Tempi di impegni quelli attuali: resta ancora un esame da mettere in saccoccia e poi anche la magistrale sarà conclusa, ma tutto procede bene. Certo, lo studio mi ha impedito di dedicarmi alle attività creative da cui dipende il blog, e ho anche preferito affrontare hobby più rilassanti e meno impegnativi dal punto di vista della concentrazione.
Le partite di D&D non procedono, e dunque le cronache delle partite stesse ristagnano (anche per un parziale mio rompermi le scatole, va detto).
Ma, nonostante tutto, salta fuori almeno una poesiola.
Settantadue sillabe, sei dodecasillabi, il più che sia riuscito a mettere su carta e a reputare "degno di" di questi tempi.
Non che non mi siano venute in mente altre rime, altri giochi di parole, altri versi intrecciati con sentimenti e idee più o meno bislacche; ma, volle la sfortuna, quasi sempre mi sono venuti in mente quando non c'era carta a portata di mano. Magari guidavo, e decisamente non era il caso di inchiodare per fissare su carta i versi e sull'asfalto il sottoscritto; oppure ero a letto e pensavo, povero illuso, che al mattino la poesia che avevo sulle labbra mi sarebbe quantomeno rimasta in mente.
Talvolta ho perfino fissato su carta quel che avevo composto, e quando poi mi sono messo a rileggerlo mi sono sentito come una madre troppo obiettiva per essere fiera del suo lurido scarafaggio berciante.
Intendiamoci: magari neppure questa poesia è chissà che, ma ho l'ardire di pensare che sia migliore di alcuni agglomerati di versi che ho tirato fuori di questi tempi.
E non può che saltarne fuori una riflessione più generale sul mio poetare.
In principio mettevo su carta ogni cosa, e solo perché l'avevo scritta io buttando giù versi su versi mi sembrava di aver creato chissà quale poesia inimitabile. Poi mi sono perso in una cura formale che col tempo ha finito per strozzare la mia stessa vena poetica; e quella vena poetica, che si alimentava di tristezza, pessimismo, depressioni, delusioni, fallimenti e qualche gioia isterica si è poi esaurita proprio quando stavo cercando di superare il limite che mi ero imposto, forse arrivando ancora una volta a essere schiavo della cura formale del non avere una forma da curare.
E ora rieccomi qua, con una poesia tutto sommato diversa da altre.
Autobiografica, pura poesia d'occasione? Questo, se permettete, lo tengo per me. In ogni caso non prendete sempre per oro colato quello che un autore dice di se stesso, l'io poetico non è l'io reale. Voglio dire, io mica mi sveglio all'alba ogni mattina. ^^
Che cosa, cuore mio, potrei cantare
Se non quel sogno ricorrente, quel nome
Che ogni notte mi si insinua nei pensieri
E quel volto, che ricerco in ogni viso?
All'alba, al mio risveglio, assieme al sole
Il nome tuo riscalda i miei ricordi.
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