Ultimamente mi son dedicato prevalentemente ai miei distici, trascurando le altre forme di poesia che mi stavo abituando a praticare. E' per questo motivo che nelle ultime settimane ho deciso di darmi un po' da fare con gli haiku, tirando fuori questa serie di componimenti brevi.
E, visto che ci sono, ho deciso che spiegherò brevemente le circostanze di nascita di ciascuno di essi.
Il primo risale a uno spunto di qualche anno fa, che avevo già messo in versi in passato ma al quale ho preferito dare una nuova forma di haiku, dato il suo carattere di impressione momentanea. E per la cronaca gli occhi in questione erano assonnati per la sveglia alle sei e sono stati appena scorti in un pullman strapieno, ma il bello della poesia è la sua capacità di mascherare ed eternare anche i momenti di più assurda banalità.
"Banalità" che trionfa nella seconda e nella terza poesia; la seconda fa riferimento specificamente a una tecnica pittorica, la terza al mitologico amore fra terra e cielo sotto forma di pioggia.
La quarta poesia, invece, fa riferimento a una brutta situazione, durata alcuni giorni, nella quale mi son trovato qualche settimana fa. Ne sono uscit, ma in principio ero veramente così abbattuto che neppure un tuono mi avrebbe scosso.
Il quinto e il sesto haiku fanno sia riferimento a quello stato interiore, sia alla mia situazione sentimentale "deamorosa": anche la rugiada ghiaccia in brina se la notte è gelida, e anche un cristallo che pensiamo esser duro e resistente, formato dal gelo, va facilmente in frantumi.
Ma con il settimo haiku, composto quando ho risolto il problema universitario che tanto mi stava facendo penare, ho cercato di fissare la gioia che veramente sentivo in quel momento nell'animo.
Peccato che poi gli altri problemi, svanita l'euforia, mi siano tornati in mente. Da qui l'ottavo e il nono haiku, metafore naturalistiche di come una volta tramontato il sole del momento di gioia serva veramente un'altra luce per non gelare di solitudine.
La decima poesia, prettamente naturalistica, è nata semplicemente osservando alcuni fiori caduti a terra durante la pioggia della notte precedente; e, riflettendo sulle differenze fra quei bouganville e quelli che, sempre a terra, vedo ogni estate, è nato l'undicesimo haiku.
Anche il dodicesimo è derivato semplicemente dall'osservazione di un esile ramo di quercia, strappato dal vento, ai piedi della pianta, mentre nel tredicesimo ho unito all'esperienza visiva della passiflora, rampicante tenacissimo e infestante ma quanto mai discreto in inverno, l'idea di un'altra passione che allo stesso modo si ferma, pur volendo effondersi in mille abbracci, in attesa della primavera.
E, visto che ci sono, ho deciso che spiegherò brevemente le circostanze di nascita di ciascuno di essi.
Il primo risale a uno spunto di qualche anno fa, che avevo già messo in versi in passato ma al quale ho preferito dare una nuova forma di haiku, dato il suo carattere di impressione momentanea. E per la cronaca gli occhi in questione erano assonnati per la sveglia alle sei e sono stati appena scorti in un pullman strapieno, ma il bello della poesia è la sua capacità di mascherare ed eternare anche i momenti di più assurda banalità.
"Banalità" che trionfa nella seconda e nella terza poesia; la seconda fa riferimento specificamente a una tecnica pittorica, la terza al mitologico amore fra terra e cielo sotto forma di pioggia.
La quarta poesia, invece, fa riferimento a una brutta situazione, durata alcuni giorni, nella quale mi son trovato qualche settimana fa. Ne sono uscit, ma in principio ero veramente così abbattuto che neppure un tuono mi avrebbe scosso.
Il quinto e il sesto haiku fanno sia riferimento a quello stato interiore, sia alla mia situazione sentimentale "deamorosa": anche la rugiada ghiaccia in brina se la notte è gelida, e anche un cristallo che pensiamo esser duro e resistente, formato dal gelo, va facilmente in frantumi.
Ma con il settimo haiku, composto quando ho risolto il problema universitario che tanto mi stava facendo penare, ho cercato di fissare la gioia che veramente sentivo in quel momento nell'animo.
Peccato che poi gli altri problemi, svanita l'euforia, mi siano tornati in mente. Da qui l'ottavo e il nono haiku, metafore naturalistiche di come una volta tramontato il sole del momento di gioia serva veramente un'altra luce per non gelare di solitudine.
La decima poesia, prettamente naturalistica, è nata semplicemente osservando alcuni fiori caduti a terra durante la pioggia della notte precedente; e, riflettendo sulle differenze fra quei bouganville e quelli che, sempre a terra, vedo ogni estate, è nato l'undicesimo haiku.
Anche il dodicesimo è derivato semplicemente dall'osservazione di un esile ramo di quercia, strappato dal vento, ai piedi della pianta, mentre nel tredicesimo ho unito all'esperienza visiva della passiflora, rampicante tenacissimo e infestante ma quanto mai discreto in inverno, l'idea di un'altra passione che allo stesso modo si ferma, pur volendo effondersi in mille abbracci, in attesa della primavera.
Ammiro, ardendo
Di un'insana passione,
Occhi di brace.
Un velo grigio
Le nubi, pennellate
D'acqua sul sole.
Dolce carezza
L'erba sottile, bacia
La terra amata.
Lampi distanti:
Ormai neppure il tuono
Mi dona nulla.
E la rugiada
Si gela in brina in queste
Notti crudeli.
Rigido, saldo,
Un cristallo di ghiaccio
Fragile in cuore.
Svanite, nubi:
Oggi risplendo come
Sole tenace.
Ma poi nel buio,
Costante, ad ogni sera,
Sprofonda il sole.
Oggi non sorge
La luna, resto solo
Nel buio, al freddo.
Bouganville tenui,
Come un bacio di viola
Perso nel fango.
Bouganville tenui,
Come un manto di viola
Nel suolo fesso.
Ramo di quercia.
Cadde a terra, col vento,
L'esile prole.
La passiflora,
L'abbraccio trattenuto,
Ferma, in attesa.