In attesa degli altri componimenti giambici, vi lascio con una poesia in distici; si tratta di una riflessione sulla vendetta, e su come essa alla fin fine danneggi chi la attua quanto coloro che la subiscono.
Calice amaro, giustizia crudele
Dispensi, latore
Freddo di grandi dolori impietosi, am-
Ministri veleno,
Fiele che tutti ferisce di pari
Sapiente violenza:
Muti i colpevoli in vittime, oppresse
Dal male che doni,
Né tu risparmi le fredde carezze, il
Veleno mortale, a
Quanti hanno in sorte del calice d'esse-
Re fatti ministri,
Ché, traditore, anche loro colpisci, e
Chi t'offre non soffre
Meno di quanti, nolenti, punisci;
Perché tu lo rendi un
Empio aguzzino, il tuo icore immondo
Al posto del sangue,
Rendi inumano chiunque ti porti.
Infame giustizia
Quella che rechi, soltanto vendetta,
Ignori il perdono e
Rendi dei mostri quegli uomini persi
Che cercano in te la
Vera giustizia, compenso dovuto
A quanti nel mondo
Hanno sofferto. Rigetto l'offerta,
Non voglio mutarmi in
Subdolo ultore, rifiuto per sempre i
Tuoi manici d'oro,
Calice d'empia vendetta, ricolmo
Di solo e veleno.
Principalmente giochi di ruolo, ma anche modellismo. Riflessioni e poesie, quando sono in vena. Quel che di volta in volta mi sento di condividere, insomma.
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sabato 25 giugno 2011
mercoledì 22 giugno 2011
Qualche componimento giambico
Quelli che seguono sono i primi due componimenti brevi in endecasillabi giambici che ho scritto, risalenti a qualche settimana fa.
Il primo è il classico "carme d'occasione", quattro versi dedicati all'uscita del libro d'un amico.
Il secondo, invece, è crudelmente autobiografico: leggetelo, e provate a indovinare come è andata a finire la mattinata...
Ti faccio i complimenti, antico amico,
E t'auguro con cuore assai sincero
Che questo tuo libretto ben stampato
Si possa un giorno dir di grande autore.
Ho preso l'otto proprio in grande fretta,
Correndo sulle pietre del macadam.
Adesso sto salendo, e spero solo
Di farcela a parlar col professore.
Lo sai che gran risate dalla stizza
Nell'essermi svegliato stamattina
Ben prima dell'orario stabilito
Soltanto per far niente ed imprecare,
Con voce che s'esprime in molti versi,
Per questa levataccia senza scopo?
Il primo è il classico "carme d'occasione", quattro versi dedicati all'uscita del libro d'un amico.
Il secondo, invece, è crudelmente autobiografico: leggetelo, e provate a indovinare come è andata a finire la mattinata...
Ti faccio i complimenti, antico amico,
E t'auguro con cuore assai sincero
Che questo tuo libretto ben stampato
Si possa un giorno dir di grande autore.
Ho preso l'otto proprio in grande fretta,
Correndo sulle pietre del macadam.
Adesso sto salendo, e spero solo
Di farcela a parlar col professore.
Lo sai che gran risate dalla stizza
Nell'essermi svegliato stamattina
Ben prima dell'orario stabilito
Soltanto per far niente ed imprecare,
Con voce che s'esprime in molti versi,
Per questa levataccia senza scopo?
domenica 19 giugno 2011
Haiku quasi estivi
Questi haiku sono stati scritti nel corso degli ultimi dieci giorni.
Alcuni sono semplicemente ispirati a una particolare impressione soggettiva, mentre altri cercano di rendere l'idea di quel che sono state le ultime uscite con amici e parenti.
Noto solo in fase di pubblicazione che, in effetti, sono proprio un bel numero di componimenti, per quanto brevi.
Isole bianche,
Incombono crudeli
Acque del cielo.
Torna il passato?
Nubi d'autunno in questa
Alba d'estate.
Prossimi al cielo
Ridiamo, ma impetuosi i
Venti gentili.
Soltanto un velo
Le nuvole sbiadite.
Alba d'estate.
Un sole nuovo
Inebria di speranza,
Calda promessa.
Ma piove a sera,
Le lacrime d'un cielo
Quasi sospeso.
Ora corriamo
Fra acqua e terra, baciati
Dal sole nuovo.
Ma giunge tarda
Per me questa stagione, il
Cielo irridente.
Rosso soffrire,
Mi rafforza crudele
Luce del cielo.
Velo scarlatto
La tua luce, luna.
Brilli di sole.
I monti invasi
Dalla luce, sfumati
D'azzurro caldo.
Ma noi levati
Sotto la cappa nera
D'un cielo estivo.
Alcuni sono semplicemente ispirati a una particolare impressione soggettiva, mentre altri cercano di rendere l'idea di quel che sono state le ultime uscite con amici e parenti.
Noto solo in fase di pubblicazione che, in effetti, sono proprio un bel numero di componimenti, per quanto brevi.
Isole bianche,
Incombono crudeli
Acque del cielo.
Torna il passato?
Nubi d'autunno in questa
Alba d'estate.
Prossimi al cielo
Ridiamo, ma impetuosi i
Venti gentili.
Soltanto un velo
Le nuvole sbiadite.
Alba d'estate.
Un sole nuovo
Inebria di speranza,
Calda promessa.
Ma piove a sera,
Le lacrime d'un cielo
Quasi sospeso.
Ora corriamo
Fra acqua e terra, baciati
Dal sole nuovo.
Ma giunge tarda
Per me questa stagione, il
Cielo irridente.
Rosso soffrire,
Mi rafforza crudele
Luce del cielo.
Velo scarlatto
La tua luce, luna.
Brilli di sole.
I monti invasi
Dalla luce, sfumati
D'azzurro caldo.
Ma noi levati
Sotto la cappa nera
D'un cielo estivo.
giovedì 16 giugno 2011
Semplici distici
In attesa di pubblicare nel finesettimana della roba più interessante, e in attesa di avere tempo e modo di completare Ombre antiche sul presente, vi presento una poesia senza troppe pretese scritta qualche settimana fa.
Contro le stelle leviamo una voce
Che vibra dall'ira,
L'ira repressa per anni soffrendo
Quel giogo crudele im-
Posto dall'alto, dai freddi sovrani
Del mondo immortale.
Siamo soltanto mortali, fratelli:
La vita ci sfugge
Rapida, e presto con gli anni perdiamo
Le forze, consunti
Senza pietà dalla morte crudele,
La lama che pende
Sopra ogni nostra speranza e ambizione
Gloriosa e felice.
Dicono questi profeti dei duri
Sovrani celesti,
Folli, dementi e corrotti, che il mondo
Nel quale viviamo
Nulla sarebbe al confronto d'un mondo im-
Mortale, destino
Lieto di quanti con fare servile
Si piegano ai loro
Dei, rinnegando la vita e la propria
Natura, i compagni
Loro, e noi tutti, fratelli di carne.
Ma noi lo sappiamo: il
Mondo soltanto ci è padre, la vita u-
Na sola e soltanto
Quando concordi operiamo, ciascuno al
Servizio degli altri,
Siamo davvero viventi, e siam santi
Soltanto se siamo
Tutti compagni e fratelli: che crepi-
No questi immortali!
Noi non ne abbiamo bisogno per esse-
Re lieti. Viviamo!
Contro le stelle leviamo una voce
Che vibra dall'ira,
L'ira repressa per anni soffrendo
Quel giogo crudele im-
Posto dall'alto, dai freddi sovrani
Del mondo immortale.
Siamo soltanto mortali, fratelli:
La vita ci sfugge
Rapida, e presto con gli anni perdiamo
Le forze, consunti
Senza pietà dalla morte crudele,
La lama che pende
Sopra ogni nostra speranza e ambizione
Gloriosa e felice.
Dicono questi profeti dei duri
Sovrani celesti,
Folli, dementi e corrotti, che il mondo
Nel quale viviamo
Nulla sarebbe al confronto d'un mondo im-
Mortale, destino
Lieto di quanti con fare servile
Si piegano ai loro
Dei, rinnegando la vita e la propria
Natura, i compagni
Loro, e noi tutti, fratelli di carne.
Ma noi lo sappiamo: il
Mondo soltanto ci è padre, la vita u-
Na sola e soltanto
Quando concordi operiamo, ciascuno al
Servizio degli altri,
Siamo davvero viventi, e siam santi
Soltanto se siamo
Tutti compagni e fratelli: che crepi-
No questi immortali!
Noi non ne abbiamo bisogno per esse-
Re lieti. Viviamo!
domenica 12 giugno 2011
Endecasillabi giambici
Era da tanto tempo che avevo in testa due progetti poetici.
Il primo, meno interessante, era l'idea di versificare recuperando alcuni temi da una canzone di De André, "valzer per un amore".
Il secondo, invece, mi tormentava da molto di più: dopo essere arrivato all'endecasillabo con ritmo dattilico, mi sono scervellato per quasi un anno alla ricerca di un modo per rendere con l'endecasillabo anche l'altro grande metro della poesia classica, il trimetro giambico.
Per chi non lo conoscesse, il trimetro giambico è il metro usato nel teatro greco come nell'invettiva, ed era sentito come molto vicino al parlato. Nella sua struttura "base", soggetta a infinite varianti che hanno fatto dannare generazioni di grecisti, si presentava come la somma di tre sequenze sillabie "breve lunga breve lunga", accentate sulla lunga e principalmente sulla prima delle due. Era presente poi la variante "catalettica", ovvero priva della sillaba lunga finale.
Il mio adattamente si basa proprio sul trimetro giambico catalettico; in parole povere, impiego un endecasillabo con accenti fissi sulla seconda, sulla sesta e sulla decima e talvolta anche sulla quarta e sull'ottava.
Sono ancora alle prime armi con questa nuova versione dell'endecasillabo, con la quale devo ancora prendere la giusta confidenza. Intanto, però, ho iniziato a scribacchiare qualcosa.
E fra questo "qualcosa" rientra il mio primo componimento "giambico", che potete leggere di seguito. Noterete anche una seconda soluzione, stavolta da una canzone di Guccini. Non sono totalmente soddisfatto del risultato, ma per essere la prima prova con questo tipo di endecasillabo non penso sia uscito troppo male.
Ma quando, col cuor stanco, tu, derisa
Da quanti ti dicevano d'amarti, al-
La fine troverai quei vecchi versi
Che scrissi quale lode del tuo volto
Negli anni ormai perduti, sarai colma
Di grande meraviglia nel pensar che
Qualcuno abbia lodato le bellezze
Perdute e consumate nell'attesa
D'un principe da sogno, affascinante,
E certo inesistente che ti desse
In dono grandi grazie e grande amore,
Neanche fosse uscito dallo schermo
D'un infimo filmetto americano
Di stampo hollywoodiano e basso budget.
Di certo sarai presa dal rimpianto,
E molto soffrirai quel gran rimorso
D'avermi, in preda a sogni irrazionali,
Scartato ed umiliato, tu, spietata
Stimando il nulla più che quel mio volto
Non bello, forse, certo, ma che amava
Perfino i tuoi difetti più bizzarri,
Spegnendo nei miei occhi che t'amava-
No tanto quella luce di cui pure
Brillavi, illuminata dai miei versi.
Ma a nulla servirà questo pensiero:
Soltanto a poter piangere quel tuo
Rifiuto del mio amore, che di certo
Per te non tornerà mai più, perduto.
Il primo, meno interessante, era l'idea di versificare recuperando alcuni temi da una canzone di De André, "valzer per un amore".
Il secondo, invece, mi tormentava da molto di più: dopo essere arrivato all'endecasillabo con ritmo dattilico, mi sono scervellato per quasi un anno alla ricerca di un modo per rendere con l'endecasillabo anche l'altro grande metro della poesia classica, il trimetro giambico.
Per chi non lo conoscesse, il trimetro giambico è il metro usato nel teatro greco come nell'invettiva, ed era sentito come molto vicino al parlato. Nella sua struttura "base", soggetta a infinite varianti che hanno fatto dannare generazioni di grecisti, si presentava come la somma di tre sequenze sillabie "breve lunga breve lunga", accentate sulla lunga e principalmente sulla prima delle due. Era presente poi la variante "catalettica", ovvero priva della sillaba lunga finale.
Il mio adattamente si basa proprio sul trimetro giambico catalettico; in parole povere, impiego un endecasillabo con accenti fissi sulla seconda, sulla sesta e sulla decima e talvolta anche sulla quarta e sull'ottava.
Sono ancora alle prime armi con questa nuova versione dell'endecasillabo, con la quale devo ancora prendere la giusta confidenza. Intanto, però, ho iniziato a scribacchiare qualcosa.
E fra questo "qualcosa" rientra il mio primo componimento "giambico", che potete leggere di seguito. Noterete anche una seconda soluzione, stavolta da una canzone di Guccini. Non sono totalmente soddisfatto del risultato, ma per essere la prima prova con questo tipo di endecasillabo non penso sia uscito troppo male.
Ma quando, col cuor stanco, tu, derisa
Da quanti ti dicevano d'amarti, al-
La fine troverai quei vecchi versi
Che scrissi quale lode del tuo volto
Negli anni ormai perduti, sarai colma
Di grande meraviglia nel pensar che
Qualcuno abbia lodato le bellezze
Perdute e consumate nell'attesa
D'un principe da sogno, affascinante,
E certo inesistente che ti desse
In dono grandi grazie e grande amore,
Neanche fosse uscito dallo schermo
D'un infimo filmetto americano
Di stampo hollywoodiano e basso budget.
Di certo sarai presa dal rimpianto,
E molto soffrirai quel gran rimorso
D'avermi, in preda a sogni irrazionali,
Scartato ed umiliato, tu, spietata
Stimando il nulla più che quel mio volto
Non bello, forse, certo, ma che amava
Perfino i tuoi difetti più bizzarri,
Spegnendo nei miei occhi che t'amava-
No tanto quella luce di cui pure
Brillavi, illuminata dai miei versi.
Ma a nulla servirà questo pensiero:
Soltanto a poter piangere quel tuo
Rifiuto del mio amore, che di certo
Per te non tornerà mai più, perduto.
venerdì 10 giugno 2011
Ombre antiche sul presente: arti magiche - ultima parte
Con parecchio ritardo rispetto a quanto avevo previsto, complici problemi di salute, studio e scarsa voglia, ecco qui l'ultima parte del capitolo di Ombre antiche sul presente dedicato alla magia.
L'enigma della magia spiritica
Secondo le antiche religioni, la vita degli uomini non terminerebbe con la morte del corpo, e ogni individuo proseguirebbe la propria esistenza in una nuova forma spirituale anche dopo la sua scomparsa dal mondo materiale. Le diverse religioni attribuivano diversi significati e diverse caratteristiche a questa nuova vita “spirituale”, ma ben pochi teologi avevano realmente idea della reale natura di tale “esistenza”.
Se è vero che tutta la vita del mondo viene sostenuta dall'energia immateriale del caos, infatti, è altrettanto vero che, dopo la morte dei suoi ricettacoli, tale energia torna a fluire nella dimensione dove era localizzata in passato, trascinando con sé anche parte delle memorie dei corpi abitati -assieme a ciò che alcuni potrebbero chiamare “anima” di tali corpi. Questa verità, tuttavia, non ha mai avuto nessuna applicazione esoterica su larga scala, quantomeno non prima della grande devastazione seguite all'avvento del caos. È probabile che, in precedenza, alcuni rari individui avessero già sviluppato delle doti particolari grazie alle quali riuscivano a entrare in contatto con le “anime” dei trapassati, ma il loro talento sarebbe sembrato ben poca cosa davanti a ciò che sarebbe venuto.
Fu solo in seguito alla scomparsa degli “dei” che gli uomini, alla ricerca come sempre di una speranza di superare la morte, “scoprirono” il mondo degli spiriti. Di sicuro, in ciò ebbe un grosso peso la compenetrazione fra universo immateriale e universo materiale, in virtù della quale gli individui più sensibili ebbero modo di trovarsi letteralmente “faccia a faccia” con la dimensione eterea. Col passare degli anni tali conoscenze si diffusero, e in certi rifugi non è raro che venga professata una vera e propria fede negli spiriti degli antenati, visti come guardiani dei viventi e compagni dei deceduti.
Ma la magia spiritica vera e propria resta al di là della portata della maggior parte degli individui. Di fatto, l'unico culto spiritico realmente sviluppato è quello di cui fanno parte i membri di una frangia estremista dei guerrieri-stregoni di Daiva, soldati che traggono potere dalle anime dei loro predecessori dopo aver rinnegato la stregoneria per non avere più nulla che li accomunasse ai traditori. Come già accennato, i membri di tale culto non si rivolgono agli spiriti dei propri antenati, bensì a quelli dei più grandi fra i loro commilitoni caduti. Una antica tradizione vuole che gli sciamani veri e propri all'interno del culto siano in numero limitato, e che si tramandino fra loro le stesse armature; i loro spiriti guida non sono infatti delle comuni apparizioni, bensì le anime dei confratelli che prima di loro hanno indossato tali armature, in un vincolo che cementa la reciproca unione e il forte tradizionalismo del culto.
Anziché spiriti antenati, tali guerrieri-stregoni invocano gli spiriti dei campioni del passato, o talvolta di quei compagni d'armi che si distinsero in passato per doti particolari. In termini di gioco, questi ultimi spiriti si comportano esattamente come gli spiriti guardiani e come gli spiriti naturali, i secondi legati sempre e solo alla runa dell'uomo e mai a quella animale o vegetale. I membri del culto non fanno mai ricorso agli spiriti malanni o maledetti, e aborriscono sopra ogni cosa gli spiriti flagello.
Non così fanno invece quei rari dilettanti che, per virtù o mera casualità, hanno modo di imbrigliare potenti energie spirituali. Nelle aree contaminate dal caos, infatti, esistono delle zone dove la compenetrazione fra materiale e immateriale è talmente intima che perfino un profano è in grado di vedere gli spiriti -e di esserne visto- senza bisogno di cadere in trance. In una simile situazione, anche un semplice dilettante della magia spiritica è in grado di comunicare con gli spiriti e di proiettare la propria anima nel piano spiritico, proprio come se fosse uno sciamano vero e proprio. I medium più accorti rifuggono da tali luoghi, nei quali la presenza di spiriti d'ogni tipo rappresenta un pericolo concreto; tuttavia, non è raro che una tribù di mutati guidata da un incantatore spiritico particolarmente ambizioso e potente si insedi proprio in un posto del genere, considerato spesso un vero e proprio luogo santo benedetto dal caos.
La magia spiritica, in ogni caso, non è esente da rischi: in virtù di quello stesso caos che l'ha resa accessibile ai mortali, la dimensione spiritica è ormai ricolma di spiriti flagello. Tipicamente, essi tendono a ignorare le creature viventi, ma si accaniscono con crudeltà contro chiunque entri nel piano spirituale e non sia abbastanza abile da mascherare la propria presenza. Ogniqualvolta uno sciamano effettua un prova di Sentiero Spiritico, egli deve contestualmente effettuare una prova di Tempra; in caso di fallimento, avrà rivelato la sua posizione a uno o più spiriti flagello, che si affretteranno ad attaccarlo. Il numero esatto degli aggressori dipende dalla zona specifica, ed è maggiore nelle aree più contaminate dal caos; non è raro che uno sciamano troppo avventato trovi la morte proprio così, con l'anima annichilita da quegli spiriti che cercava di controllare.
L'enigma della magia spiritica
Secondo le antiche religioni, la vita degli uomini non terminerebbe con la morte del corpo, e ogni individuo proseguirebbe la propria esistenza in una nuova forma spirituale anche dopo la sua scomparsa dal mondo materiale. Le diverse religioni attribuivano diversi significati e diverse caratteristiche a questa nuova vita “spirituale”, ma ben pochi teologi avevano realmente idea della reale natura di tale “esistenza”.
Se è vero che tutta la vita del mondo viene sostenuta dall'energia immateriale del caos, infatti, è altrettanto vero che, dopo la morte dei suoi ricettacoli, tale energia torna a fluire nella dimensione dove era localizzata in passato, trascinando con sé anche parte delle memorie dei corpi abitati -assieme a ciò che alcuni potrebbero chiamare “anima” di tali corpi. Questa verità, tuttavia, non ha mai avuto nessuna applicazione esoterica su larga scala, quantomeno non prima della grande devastazione seguite all'avvento del caos. È probabile che, in precedenza, alcuni rari individui avessero già sviluppato delle doti particolari grazie alle quali riuscivano a entrare in contatto con le “anime” dei trapassati, ma il loro talento sarebbe sembrato ben poca cosa davanti a ciò che sarebbe venuto.
Fu solo in seguito alla scomparsa degli “dei” che gli uomini, alla ricerca come sempre di una speranza di superare la morte, “scoprirono” il mondo degli spiriti. Di sicuro, in ciò ebbe un grosso peso la compenetrazione fra universo immateriale e universo materiale, in virtù della quale gli individui più sensibili ebbero modo di trovarsi letteralmente “faccia a faccia” con la dimensione eterea. Col passare degli anni tali conoscenze si diffusero, e in certi rifugi non è raro che venga professata una vera e propria fede negli spiriti degli antenati, visti come guardiani dei viventi e compagni dei deceduti.
Ma la magia spiritica vera e propria resta al di là della portata della maggior parte degli individui. Di fatto, l'unico culto spiritico realmente sviluppato è quello di cui fanno parte i membri di una frangia estremista dei guerrieri-stregoni di Daiva, soldati che traggono potere dalle anime dei loro predecessori dopo aver rinnegato la stregoneria per non avere più nulla che li accomunasse ai traditori. Come già accennato, i membri di tale culto non si rivolgono agli spiriti dei propri antenati, bensì a quelli dei più grandi fra i loro commilitoni caduti. Una antica tradizione vuole che gli sciamani veri e propri all'interno del culto siano in numero limitato, e che si tramandino fra loro le stesse armature; i loro spiriti guida non sono infatti delle comuni apparizioni, bensì le anime dei confratelli che prima di loro hanno indossato tali armature, in un vincolo che cementa la reciproca unione e il forte tradizionalismo del culto.
Anziché spiriti antenati, tali guerrieri-stregoni invocano gli spiriti dei campioni del passato, o talvolta di quei compagni d'armi che si distinsero in passato per doti particolari. In termini di gioco, questi ultimi spiriti si comportano esattamente come gli spiriti guardiani e come gli spiriti naturali, i secondi legati sempre e solo alla runa dell'uomo e mai a quella animale o vegetale. I membri del culto non fanno mai ricorso agli spiriti malanni o maledetti, e aborriscono sopra ogni cosa gli spiriti flagello.
Non così fanno invece quei rari dilettanti che, per virtù o mera casualità, hanno modo di imbrigliare potenti energie spirituali. Nelle aree contaminate dal caos, infatti, esistono delle zone dove la compenetrazione fra materiale e immateriale è talmente intima che perfino un profano è in grado di vedere gli spiriti -e di esserne visto- senza bisogno di cadere in trance. In una simile situazione, anche un semplice dilettante della magia spiritica è in grado di comunicare con gli spiriti e di proiettare la propria anima nel piano spiritico, proprio come se fosse uno sciamano vero e proprio. I medium più accorti rifuggono da tali luoghi, nei quali la presenza di spiriti d'ogni tipo rappresenta un pericolo concreto; tuttavia, non è raro che una tribù di mutati guidata da un incantatore spiritico particolarmente ambizioso e potente si insedi proprio in un posto del genere, considerato spesso un vero e proprio luogo santo benedetto dal caos.
La magia spiritica, in ogni caso, non è esente da rischi: in virtù di quello stesso caos che l'ha resa accessibile ai mortali, la dimensione spiritica è ormai ricolma di spiriti flagello. Tipicamente, essi tendono a ignorare le creature viventi, ma si accaniscono con crudeltà contro chiunque entri nel piano spirituale e non sia abbastanza abile da mascherare la propria presenza. Ogniqualvolta uno sciamano effettua un prova di Sentiero Spiritico, egli deve contestualmente effettuare una prova di Tempra; in caso di fallimento, avrà rivelato la sua posizione a uno o più spiriti flagello, che si affretteranno ad attaccarlo. Il numero esatto degli aggressori dipende dalla zona specifica, ed è maggiore nelle aree più contaminate dal caos; non è raro che uno sciamano troppo avventato trovi la morte proprio così, con l'anima annichilita da quegli spiriti che cercava di controllare.
giovedì 9 giugno 2011
Haiku di inizio giugno
Grosse novità in vista: sono al lavoro su un nuovo metro, o meglio su una nuova applicazione dell'endecasillabo.
Sto anche continuando, un po' a rilento, a lavorare al nuovo componimento lungo di stampo fantasy. Insomma, c'è molta carne al fuoco, e non dovrebbe bruciarsene troppa.
Intanto, ecco qualche haiku composto di recente.
Pioggia notturna
Scomparsa come neve al
Sole di giugno.
Caldo che fiacca
Le membra, venti freddi
Nell'aria estiva.
Vita che muore
Nel giallo dei miei campi, e
Frutti maturi.
Verde, l'ulivo
Dalla forte corteccia
Svetta, sovrano.
Bianco il castello,
Velato dalle nubi,
Specchio di luce.
Sto anche continuando, un po' a rilento, a lavorare al nuovo componimento lungo di stampo fantasy. Insomma, c'è molta carne al fuoco, e non dovrebbe bruciarsene troppa.
Intanto, ecco qualche haiku composto di recente.
Pioggia notturna
Scomparsa come neve al
Sole di giugno.
Caldo che fiacca
Le membra, venti freddi
Nell'aria estiva.
Vita che muore
Nel giallo dei miei campi, e
Frutti maturi.
Verde, l'ulivo
Dalla forte corteccia
Svetta, sovrano.
Bianco il castello,
Velato dalle nubi,
Specchio di luce.
domenica 5 giugno 2011
Due componimenti brevi
Mentre aspetto che mi ritorni l'ispirazione per il materiale gidierristico dedicato a RuneQuest, e mentre sto pian piano lavorando su una poesia abbastanza lunga, vi allieto la domenica con due brevi componimenti.
Il primo l'ho scritto un paio di settimane fa, mentre il secondo è figlio di un'ispirazione momentanea di ieri.
Sono soltanto una misera foglia,
Dal vento crudele
Sempre sbattuta fra mille correnti,
Fra nuvole e tuoni,
Lampi incessanti dei quali anche il cielo
Splendente ha timore. E
Quando talvolta si placa l'affanno
Dei venti malvagi,
Cado anelando quel cielo ove ancora
Le foglie brillanti
Danzano, avvolte in abbracci di luce
Dal sole nascente.
Io, che compongo coi metri d'antichi
Maestri dell'arte,
Resto da solo, nel vuoto d'un giorno
Sprecato a far nulla.
Solo coi mille pensieri funesti
Che porta la notte,
Nera latrice d'inganni e di sogni
Già morti al mattino.
Il primo l'ho scritto un paio di settimane fa, mentre il secondo è figlio di un'ispirazione momentanea di ieri.
Sono soltanto una misera foglia,
Dal vento crudele
Sempre sbattuta fra mille correnti,
Fra nuvole e tuoni,
Lampi incessanti dei quali anche il cielo
Splendente ha timore. E
Quando talvolta si placa l'affanno
Dei venti malvagi,
Cado anelando quel cielo ove ancora
Le foglie brillanti
Danzano, avvolte in abbracci di luce
Dal sole nascente.
Io, che compongo coi metri d'antichi
Maestri dell'arte,
Resto da solo, nel vuoto d'un giorno
Sprecato a far nulla.
Solo coi mille pensieri funesti
Che porta la notte,
Nera latrice d'inganni e di sogni
Già morti al mattino.
giovedì 2 giugno 2011
Alcuni haiku "ritardatari"
Causa problemi di salute vari, sono rimasto un po' indietro rispetto alla tabella di marcia che mi ero imposto, sia coi lavori ludici che con gli aggiornamenti del blog.
Ed è per via di questo ritardo che pubblico solo ora questi haiku, risalenti alla seconda metà del mese appena concluso.
Noterete che il primo contiene una palese citazione da un grande del ventesimo secolo.
Nubi di polli-
Ni i tuoi dolci sospiri,
Grano i capelli.
Luce del sole
Come un tiepido abbraccio,
Brividi a maggio.
Carni scoperte,
Prede che s'offron liete,
Caccia d'amore.
Freddo mattino
Di cieli grigi e vento.
Sole bugiardo.
Ed è per via di questo ritardo che pubblico solo ora questi haiku, risalenti alla seconda metà del mese appena concluso.
Noterete che il primo contiene una palese citazione da un grande del ventesimo secolo.
Nubi di polli-
Ni i tuoi dolci sospiri,
Grano i capelli.
Luce del sole
Come un tiepido abbraccio,
Brividi a maggio.
Carni scoperte,
Prede che s'offron liete,
Caccia d'amore.
Freddo mattino
Di cieli grigi e vento.
Sole bugiardo.
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