Chi segue le poesie sul blog se ne deve essere reso conto: da troppo tempo pubblico quasi solo quelli che ho con un po' di boria battezzato "distici esametrici", un endecasillabo e un senario con schemi di accenti fissi che ricalcano la struttura metrica dell'endecasillabo olodattilico della metrica classica.
Qualche giorno fa stavo lavorando a delle poesie per un concorso, risistemandone un paio di qualche tempo fa; in tale occasione mi sono accorto di come tantissimi versi fossero completamente accessori, semplici orpelli inutili messi lì solo per fare da contesto a una parola che non rientrava nel metro e attorno a cui dovevo costruire tutto un distico.
E ho iniziato a pensare che forse il mio fiero "distico esametrico" (troppo fiero, troppo borioso già nel nome) è di sicuro una importante conquista personale, ma che alla fine è diventato anche un limite oltre il quale non sono voluto andare. Ho scelto di abbandonare il metro libero, visto come troppo facile da comporre, e l'endecasillabo canonico, visto come troppo restrittivo, ma alla fine mi sono creato una gabbia metrica personale in cui stavo finendo per rinchiudere ogni poesia.
Bisogna che mi dia da fare a riguardo, bisogna che il processo di maturazione continui e che sviluppi meglio le mie potenzialità, senza accontentarmi di fare quel che so già fare ma provando a far meglio quel che non ho ancora tentato come si deve.
Devo destrutturare il mio modo di far poesia, e quasi per gioco da questa riflessione è nata una poesia.
Davvero ho infranto le
catene d'altri,
Quei vetusti retaggi
ammuffiti,
Per aggiogarmi poi da
solo
Con nuove catene
antiche?
Davvero la conquista
Di cui vado fiero
È nulla, un nulla
Celebrato
E vuoto?
Questo
Mi
Chiedo,
Se forse
M'ha rinchiuso
Il troppo orgoglio
Dentro qualche gabbia
Di versetti serrati,
Tutta intarsiata
d'accenti
Disposti secondo uno
schema
Antico, sterile,
ammutolito.
L'arte mi elude,
inganno di superbia.
Una poesia molto diversa dalle solite. Non la considero un punto d'arrivo, ma un punto di partenza giocoso: devo destrutturare il mio verso, e perciò parto dall'endecasillabo per arrivare a un verso di una sola sillaba e poi tornare indietro. C'è spazio per il mio metro personale ("tutta intarsiata d'accenti/disposti secondo uno schema" - la struttura ritmica è quella), ma ormai esso non ha niente da dire. E forse posso recuperare, nel mio cercare di andare avanti come poetastro, anche quelle forme del fare poesia che tanto snobbavo. Lo dimostra bene l'endecasillabo finale, perfettamente canonico e a norma, come non ne scrivevo più da anni.
La poesia a questo punto poteva quasi essere un carme figurato: una clessidra, che rappresenta bene come il tempo debba scorrere e trascorrere, portando a qualcosa di migliore rispetto al passato anche grazie alle innegabili strettoie che bisogna affrontare e superare.
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