Domenica 18 gennaio, a quasi un mese dalla precedente, abbiamo giocato la settima partita con la quinta edizione.
Sì, quasi un mese. Molto fastidioso alquanto, per dirla tutta, il non aver quasi giocato durante le vacanze.
Ma al diavolo, parliamo della partita giocata, non del non giocato.
A proposito di partita: durante questa sessione ho provato a implementare alcuni aggeggi per dare un supporto più tangibile a diversi aspetti della partita, seguendo i consigli di altri appassionati. Il gruppo ha approvato i regoli per rappresentare gli slot di incantesimi e il dado ispirazione conferito sotto forma di d20 vero e proprio, mentre non tutti hanno trovato carini i fogli-contenitore a forma di contenitore. Le fiches da usare come indicatore di punti vita/ferita, infine, sono state rifiutate in toto: pare che del gruppo di giocatori io sia l'unico che con un colpo d'occhio riesce a fare somme di questo tipo. E sono quello che fa lettere classiche. La matematica è morta signori miei, morta.
Questa era l'introduzione che avevo scritto più o meno un mesetto fa, quando mi accingevo a pubblicare il riassunto della settima partita; sta di fatto che non l'ho fatto, che il non riuscire a giocare mi ha rotto le scatole, che ho avuto da fare con i miei doveri, che alla fine un giocatore ha anche mollato il gruppo e bla bla bla.
Sta di fatto che sono indietro di non una, non due ma tre sessioni, e che a questo punto per rimettermi in pari (oltre che per l'essermi dimenticato io stesso diversi particolari) anziché le narrazioni a cui vi ho abituati pubblicherò delle sintesi delle avventure.
Questa era l'introduzione che avevo scritto più o meno un mesetto fa, quando mi accingevo a pubblicare il riassunto della settima partita; sta di fatto che non l'ho fatto, che il non riuscire a giocare mi ha rotto le scatole, che ho avuto da fare con i miei doveri, che alla fine un giocatore ha anche mollato il gruppo e bla bla bla.
Sta di fatto che sono indietro di non una, non due ma tre sessioni, e che a questo punto per rimettermi in pari (oltre che per l'essermi dimenticato io stesso diversi particolari) anziché le narrazioni a cui vi ho abituati pubblicherò delle sintesi delle avventure.
ATTO VII
Nete si sta ancora chinando su Quarion per curare l'orribile ferita che gli attraversa il volto mentre Shamash, rapito dal suo filo impeccabile e dal perfetto bilanciamento della lama, si china ad afferrare la spada del possente troglodita, di cui tante volte ha sofferto i morsi nelle ultime ore.
Purtroppo non c'è più niente da fare per l'occhio sinistro del mezzelfo, ma nondimeno gli Eroi Di Pontenuovo ne sono usciti vincitori e hanno ottenuto un bottino di tutto rispetto: oltre alla spada del combattente avversario, infatti, i nostri mettono le mani su una strana corda intessuta in tela di ragno e su una pergamena nella quale pare essere descritto, in elfico, il processo per creare delle pozioni curative.
Dopo un rapido riposo i nostri finiscono di esplorare la caverna, trovandola molto piccola e priva di cose interessanti - fatto salvo un precipizio del quale non si scorge il fondo, un passaggio per il Sottomondo dal quale probabilmente sono passati i trogloditi. Nel frattempo il guerriero ha deciso di fare sua la strana spada, o meglio di farsi suo; nel corso del riposo stabilisce un vincolo con la prodigiosa arma, un vincolo che non sarà scevro di ripercussioni...
Uscendo dalla grotta, gli avventurieri si mettono a seguire a ritroso le proprie tracce; fino a che non prende a sollevarsi una fitta nebbia, una nebbia così fitta che ben presto hanno difficoltà a vedere a un palmo dal proprio naso. Si accorgono ben presto che, assieme alla nebbia, sono giunte delle nuvole cariche di neve, molto cariche di neve dato che in breve tempo tutto il suolo è ricoperto da un candido e soffice manto.
Poi, quando finalmente la nebbia si abbassa, i nostri si trovano in una foresta molto diversa da quella in cui stavano camminando in precedenza: pini e abeti hanno preso il posto dei larici e delle querce, e la neve copre letteralmente ogni cosa.
Grande è lo smarrimento degli avventurieri, e la contessina Nete si lascia prendere dal panico: è chiaro che il gruppo non è più nel Bosco Selce, ma dove sono finiti?
Dopo essersi mossi a lungo senza uno scopo apparente, i nostri decidono di arrampicarsi su un albero per controllare la situazione dall'alto. E così scoprono di essere letteralmente circondati da conifere innevate, persi in una valle delimitata da alti picchi e da un ampio fiume sorgivo che parte da essi; nebbie circondano tutta la zona, mascherando i dettagli, e il fiume sembra perdersi in esse.
Mappa alla mano, gli avventurieri capiscono di non riuscire a capire dove accidenti sono finiti. Pensano di essere oltre le Montagne Del Tramonto (che a occidente vengono chiamate Monti Dell'Alba), l'ampia catena montuosa al di là della quale sorge il bosco abitato dagli elfi. Ma è un'ipotesi senza troppi dati certi, dato che la posizione del sole non coincide affatto con quella che sarebbe plausibile. Alla fine il gruppo si decide a raggiungere il fiume e a seguirne il corso, intabarrato nelle coperte e nei mantelli per patire meno i morsi del gelo.
Per ore il gruppo non sembra imbattersi in nessuna creatura vivente. Risuona ogni tanto qualche ululato lontano, ma il problema maggiore sembra essere il fischiare del vento.
Vento che si fa sempre più forte, fino a che non appare chiaro che si sta avvicinando una tormenta di neve! Il dragonide prende in mano la situazione e, forte delle sue esperienze precedenti, riesce a costruire un riparo di fortuna sotto il quale i nostri si nascondono fino a che non passa la tormenta.
Ma, subito dopo, i nostri devono vedersela con una nuova minaccia; perché i tre non fanno in tempo a uscire dal riparo di fortuna che subito sentono ululati minacciosi provenire da ogni lato.
I lupi che si avvicinano sembrano più ferali persino di quelli incontrati due settimane prima a Ponte Nuovo: non sembrano temere niente e nessuno, e attaccano in branco con ferocia. I nostri ne hanno ragione, ma non senza subire qualche ferita che li obbliga a un ulteriore riposo forzato. (1)
Particolarmente inquietante è il fatto che la nuova arma di Shamash sembri essere dotata di una volontà propria, una volontà sanguinaria e vendicativa che, durante lo scontro, sembra quasi imporgli di attaccare l'avversario che di volta in volta l'ha colpito più di recente.
Intanto però gli avventurieri sono giunti in una zona dove gli alberi sono diradati, e iniziano ad avvicinarsi al corso del fiume. Superati i monti, il corso d'acqua si fa relativamente placido, ma i vapori che emergono da una certa zona rendono difficile determinarne il tragitto oltre quel punto; forse in esso affluisce una sorgente termale, una sorgente d'acqua calda nella quale trovare ristoro dal gelo invernale decisamente fuori luogo in quello che dovrebbe essere un autunno neanche troppo inoltrato.
Usciti dal fitto del bosco i nostri si imbattono però in un secondo gruppo, ugualmente diretto verso il fiume. Trattasi di una banda di umani nei quali tutto, dalle rozze pellicce indossate fino al puzzo emanato, dai denti marci alle barbe incolte, sembra urlare "selvaggi". I nuovi arrivati puntano le loro lance in ossidiana contro gli avventurieri, intimando loro la resa; sembrano particolarmente sospettosi nei confronti di Quarion, ma la cosa veramente strana è che parlano una variante arcaica e rozza, ma pur sempre riconoscibile, della lingua infernale! (2)
Nete, diplomatica e carismatica, riesce a calmare gli animi dei nuovi arrivati e a carpire diverse informazioni. Salta fuori che si tratta di un gruppo di cacciatori, provenienti dal villaggio su palafitte costruito là dove le acque del fiume si riscaldano; sul villaggio comanda il Figlio Di Padre Lupo, ed è Padre Lupo il signore di queste terre. Egli comanda appunto su tutti i lupi, ed è solo grazie ai ciuffi della sua pelliccia che portano al collo che i cacciatori non vengono attaccati dai canidi. Nondimeno, Padre Lupo non è un sovrano benevolo e anzi la sua furia selvaggia si abbatte su tutti gli abitanti della valle, umani ed elfi in pari misura; elfi, sì, perché nel bosco abita una tribù di elfi selvaggi da sempre in guerra con gli umani delle palafitte.
Questo è il motivo per il quale i selvaggi ce l'hanno con Quarion, ma non è che l'infernale e il dragonide siano loro molto graditi; pensano anzi che sia il caso di condurli al villaggio, dove il Figlio Di Padre Lupo deciderà che fare di loro. Molto probabilmente verranno costretti a battersi con lui nell'arena, e se sopravviveranno avranno salva la vita.
Inutile dire che il guerriero dà di matto davanti a questa prospettiva: gli animi si erano calmati, ma subito Shamash dà inizio a uno scontro e i suoi compagni sono lesti a venirgli dietro, uccidendo subito e molto silenziosamente i nemici prima di giungere in vista del villaggio. Dai loro corpi sudici vengono raccolte solo le collane col pelo di Padre Lupo, che potrebbero rivelarsi utili in futuro.
Ma si è fatta sera, e i nostri sono stanchi, infreddoliti e feriti. Raccolta un po' di legna da terra, viene acceso un falò con la magia e, dopo un rapido pasto, i nostri stabiliscono i turni di guardia e si mettono a dormire. I feticci dei selvaggi sembrano funzionare, in quanto durante la notte alcuni lupi si avvicinano per poi allontanarsi non appena il dragonide mostra loro il ciuffo di peli.
Tuttavia durante l'ultimo turno di guardia, quando manca ormai poco all'alba, la nebbia si alza nuovamente...
... e quando il sole del mattino disperde le ultime nebbie i nostri si trovano nuovamente là dove erano partiti, a Bosco Selce. Grande è l'incertezza, grande lo sgomento, grande la paura che sia accaduto chissà cosa.
Tornati in fretta nel luogo in cui avevano lasciato Gimble e Caterina, poi, gli avventurieri sono alquanto scioccati nello scoprire che sono trascorse solo un paio d'ore da che si sono allontanati: l'intera giornata precedente, stando ai loro compagni di viaggio, non si è mai verificata.
I tre tengono per sé il segreto di quanto è accaduto, cercando di confinare quella strana esperienza in un angolo della propria mente. Dopotutto mancano ancora pochi giorni per giungere a Lusna, e già alla mattina successiva i nostri arrivano in vista del fiume che stabilisce i confini settentrionali di Bosco Selce.
Il sentiero procede su un ponte, ma tale ponte è bloccato da tre figure, tre umanoidi con le corna e con zampe di capro in luogo delle gambe. Trattasi di tre satiri, di cui uno porta un braccio fasciato e un altro ha in mano un flauto a siringa. Guardinghi, i nostri si avvicinano mentre gli esseri fatati fanno commenti per niente ambigui ma anzi molto espliciti sulle grazie di Nete e Caterina.
In breve, i tre richiedono un pur modesto pedaggio per l'attraversamento del ponte, pedaggio che naturalmente gli avventurieri non sono disposti a pagare. La situazione si fa tesa quando Shamash propone di ricorrere alle armi, supportato da Quarion, e il disprezzo con cui Nete sta per liquidare la rustica musica dei satiri scompare quando le melodie della loro siringa la affascinano fin nel profondo.
Sembra quasi che si stia per arrivare allo scontro, ma per fortuna la buona musica è un terreno comune in cui tutti i bipedi in questione riescono a ritrovarsi, e così calmati gli animi i satiri spiegano il perché del loro comportamento: hanno bisogno di mettere da parte una buona cifra di denaro per pagare un corista di Lusna che venga a curare Fiordiquercia, la driade del boschetto vicino, che misteriosamente è impazzita. D'improvviso, la mattina prima, è impazzita ha diretto le piante del bosco contro i suoi amici satiri (da qui il braccio rotto di uno di essi). Ricorrere alla magia degli dei sembrava ai tre il miglior piano d'azione, ma sfortunatamente non sono ancora riusciti a mettere da parte neppure una moneta d'oro per pagare le cure della loro bella.
Con un lampo di genio, propongono agli avventurieri una lauta ricompensa se riusciranno a far ritornare in sé la bella signora del bosco. E il gruppo, per quanto il dragonide sia dubbioso, accetta.
L'allegra comitiva di tre satiri, tre avventurieri, due civili, un mulo e un carretto con ronzino si dirige dunque verso la collina dove vive Fiordiquercia. I nostri, separandosi dal resto della compagnia per andare incontro alla creatura fatata, fanno presente ai satiri che non sono sicuri di poter salvare la loro amica, e che probabilmente saranno costretti a porre termine alla sua vita per evitare che faccia altro male. Con questo peso (non loro) nel cuore (altrui) i (dubbi) eroi salgono sul modesto rilievo, florido di una vegetazione lussureggiante ma indubbiamente sinistra, piena di roveti e inquietanti cespugli spinosi.
Proprio due di questi, al sopraggiungere degli avventurieri, paiono animarsi di vita propria: complice la scarsa furtività del gruppo, qualsiasi effetto sorpresa è andato al diavolo.
Al centro della radura si staglia una grande quercia secolare, il tronco solcato dal tempo e quasi macchiato di rosso a partire da una fenditura nella corteccia; di fianco alla pianta sta lei, la driade, leggiadra e affascinante eppure dagli occhi colmi di una malizia e perfidia folle e assetata di sangue. Due orsi le stanno vicino e ringhiano minacciosi al sopraggiungere del trio, mentre le piante animate tagliano ogni possibile via di fuga.
Quarion, coi suoi incantesimi a base di fuoco (3), si occupa dei roveti animati mentre Nete e Shamash impegnano battaglia contro gli orsi e Fiordiquercia.
Le cose però non vanno affatto bene per gli avventurieri: con un occhio solo, infatti, lo stregone ha notevoli difficoltà a prendere la mira con i propri incantesimi, mentre i nemici riescono a colpire rapidamente sia lui che il resto del gruppo. Con il proprio fascino ammaliatore, poi, la driade piega a sé la volontà del guerriero. Sola e circondata dagli orsi, la barda scatena un potente acuto che sprigiona un'onda di tuono, colpendo sia gli orsi che il dragonide... dragonide la cui vendicativa spada prende il controllo, spingendolo ad attaccare la sua stessa compagna d'avventura rea di avergli fatto sanguinare i timpani.
La situazione si è fatta critica per Nete, prossima a subire il per niente piacevole attacco congiunto di un dragonide e due plantigradi. Un sonno magico potrebbe salvarla, ma Quarion non è più in grado di usare quella magia. Tentando il tutto per tutto, ricorre a un incantesimo di suggestione per convincere Fiordiquercia a interrompere lo scontro... e, certo confusa dalla follia che ne ha infettato la mente, la driade cede alla magia delle sue parole. Su suo ordine, Shamash interrompe l'attacco e inizia a contorcersi mentre le due volontà contrapposte di spada e fata si contendono il controllo sulla sua mente; le piante però continuano a impegnare il mezzelfo, e la situazione potrebbe degenerare da un momento all'altro.
Per guadagnare tempo la barda convince Fiordiquercia a spiegarle che cosa le è successo, perché d'improvviso ha attaccato i suoi amati satiri. E lei rivela, due notti fa, di aver ricevuto la visita di una affascinante donna alata dai capelli rossi e dai baci focosi, le labbra rosse come il sangue, sangue che è entrato in lei e nel suo cuore e le ha aperto gli occhi e liberato la mente. (4)
Frattanto Quarion riesce ad aver ragione delle piante animate, ma subito gli orsi sono su di lui (reo di aver danneggiato i vegetali) e lo riducono quasi in fin di vita. Incredibilmente, riesce ad alzarsi e a sgusciare fra le zampe dei predatori, avvicinandosi con uno scatto alla quercia a cui è chiaro che la driade è legata misticamente. Il dragonide e gli orsi sono su di lui, ha tempo per una sola azione che dovrà essere quella risolutiva, che cosa farà? (5)
Lo stregone ficca una mano dentro la spaccatura del tronco dalla quale sembra irradiarsi l'alone di sangue, e all'ultimo istante decide di non lanciare un raggio rovente all'interno dell'albero, ma di togliere da esso la fiala che ha scoperto trovarsi nella fenditura.
Istantaneamente, non appena la fiala lascia l'albero, Fiordiquercia si getta a terra e porta le mani alla testa, mentre il dragonide e i due orsi restano fermi, incerti sul da farsi. Si assiste a una strana trasformazione, mentre ogni tinta rossastra scompare dalla pianta come dalla pelle della driade, i cui occhi perdono infine quell'aria di invasata follia che prima li caratterizzava.
La fialetta, buttata a terra, si rompe in mille pezzi rivelando un liquido rosso scuro che subito sembra evaporare e disperdersi nell'aria.
Sembrava impossibile, ma all'ultimo minuto gli avventurieri ce l'hanno fatta.
Sia Fiordiquercia che i satiri si dimostrano molto riconoscenti nei confronti del gruppo, e la giornata finisce in baldoria accompagnata dalla musica di barda e satiri, annaffiando i festeggiamenti col buon vino liquoroso prodotto dai suddetti satiri. Ma fra i festeggiamenti c'è spazio pure per i dubbi e le riflessioni sul futuro: chi era la figura alata che ha corrotto la driade? Nete inizia a pensare che si trattasse di Marisa Fogliarossa, la figlia scomparsa del locandiere di Ponte Nuovo. E c'è spazio anche per la burla, dacché la mattina dopo i nostri decidono di far credere a Caterina, che proprio come loro ha alzato un po' troppo il gomito, di aver trascorso la notte coi tre satiri...
Ma ormai è ora di andare, mancano ancora due giorni di cammino prima di raggiungere Lusna. Nel corso dei loro viaggi, inoltre, gli avventurieri potranno contare su una benedizione lanciata loro da Fiordiquercia, che consentirà di evocare in proprio soccorso le bestie della foresta qualora si trovassero in pericolo.
La zona in cui la piccola comitiva si trova ora a dover passare è molto diversa dalla precedente: i boschi sono stati abbattuti, le terre coltivate e tutto attorno alla strada ducale si trovano piccoli insediamenti di contadini. Sul far della sera il gruppo giunge alfine a Ripasepolcro, un piccolo villaggio che sorge su un affluente del Lago Di Lusna e che deve il suo nome alla tomba di un grande eroe, meta di pellegrinaggio per i fedeli.
Ma, prima ancora di entrare nella locanda del paesello, il gruppo sente le grida disperate provenire dall'interno: dei non morti sono penetrati dentro la tomba dell'eroe!
(ma questa, miei lettori, è un'altra storia...)
(1) dal gruppo si leva un'invocazione al master: "Basta lupi!"
(2) rappresentata dal latino. Fu la lingua ufficiale dell'Impero Di Ignis Niger, l'antico stato governato dagli infernali che, sotto l'egida di Asmodeus e con l'aiuto delle sue schiere infernali, tentarono invano di opporsi alle orde demoniache durante l'Era Del Caos Inarrestabile.
(3) salendo di livello, il giocatore ha rinunciato a sonno a favore di mani brucianti; una scelta poco oculata secondo tutto il gruppo vista l'utilità estrema del sonno magico.
(4) in realtà mi sono tenuto molto sul vago in questo caso, ma la malizia è negli occhi di chi legge e dei giocatori.
(5) e qui c'è stata una brutta giocata, brutta perché l'abbiamo risolta in metagame con consigli esterni ma brutta particolarmente perché il giocatore vedeva solo la possibile soluzione di dar fuoco all'albero, partendo dal presupposto che ogni ostacolo debba essere un nemico da uccidere e che il "buono" nell'allineamento ci stia così, tanto per fare. Sì, a volte anche i master piangono.
Purtroppo non c'è più niente da fare per l'occhio sinistro del mezzelfo, ma nondimeno gli Eroi Di Pontenuovo ne sono usciti vincitori e hanno ottenuto un bottino di tutto rispetto: oltre alla spada del combattente avversario, infatti, i nostri mettono le mani su una strana corda intessuta in tela di ragno e su una pergamena nella quale pare essere descritto, in elfico, il processo per creare delle pozioni curative.
Dopo un rapido riposo i nostri finiscono di esplorare la caverna, trovandola molto piccola e priva di cose interessanti - fatto salvo un precipizio del quale non si scorge il fondo, un passaggio per il Sottomondo dal quale probabilmente sono passati i trogloditi. Nel frattempo il guerriero ha deciso di fare sua la strana spada, o meglio di farsi suo; nel corso del riposo stabilisce un vincolo con la prodigiosa arma, un vincolo che non sarà scevro di ripercussioni...
Uscendo dalla grotta, gli avventurieri si mettono a seguire a ritroso le proprie tracce; fino a che non prende a sollevarsi una fitta nebbia, una nebbia così fitta che ben presto hanno difficoltà a vedere a un palmo dal proprio naso. Si accorgono ben presto che, assieme alla nebbia, sono giunte delle nuvole cariche di neve, molto cariche di neve dato che in breve tempo tutto il suolo è ricoperto da un candido e soffice manto.
Poi, quando finalmente la nebbia si abbassa, i nostri si trovano in una foresta molto diversa da quella in cui stavano camminando in precedenza: pini e abeti hanno preso il posto dei larici e delle querce, e la neve copre letteralmente ogni cosa.
Grande è lo smarrimento degli avventurieri, e la contessina Nete si lascia prendere dal panico: è chiaro che il gruppo non è più nel Bosco Selce, ma dove sono finiti?
Dopo essersi mossi a lungo senza uno scopo apparente, i nostri decidono di arrampicarsi su un albero per controllare la situazione dall'alto. E così scoprono di essere letteralmente circondati da conifere innevate, persi in una valle delimitata da alti picchi e da un ampio fiume sorgivo che parte da essi; nebbie circondano tutta la zona, mascherando i dettagli, e il fiume sembra perdersi in esse.
Mappa alla mano, gli avventurieri capiscono di non riuscire a capire dove accidenti sono finiti. Pensano di essere oltre le Montagne Del Tramonto (che a occidente vengono chiamate Monti Dell'Alba), l'ampia catena montuosa al di là della quale sorge il bosco abitato dagli elfi. Ma è un'ipotesi senza troppi dati certi, dato che la posizione del sole non coincide affatto con quella che sarebbe plausibile. Alla fine il gruppo si decide a raggiungere il fiume e a seguirne il corso, intabarrato nelle coperte e nei mantelli per patire meno i morsi del gelo.
Per ore il gruppo non sembra imbattersi in nessuna creatura vivente. Risuona ogni tanto qualche ululato lontano, ma il problema maggiore sembra essere il fischiare del vento.
Vento che si fa sempre più forte, fino a che non appare chiaro che si sta avvicinando una tormenta di neve! Il dragonide prende in mano la situazione e, forte delle sue esperienze precedenti, riesce a costruire un riparo di fortuna sotto il quale i nostri si nascondono fino a che non passa la tormenta.
Ma, subito dopo, i nostri devono vedersela con una nuova minaccia; perché i tre non fanno in tempo a uscire dal riparo di fortuna che subito sentono ululati minacciosi provenire da ogni lato.
I lupi che si avvicinano sembrano più ferali persino di quelli incontrati due settimane prima a Ponte Nuovo: non sembrano temere niente e nessuno, e attaccano in branco con ferocia. I nostri ne hanno ragione, ma non senza subire qualche ferita che li obbliga a un ulteriore riposo forzato. (1)
Particolarmente inquietante è il fatto che la nuova arma di Shamash sembri essere dotata di una volontà propria, una volontà sanguinaria e vendicativa che, durante lo scontro, sembra quasi imporgli di attaccare l'avversario che di volta in volta l'ha colpito più di recente.
Intanto però gli avventurieri sono giunti in una zona dove gli alberi sono diradati, e iniziano ad avvicinarsi al corso del fiume. Superati i monti, il corso d'acqua si fa relativamente placido, ma i vapori che emergono da una certa zona rendono difficile determinarne il tragitto oltre quel punto; forse in esso affluisce una sorgente termale, una sorgente d'acqua calda nella quale trovare ristoro dal gelo invernale decisamente fuori luogo in quello che dovrebbe essere un autunno neanche troppo inoltrato.
Usciti dal fitto del bosco i nostri si imbattono però in un secondo gruppo, ugualmente diretto verso il fiume. Trattasi di una banda di umani nei quali tutto, dalle rozze pellicce indossate fino al puzzo emanato, dai denti marci alle barbe incolte, sembra urlare "selvaggi". I nuovi arrivati puntano le loro lance in ossidiana contro gli avventurieri, intimando loro la resa; sembrano particolarmente sospettosi nei confronti di Quarion, ma la cosa veramente strana è che parlano una variante arcaica e rozza, ma pur sempre riconoscibile, della lingua infernale! (2)
Nete, diplomatica e carismatica, riesce a calmare gli animi dei nuovi arrivati e a carpire diverse informazioni. Salta fuori che si tratta di un gruppo di cacciatori, provenienti dal villaggio su palafitte costruito là dove le acque del fiume si riscaldano; sul villaggio comanda il Figlio Di Padre Lupo, ed è Padre Lupo il signore di queste terre. Egli comanda appunto su tutti i lupi, ed è solo grazie ai ciuffi della sua pelliccia che portano al collo che i cacciatori non vengono attaccati dai canidi. Nondimeno, Padre Lupo non è un sovrano benevolo e anzi la sua furia selvaggia si abbatte su tutti gli abitanti della valle, umani ed elfi in pari misura; elfi, sì, perché nel bosco abita una tribù di elfi selvaggi da sempre in guerra con gli umani delle palafitte.
Questo è il motivo per il quale i selvaggi ce l'hanno con Quarion, ma non è che l'infernale e il dragonide siano loro molto graditi; pensano anzi che sia il caso di condurli al villaggio, dove il Figlio Di Padre Lupo deciderà che fare di loro. Molto probabilmente verranno costretti a battersi con lui nell'arena, e se sopravviveranno avranno salva la vita.
Inutile dire che il guerriero dà di matto davanti a questa prospettiva: gli animi si erano calmati, ma subito Shamash dà inizio a uno scontro e i suoi compagni sono lesti a venirgli dietro, uccidendo subito e molto silenziosamente i nemici prima di giungere in vista del villaggio. Dai loro corpi sudici vengono raccolte solo le collane col pelo di Padre Lupo, che potrebbero rivelarsi utili in futuro.
Ma si è fatta sera, e i nostri sono stanchi, infreddoliti e feriti. Raccolta un po' di legna da terra, viene acceso un falò con la magia e, dopo un rapido pasto, i nostri stabiliscono i turni di guardia e si mettono a dormire. I feticci dei selvaggi sembrano funzionare, in quanto durante la notte alcuni lupi si avvicinano per poi allontanarsi non appena il dragonide mostra loro il ciuffo di peli.
Tuttavia durante l'ultimo turno di guardia, quando manca ormai poco all'alba, la nebbia si alza nuovamente...
... e quando il sole del mattino disperde le ultime nebbie i nostri si trovano nuovamente là dove erano partiti, a Bosco Selce. Grande è l'incertezza, grande lo sgomento, grande la paura che sia accaduto chissà cosa.
Tornati in fretta nel luogo in cui avevano lasciato Gimble e Caterina, poi, gli avventurieri sono alquanto scioccati nello scoprire che sono trascorse solo un paio d'ore da che si sono allontanati: l'intera giornata precedente, stando ai loro compagni di viaggio, non si è mai verificata.
I tre tengono per sé il segreto di quanto è accaduto, cercando di confinare quella strana esperienza in un angolo della propria mente. Dopotutto mancano ancora pochi giorni per giungere a Lusna, e già alla mattina successiva i nostri arrivano in vista del fiume che stabilisce i confini settentrionali di Bosco Selce.
Il sentiero procede su un ponte, ma tale ponte è bloccato da tre figure, tre umanoidi con le corna e con zampe di capro in luogo delle gambe. Trattasi di tre satiri, di cui uno porta un braccio fasciato e un altro ha in mano un flauto a siringa. Guardinghi, i nostri si avvicinano mentre gli esseri fatati fanno commenti per niente ambigui ma anzi molto espliciti sulle grazie di Nete e Caterina.
In breve, i tre richiedono un pur modesto pedaggio per l'attraversamento del ponte, pedaggio che naturalmente gli avventurieri non sono disposti a pagare. La situazione si fa tesa quando Shamash propone di ricorrere alle armi, supportato da Quarion, e il disprezzo con cui Nete sta per liquidare la rustica musica dei satiri scompare quando le melodie della loro siringa la affascinano fin nel profondo.
Sembra quasi che si stia per arrivare allo scontro, ma per fortuna la buona musica è un terreno comune in cui tutti i bipedi in questione riescono a ritrovarsi, e così calmati gli animi i satiri spiegano il perché del loro comportamento: hanno bisogno di mettere da parte una buona cifra di denaro per pagare un corista di Lusna che venga a curare Fiordiquercia, la driade del boschetto vicino, che misteriosamente è impazzita. D'improvviso, la mattina prima, è impazzita ha diretto le piante del bosco contro i suoi amici satiri (da qui il braccio rotto di uno di essi). Ricorrere alla magia degli dei sembrava ai tre il miglior piano d'azione, ma sfortunatamente non sono ancora riusciti a mettere da parte neppure una moneta d'oro per pagare le cure della loro bella.
Con un lampo di genio, propongono agli avventurieri una lauta ricompensa se riusciranno a far ritornare in sé la bella signora del bosco. E il gruppo, per quanto il dragonide sia dubbioso, accetta.
L'allegra comitiva di tre satiri, tre avventurieri, due civili, un mulo e un carretto con ronzino si dirige dunque verso la collina dove vive Fiordiquercia. I nostri, separandosi dal resto della compagnia per andare incontro alla creatura fatata, fanno presente ai satiri che non sono sicuri di poter salvare la loro amica, e che probabilmente saranno costretti a porre termine alla sua vita per evitare che faccia altro male. Con questo peso (non loro) nel cuore (altrui) i (dubbi) eroi salgono sul modesto rilievo, florido di una vegetazione lussureggiante ma indubbiamente sinistra, piena di roveti e inquietanti cespugli spinosi.
Proprio due di questi, al sopraggiungere degli avventurieri, paiono animarsi di vita propria: complice la scarsa furtività del gruppo, qualsiasi effetto sorpresa è andato al diavolo.
Al centro della radura si staglia una grande quercia secolare, il tronco solcato dal tempo e quasi macchiato di rosso a partire da una fenditura nella corteccia; di fianco alla pianta sta lei, la driade, leggiadra e affascinante eppure dagli occhi colmi di una malizia e perfidia folle e assetata di sangue. Due orsi le stanno vicino e ringhiano minacciosi al sopraggiungere del trio, mentre le piante animate tagliano ogni possibile via di fuga.
Quarion, coi suoi incantesimi a base di fuoco (3), si occupa dei roveti animati mentre Nete e Shamash impegnano battaglia contro gli orsi e Fiordiquercia.
Le cose però non vanno affatto bene per gli avventurieri: con un occhio solo, infatti, lo stregone ha notevoli difficoltà a prendere la mira con i propri incantesimi, mentre i nemici riescono a colpire rapidamente sia lui che il resto del gruppo. Con il proprio fascino ammaliatore, poi, la driade piega a sé la volontà del guerriero. Sola e circondata dagli orsi, la barda scatena un potente acuto che sprigiona un'onda di tuono, colpendo sia gli orsi che il dragonide... dragonide la cui vendicativa spada prende il controllo, spingendolo ad attaccare la sua stessa compagna d'avventura rea di avergli fatto sanguinare i timpani.
La situazione si è fatta critica per Nete, prossima a subire il per niente piacevole attacco congiunto di un dragonide e due plantigradi. Un sonno magico potrebbe salvarla, ma Quarion non è più in grado di usare quella magia. Tentando il tutto per tutto, ricorre a un incantesimo di suggestione per convincere Fiordiquercia a interrompere lo scontro... e, certo confusa dalla follia che ne ha infettato la mente, la driade cede alla magia delle sue parole. Su suo ordine, Shamash interrompe l'attacco e inizia a contorcersi mentre le due volontà contrapposte di spada e fata si contendono il controllo sulla sua mente; le piante però continuano a impegnare il mezzelfo, e la situazione potrebbe degenerare da un momento all'altro.
Per guadagnare tempo la barda convince Fiordiquercia a spiegarle che cosa le è successo, perché d'improvviso ha attaccato i suoi amati satiri. E lei rivela, due notti fa, di aver ricevuto la visita di una affascinante donna alata dai capelli rossi e dai baci focosi, le labbra rosse come il sangue, sangue che è entrato in lei e nel suo cuore e le ha aperto gli occhi e liberato la mente. (4)
Frattanto Quarion riesce ad aver ragione delle piante animate, ma subito gli orsi sono su di lui (reo di aver danneggiato i vegetali) e lo riducono quasi in fin di vita. Incredibilmente, riesce ad alzarsi e a sgusciare fra le zampe dei predatori, avvicinandosi con uno scatto alla quercia a cui è chiaro che la driade è legata misticamente. Il dragonide e gli orsi sono su di lui, ha tempo per una sola azione che dovrà essere quella risolutiva, che cosa farà? (5)
Lo stregone ficca una mano dentro la spaccatura del tronco dalla quale sembra irradiarsi l'alone di sangue, e all'ultimo istante decide di non lanciare un raggio rovente all'interno dell'albero, ma di togliere da esso la fiala che ha scoperto trovarsi nella fenditura.
Istantaneamente, non appena la fiala lascia l'albero, Fiordiquercia si getta a terra e porta le mani alla testa, mentre il dragonide e i due orsi restano fermi, incerti sul da farsi. Si assiste a una strana trasformazione, mentre ogni tinta rossastra scompare dalla pianta come dalla pelle della driade, i cui occhi perdono infine quell'aria di invasata follia che prima li caratterizzava.
La fialetta, buttata a terra, si rompe in mille pezzi rivelando un liquido rosso scuro che subito sembra evaporare e disperdersi nell'aria.
Sembrava impossibile, ma all'ultimo minuto gli avventurieri ce l'hanno fatta.
Sia Fiordiquercia che i satiri si dimostrano molto riconoscenti nei confronti del gruppo, e la giornata finisce in baldoria accompagnata dalla musica di barda e satiri, annaffiando i festeggiamenti col buon vino liquoroso prodotto dai suddetti satiri. Ma fra i festeggiamenti c'è spazio pure per i dubbi e le riflessioni sul futuro: chi era la figura alata che ha corrotto la driade? Nete inizia a pensare che si trattasse di Marisa Fogliarossa, la figlia scomparsa del locandiere di Ponte Nuovo. E c'è spazio anche per la burla, dacché la mattina dopo i nostri decidono di far credere a Caterina, che proprio come loro ha alzato un po' troppo il gomito, di aver trascorso la notte coi tre satiri...
Ma ormai è ora di andare, mancano ancora due giorni di cammino prima di raggiungere Lusna. Nel corso dei loro viaggi, inoltre, gli avventurieri potranno contare su una benedizione lanciata loro da Fiordiquercia, che consentirà di evocare in proprio soccorso le bestie della foresta qualora si trovassero in pericolo.
La zona in cui la piccola comitiva si trova ora a dover passare è molto diversa dalla precedente: i boschi sono stati abbattuti, le terre coltivate e tutto attorno alla strada ducale si trovano piccoli insediamenti di contadini. Sul far della sera il gruppo giunge alfine a Ripasepolcro, un piccolo villaggio che sorge su un affluente del Lago Di Lusna e che deve il suo nome alla tomba di un grande eroe, meta di pellegrinaggio per i fedeli.
Ma, prima ancora di entrare nella locanda del paesello, il gruppo sente le grida disperate provenire dall'interno: dei non morti sono penetrati dentro la tomba dell'eroe!
(ma questa, miei lettori, è un'altra storia...)
(1) dal gruppo si leva un'invocazione al master: "Basta lupi!"
(2) rappresentata dal latino. Fu la lingua ufficiale dell'Impero Di Ignis Niger, l'antico stato governato dagli infernali che, sotto l'egida di Asmodeus e con l'aiuto delle sue schiere infernali, tentarono invano di opporsi alle orde demoniache durante l'Era Del Caos Inarrestabile.
(3) salendo di livello, il giocatore ha rinunciato a sonno a favore di mani brucianti; una scelta poco oculata secondo tutto il gruppo vista l'utilità estrema del sonno magico.
(4) in realtà mi sono tenuto molto sul vago in questo caso, ma la malizia è negli occhi di chi legge e dei giocatori.
(5) e qui c'è stata una brutta giocata, brutta perché l'abbiamo risolta in metagame con consigli esterni ma brutta particolarmente perché il giocatore vedeva solo la possibile soluzione di dar fuoco all'albero, partendo dal presupposto che ogni ostacolo debba essere un nemico da uccidere e che il "buono" nell'allineamento ci stia così, tanto per fare. Sì, a volte anche i master piangono.
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