddi, la navigazione fra due ostacoli è qualcosa di notoriamente complesso, perché bisogna tenersi ugualmente lontani da entrambi; più essi sono vicini, o più sono forti le correnti che trascinano verso l'uno e l'altro, più sarà difficile mantenere la giusta rotta. Il naufragio, in certi stretti, è dietro l'angolo. Anche senza mostri o rocce-pressa.



Nel nostro caso preciso, per quanto si potrebbe estendere il discorso a tanti ambiti affini, i due scogli sono la tendenza a ispirarsi *esclusivamente* all'opera, tacendo ogni cosa che da essa non venga detta, creando un mondo con dei vuoti enormi laddove la fonte taceva, o al contrario il pericoloso essere "ispirati" nel creare qualcosa che "ci ispira" anche quando non è direttamente riconducibile all'opera originale. Il mondo dei giochi di ruolo è pieno di esempi di questo secondo tipo di errore. La quarta edizione di Stormbringer, l'unica versione tradotta in italiano del GdR dedicato al mondo di Elric di Melniboné e ai romanzi di Moorcock, è letteralmente dominata da questo horror vacui: dove l'autore anglosassone taceva, gli sviluppatori del gioco tessevano le reti della loro fantasia; con risultati a volte encomiabili, a volte discreti, a volte risibili - come ad esempio la pezza posta sulla mancanza di nomi per le divinità della Legge, il banalissimo Goldar dio del denaro.



Ma il gioco di ruolo che, più di tutti, merita di essere assunto a incarnazione dello scoglio in questione, a Scilla dalle molte teste che pensano a tante cose diverse e non per forza legate all'opera originale, è di sicuro il vecchio GdR di Star Wars della West End Games.
Pubblicato per la prima volta nell'87, e basato su un sistema a pool di d6, il gioco di SW della WEG è famoso non tanto per l'aspetto meccanico, quanto per il modo in cui ha trasformato quelli che erano stati tre film di successo (e una sequela di fumetti molto, come dire, "figli del loro tempo") in un universo coerente: il cosiddetto Expanded Universe di Star Wars, quell'insieme di dettagli che nei film vengono ignorati o solo accennati. Ancora oggi, dopo che la Disney ha comprato la baracca e riscritto gran parte di quanto era stato stabilito in precedenza, molti dettagli derivati da Star Wars: The Roleplaying Game rimangono parte fondamentale del canone. Come il nome di diverse razze aliene, ad esempio: i film che ne hanno presentato l'aspetto esteriore, ma non il nome né tanto meno la cultura; fatta eccezione per gli wookiee, ma quel che della loro cultura ci dice lo speciale natalizio è, come dire, da far passare sotto silenzio.
Ovviamente, in mezzo a tutte queste nozioni che sono state fondamentali per creare un universo condiviso, una galassia che fosse "vivibile" attraverso giochi di varia natura e in cui si potessero ambientare ulteriori opere avendo delle solide basi enciclopediche, ci sono stati anche diversi dettagli e particolari discutibili. La voglia di espandere ogni singolo evento e personaggio che si vedeva nello sfondo dei film ha creato spesso degli eventi grotteschi, come il celebre caso delle sorelle Tonnika.
Presenti nella scena della cantina di Mos Eisley nell'Episodio IV, i due personaggi vennero descritti in Galaxy Guide 1: A New Hope (un mio coetaneo dell'89) come due gemelle omozigoti: venne dato loro un nome, una storia, un "background" come diciamo noi giocatori di ruolo; vennero trasformate, da comparse, in personaggi che i giocatori avrebbero potuto incontrare per sentirsi parte della storia. Piccolo problema: le due attrici che interpretavano le "sorelle" non erano affatto della stessa altezza. Qualche tempo dopo, quindi, la cosa venne giustificata dicendo che quelle viste nel film non erano le vere sorelle Tonnika, ma due tizie sotto copertura che si spacciavano per le sorelle Tonnika.
Al di là del dubbio legittimo suscitato dal fatto che due persone non identiche possano mascherarsi da persone identiche senza che la copertura salti più rapidamente di una cavalletta, questo aneddoto illustra bene qual è il maggior rischio quando si lavora troppo di fantasia nell'espandere ogni singolo dettaglio a cui la propria fonte accenna: l'avvitamento carpiato su se stessi, l'elaborazione di storie intriganti che però contrastano con quanto si vede nell'opera principale e che dunque obbligano a inserire nuovi dettagli, e una maggiore complessità, per riallacciare i discorsi così "ispirati" alla fonte di ispirazione.
E tutto questo tacendo sulle cose che sono state scritte e in seguito sbugiardate o bellamente ignorate dai film. Come, non so, il primo Jabba The Hutt presentato nei fumetti, diverso sia da quello umano della sequenza tagliata, sia da quello che poi sarebbe diventato il più viscido gangster spaziale.



Il rischio, facendo volare troppo la fantasia, operazione necessaria per poter espandere ogni singolo dettaglio oltre quello che ci viene presentato dall'opera originale, è molto evidentemente quello di inserire elementi superflui che rischiano, se non di contraddire se stessi o la fonte di ispirazione, di appesantire oltremodo il gioco. La soluzione, a quel punto, diventa quella di ignorare buona parte dei dettagli extra forniti dal manuale, ma a quel punto a che è servito inserirli in prima battuta?
Domanda non stupida, ci torneremo dopo.


Ricollegandoci alla Legacy of Kain, ad esempio, noi sappiamo che i Sarafan sono un corpo militare legato ai Guardiani dei Pilastri, volto a sterminare i vampiri e stanziato in una fortezza "considerata inviolabile dagli uomini"; sappiamo che decapitano sul posto i vampiri, o ne estraggono il cuore come macabro trofeo, e che nella loro fortezza ci sono alcuni umani tenuti prigionieri, forse accusati di collaborare coi vampiri. Dai videogiochi vediamo lo stile delle loro armature e della loro architettura, per quanto da Soul Reaver 2 a Defiance ci siano delle pesanti differenze.
Non sappiamo invece in che rapporto siano i Sarafan con i diversi regni di Nosgoth; non sappiamo come facciano a sostenersi, se ricevano un tributo o abbiano delle terre coltivabili affidate a dei contadini o si limitino a razziare e incamerare i beni di quanti vengono accusati di collusione coi vampiri. Tutti dettagli che potremmo espandere, perché in un ipotetico gioco di ruolo della LoK ci darebbero un sacco di spunti interessanti su questi "eroi".

Abbiamo parlato del primo "scoglio dell'ispirazione": il rischio di schiantarsi o arenarsi a causa dei mulinelli creati dai troppi elementi aggiuntivi rispetto all'opera originale, il diluire tale opera in un maremagnum di elementi che, in definitiva, sono più farina del nostro sacco che non componente originale della pagnotta così buona da cui vorremmo trarre un gioco di ruolo.

Il secondo scoglio, non meno insidioso, è quello che porta a creare un gioco basato su qualcosa che di quel qualcosa non abbia praticamente niente.

L'incarnazione ludica di questo scoglio non può che essere il GdR di Dragonero. Mi sono già espresso in passato su quanto ritenessi quel manuale un'occasione persa, e il tempo mi ha dato sofferta ragione. Sono passati praticamente quattro anni dalla sua uscita, la 5^ edizione di D&D è arrivata, avremo a breve la sua localizzazione in Italia, mentre per il GdR di Dragonero manca ancora un bestiario, mancano ancora elementi regolistici validi per rendere conto dell'ambientazione, manca ancora quasi tutto. Il manuale del gioco contiene un sistema di regole pensato da qualcuno per potersi sposare con quell'ambientazione fumettistica, ma non ne contiene neppure una goccia.
Scelta imposta dalla Bonelli, pare, così come pare che grazie alle ottime illustrazioni il manuale abbia venduto un sacco, ma allo stato attuale delle cose chiunque voglia giocare nel mondo fantasy creato da Enoch e Vietti si trova infinitamente meglio a prendere uno dei tanti GdR fantasy dal regolamento più completo e meglio sviluppato (ce ne sono per tutti i gusti, letteralmente), coi quali è più facile buttare giù sul momento le statistiche del "nemico del mese". Perché, se per l'ambientazione bisogna fare riferimenti esclusivamente ai fumetti e ai romanzi, allora il manuale non serve a niente, non è che l'ennesima variazione sul tema "d20 system".




Un GdR basato su qualcosa che con la propria fonte di ispirazione sembra non avere quasi nessun punto di contatto, o quantomeno nessun punto di contatto in più rispetto a tanti altri giochi.


Il secondo scoglio è forse più odioso del primo, perché è uno scoglio che nasce dal non fare anziché dal fare troppo.

In effetti, ricollegandomi a quanto scrivevo prima, esiste un motivo dietro allo scrivere pagine su pagine di elementi di ambientazione pressoché inutili, dettagli dotati di vita propria, singoli frame di un film trasformati in vite, morti e miracoli di personaggi assolutamente secondari eletti a protagonisti di nuove vicende inimmagite. Perché, se fatto bene, questo lavoro diventa interessante da leggere: terminati i film, i fan di Star Wars erano letteralmente alla ricerca di "starwarsosità" da divorare, di piccoli dettagli insidionerdosi che appagassero la loro sete di conoscenze sulla galassia lontana lontana. Anche se ostici per il gioco, questi dettagli diventavano piacevoli per la lettura. E pochi piaceri battono quello dato da un buon libro che ci offre esattamente ciò che cerchiamo.
Dopotutto, tanti manuali di GdR vendono proprio così; ho come l'impressione che anche i miei contenuti sulla DM Guild vendano in gran parte per questo motivo: giochi che non vengono tanto giocati, quanto letti e al più rielaborati come fonte di ispirazione.

Ovviamente, questi scogli rappresentano appunto il luogo estremo oltre il quale non ci si può spingere, l'ostacolo che farà naufragare il buon gioco; lo SW della WEG penso che si sia fermato un attimo prima dell'impatto, mentre su Dragonero GdR non ne sono così convinto.

Ma, fra i due scogli, si estende un ampio braccio di mare, un continuum con tante diverse rotte da seguire e tanti percorsi nuovi da tracciare, infinite possibilità per arrivare alla propria meta col tragitto che si preferisce.


Ha senso oggi, in epoca di wiki ultra-complete per quasi ogni ambientazione ludica, filmica, letteraria o televisiva, dedicare ennemila pagine a riproporre quanti si trova nell'apposito fandom powered by wikia? La mia risposta è no, non ha senso farlo.
Quel che ha senso fare, invece, è pensare a come ancorare il regolamento di gioco all'ambientazione. E qui, restando sul tema Legacy of Kain su Anime e Sangue, direi che le possibili riflessioni ludiche da maturare per non parlare di regole stanno finendo.

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