lunedì 2 giugno 2014

Tre haiku

Il "progresso poetico", alla fin fine, va di pari passo con lo scrivere sempre meno: superare la fase del "qualsiasi cosa io scriva è troppo figa", addentrarsi oltre i cancelli del "più scrivo e meglio è", apprezzare il valore aggiunto di un verso sedimentato... e si spera, prima o poi, che questa abitudine acquisita allo scrivere (si spera!) meglio porti allo scrivere meglio senza divenire poetastri troppo afasici.
Non so se sono arrivato già alla fase dello scrivere meglio, di certo sono sono ancora in preda a una discreta "afasia poetica" dato quanto poco mi riesce di scrivere e "sistemare".


Intempestato
Giorno, cala una notte
Orba di luna.

Qui, lo ammetto, c'è il latinismo e anche in forma ampliata; magari non tanto attestato in Italiano, ma di certo preferibile al dannatamente banale "tempestoso"; e c'è anche un giochino ai limiti dell'ellenistico, in quanto solitamente a essere definita intempesta (o intempestata) era la notte, non il giorno.


In questo azzurro
Ali nere in volteggi
Senza confini.

L'idea originale, qui, era chiudere col verso "senza fine"; ma, sfortunatamente, l'accento cadeva sulla terza e non sulla quarta sillaba. Avrei potuto aggiungere l'articolo magari, e trasformarlo in "senza una fine", ma l'effetto sarebbe stato molto meno incisivo e avrebbe smorzato il nesso su cui tanto puntavo come chiusura della poesia; in definitiva, "senza confini" richiamava lo stesso concetto e per comune terminazione si associava ai volteggi del verso precedente.
Un secondo problema che ho affrontato per questa poesia è stato quello relativo alla ripetizione della preposizione "in". Scrivere "ali nere, volteggi" non mi andava bene: avrebbe distinto in due momenti l'immagine mentale degli uccelli in volo, mentre la percezione era stata continua - avevo preso coscienza delle ali degli uccelli mentre vedevo il loro volteggiare, senza alcuna soluzione di continuità. Ho provato dunque diverse soluzioni per eliminare la preposizione iniziale, ma nessuna era d'effetto come quella che alla fine ho scelto di mantenere. Perché, dopotutto, la sensazione che ho cercato di porre in versi è stata quella di alzare lo sguardo e, aguzzando la vista da fotofobico, vedere le sagome degli uccelli stagliate contro il cielo terso; il doppio "in", pur essendo una fastidiosa ripetizione, rende bene l'idea di questo aguzzare lo sguardo.


Di nuovo, ancora
Quel sapore perduto,
Notti d'estate.

Avrei voluto che il sapore fosse "dimenticato" anziché "perduto", ma la metrica era stringente: un gusto si sarebbe potuto dimenticare, non un sapore. Il sapore si poteva perdere o scordare, ma il "sapore scordato" era, oggettivamente, inascoltabile. Sì, l'avrei anche potuto obliare, ma l'effetto sarebbe stato troppo straniante: volevo un lessico tutto sommato quotidiano, che richiamasse l'idea di un qualcosa non raro e sfuggevole di sé quanto piuttosto messo troppo a lungo da parte.


PS: che stia percorrendo la via dello "scrivere meno, lavorarci di più" me lo conferma il fatto che per una cinquantina di sillabe stiracchiate abbia scritto righe su righe di giustificazione delle diverse scelte.

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