Ho sognato
Che eri persa, perduta, eri scomparsa
E non sapevo se ti amavo,
O se soltanto
Soffrivo di empatia per te,
Che ti eri persa.
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Una ragazza che conosco, ma con cui non ci è incontrati più di una manciata di volte; la reputo simpatica, ha degli occhi fantastici in cui ci si potrebbe perdere, ma la distanza a cui ormai mi tengo abitualmente da pressoché chiunque ha sempre bloccato ogni ipotetica velleità sentimentale. Nel sogno, però, il sentimento c'era e c'era eccome; un sentimento inespresso, ma non per questo meno intenso, quantomeno da parte mia: proprio perché inespresso, era stato condannato a non venir mai ricambiato.
Da questo scaturiva la mia angoscia. Una angoscia da cui non riuscivo a uscire in nessun modo, una sofferenza che mi attanagliava mentre la mancanza di notizie si susseguiva con ricerche sempre meno convinte.
Poi, alla fine, il dubbio risolutivo, la certezza di un'incertezza che in qualche modo scioglieva la tensione e mi permetteva di uscire dall'incubo: davvero ero innamorato di lei? O la mia non era, piuttosto, semplice empatia, l'umanissima sofferenza per le sventure di qualcuno che conosciamo, qualcuno che non possiamo considerare "un altro" di cui può lecitamente non importarci niente?
Questo dubbio mi ha svegliato; o, forse, era sempre stata questa la più grande angoscia che pativo durante il sogno. La poesia, scritta di getto, è stata vista e rivista e riscritta e ricorretta per una settimana, ma ancora non ho una risposta all'ultimo quesito.
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