martedì 16 luglio 2013

Le salse lacrime del tempo che scorre

Due settimane senza un aggiornamento.
E' tanto, lo so, ma mai quanto è stato in passato. Ed è estate, il che vuol dire che come studente universitario ho tanto da fare e tanta poca voglia per farlo (perché no, non aver ancora visto la spiaggia a metà luglio è deprimente alla fin fine: non mi piace andare al mare, ma non per questo gradisco l'essere impossibilitato ad andarci, eccheddiavolo... devo essere *io* a decidere di fare lo snob, non gli impegni a costringermi alla reclusione domestica).
Poca la voglia, molti gli impegni.

Ma, nonostante tutto, è comunque nato qualcosina. Dico "qualcosina" perché, dati i loro tempi di gestazione, questi versi sono dannatamente pochi: li ho rimuginati, scritti e riscritti per diverso tempo, e temo si veda che la conclusione della poesia è stata scritta in un secondo tempo.



Sento le gocce del tempo, un sudore
Ghiacciato che scorre
Lungo la schiena, e si porta lontano i
Ricordi ed i sogni,
Scioglie ambizioni e speranze, disperde il
Ritratto di me che un
Tempo facevo, e mi plasma di nuovo
In forme più dure e,
Forse, mature. Ho provato ad oppormi,
Talvolta, al mutare
Dentro di me, ma non posso fermare
La danza dei mesi, i
Giorni perduti a studiarmi, annoiato
Da quello che prima, un
Tempo, poteva donarmi piacere.
Gli amici, i compagni e
Complici in mille avventure di sogno,
Non sembrano quasi
Esser scalfiti dal tempo: le stesse
Bravate, gli stessi
Scherzi, le stesse illusioni, lo stesso
Sorriso sul volto, il
Volto che ancora distoglie lo sguardo
Dal proprio orizzonte.
Sono cambiato, non posso cantare
Le vostre canzoni, il
Vento mi soffia lontano dal porto,
Da quelle taverne e
Bettole dove andavamo a parlare
Di niente, ubriachi
Senza che il calice fosse levato.
Addio, fratelli: il
Vento m'ha preso e mi porta lontano
Sul mare del tempo,
Oltre le vecchie ambizioni, lontano
Dai sogni passati, il
Vento che soffia, impietoso e crudele,
Da dentro di me.


Si tratta di una poesia triste, quasi amara, come sono amare le riflessioni che nascono quando ormai non ci si "trova" più con gli amici; non parlo di "trovarsi bene" anziché "trovarsi male", ma proprio di "trovarsi", "ritrovarsi", poter scorgere in loro qualcosa del nostro essere che possa mantenere saldo il legame. Viene il tempo in cui la crescita diventa maturazione, e certi abiti vanno dimessi; non certe abitudini, ché il giorno in cui smetterò di giocare sarà il giorno in cui i miei futuri eredi diventeranno tali, ma certi abiti, certi modi di fare spensierati, certi modi di divertirsi.
E allora si deve abbandonare il porto, ovvero quel luogo in cui ci si può illudere di esser naviganti stando ancora sulla terraferma, e darsi al mare. Eventualmente, con rammarico, dovendosi distaccare dagli amici che preferiscono restare a far baldoria, o che devono seguire una rotta diversa e con i quali ci si poteva incontrare solo nel porto.
La conclusione a cui si arriva, in buona è sostanza, è dura e secca come il verso tronco con monosillabo finale con cui ho concluso la poesia: ti aspetteresti altro, ma non ci può essere altro. Il cambiamento è avvenuto.

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