Questa poesia è il seguito ideale di quella che ho condiviso la settimana scorsa. Rappresenta in un certo senso un'evoluzione del punto di vista lì espresso, anche se come evoluzione resta per ora abbastanza sterile.
Solo allorquando, esaurite le forze, il
Respiro consunto,
Giaccio sfinito coi muscoli in fiamme,
A tratti incapace
Quasi d'alzarmi da dove m'accascio,
La rabbia si placa.
Porto nell'animo un'ira inumana,
Un odio mortale
Contro la stirpe degli uomini tutti
Che vivono lieti in
Questa sciarada di vita laddove
M'aggiro con tetri,
Vani pensieri, ricordi confusi
Che sfumano in sogni, i
Sogni plasmati in ricordi irreali.
Perché sono nato,
Prole inconsueta del mondo, provando
Nell'animo, in cuore,
Brame, emozioni e speranze alle quali
Il fatuo destino
Nega ogni istante di farsi reali?
Perché questa vita?
Meglio sarebbe, nel nascere al mondo,
Avere una mente
Semplice, ottusa, incapace a provare il
Sentire di sogno
Quale lo sento nel cuore. Difatti
Potresti accettare,
Sordo l'orecchio alle brezze degli astri,
Il vivere grigio,
Tetro e meschino, sofferto, nel quale
Trascorrono i giorni
Dati agli umani da qualche bizzarro
Volere crudele.
Questo sarebbe possibile a me, se
Non fossi proteso
Sempre al riflettere, al trarre dei versi
Dal niente in cui vivo,
Sempre tingendone i giorni di luce
Sognata, la quale
Tutto svilisce, ingrigito, al confronto.
Per questo, incapace a
Cogliere lieto le semplici gioie
Del vivere nostro,
Tese le mani alle stelle, lontane
Dai frutti del mondo,
Giungo alla fine ad odiare d'invidia
La gente comune,
Forse lontana dai venti sottili
Dell'arte, ma pure
Lieta, capace di trarre le gioie
Concesse ad ognuno
Dentro a quest'urna di cenere e morte
Chiamata pianeta.
Forse, potessi scordare i pensieri
Sofferti, vivrei di
Vita piacevole e calma, allietata
Da luci più tenui,
Forse, ma vive, reali, splendenti
Di pace e letizia.
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