Le
nostre vite sono come gli intrecci delle foglie che danzano nel
vento.
Proprio come le foglie, le vite si sfiorano e si uniscono e si congiungono e si allontanano
senza sosta, talvolta seguitando con apprensione la fuga d'altri,
talaltra accettando lo scorrere e l'inesorabile crescita d'una
distanza un tempo colmabile dallo sfiorarsi delle dita, lo
spalancarsi d'un abisso un tempo imponderabile.
Persone
che sono state parte integrante della nostra vita se ne allontanano
come le più remote delle comparse. A volte si allontanano, a volte
ci allontanano, e altre volte ancora siamo noi che le allontaniamo.
Perché anche noi, nella vita degli altri, siamo comprimari che
possono diventare comparse, esili foglie che aspirano all'essere
coprotagonisti in un copione mutevole e impietoso.
Il
vento e la vita ci trascinano, ci avvicinano, ci fanno sfiorare e poi
ci spingono lontano, in un arazzo etereo e mutevole che nessun
ritrattista potrebbe mai fissare su tela, poiché è nel divenire
mutevole e incostante che si trova la sua più intima essenza.
E
quando il soffio ci ha spinto lontano dalle foglie con cui
condividevamo la danza, quando altre ne abbiamo allontanato noi
stessi, inconsapevoli o per disegno cosciente, quando ancora siamo
lontani da quelle che diverranno le nostre compagne di volo e ci
troviamo, soli, nell'occhio del vento, viene da chiedersi se
quell'ululato sofferto provenga dallo stesso vortice che ci trascina o
non risalga piuttosto dalle nostre gole di animali feriti.
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