Chi, per Carnevale, non si è travestito da pirata almeno una volta?
Non di certo io, qui ritratto nei panni di Friedrich Bruhnsson, pirata delle Indie orientali.
L'idea del pirata ispira sempre una sorta di spavalderia, di noncuranza dell'autorità, di libertà estrema dai vincoli sociali e culturali. Una libertà che può essere, e spesso è, criminale, ma una libertà che spesso è positiva poiché contrapposta a una autorità assoluta e oppressiva: quelli che ammazzano sono i pirati cattivi, ma esistono anche i pirati buoni che combattono l'autorità e gli stessi pirati malvagi.
Perché il pirata, anche quando ti cattura e ti tiene prigioniero, è una simpatica canaglia con cui scherzare.
Perché il pirata, anche quando ti cattura e ti tiene prigioniero, è una simpatica canaglia con cui scherzare.
Celebre l'episodio di Giulio Cesare, reduce dalle sue avventure omoerotiche con Mitridate, che viene catturato dai pirati.
"Non passò però molto tempo che [Cesare] s’imbarcò di nuovo, ma giunto al largo dell’isola di Farmacusa fu catturato dai pirati, che già allora dominavano il mare con vaste scorrerie e un numero sterminato di imbarcazioni. I pirati chiesero venti talenti per il riscatto e lui, ridendo, esclamò: «Voi non sapete chi avete catturato! Ve ne darò cinquanta». Dopodiché spedì alcuni del suo seguito in varie città a procurarsi il denaro e rimasto lì con un amico e due servi in mezzo a quei Cilici, ch’erano gli uomini più sanguinari del mondo, li trattò con tale disprezzo che quando voleva riposare gli ordinava di fare silenzio. Passò così trentotto giorni come se fosse circondato non da carcerieri ma da guardie del corpo, giocando e facendo ginnastica insieme con loro, scrivendo versi e discorsi che poi gli faceva ascoltare, e se non lo applaudivano li redarguiva aspramente, chiamandoli barbari e ignoranti. Spesso, scherzando e ridendo, minacciava d’impiccarli, e quelli, attribuendo la sua sfrontatezza all’incoscienza tipica dell’età giovanile, a loro volta gli ridevano dietro. Ma appena giunse da Mileto il denaro del riscatto e pagata la somma fu rilasciato, allestì subito delle navi e dal porto di quella stessa città salpò alla caccia dei pirati. Li sorprese che stavano alla fonda nelle vicinanze dell’isola, li catturò quasi tutti, saccheggiò i frutti delle loro razzie, fece rinchiudere gli uomini nella prigione di Pergamo e si recò difilato dal governatore d’Asia, I’unico, che in qualità di pretore aveva il compito di punire i prigionieri. Ma quello, messi gli occhi sul bottino (piuttosto cospicuo, in verità), disse che si sarebbe occupato a suo tempo dei prigionieri. Allora Cesare, mandatolo alla malora, tornò di corsa a Pergamo e tratti fuori dal carcere i pirati li impalò tutti quanti così come nell’isola con l’aria di scherzare, gli aveva spesso pronosticato."
(Plutarco, Vite Parallele, Newton Compton Roma 2008)
A parte presentarci un bel Gaio Giulio Cesare Tepesh l'Impalatore, che alla fine risulta essere il vero mostro sanguinario del racconto, l'aneddoto presenta gli spietati pirati come dei buoni diavoli, persone di compagnia che tutto sommato ben sopportano le minacce e gli scherzi del loro prigioniero. Gente non rispettabile ma quasi a modo, gli antesignani dei bevitori di rum col pappagallo sulla spalla.
"Non passò però molto tempo che [Cesare] s’imbarcò di nuovo, ma giunto al largo dell’isola di Farmacusa fu catturato dai pirati, che già allora dominavano il mare con vaste scorrerie e un numero sterminato di imbarcazioni. I pirati chiesero venti talenti per il riscatto e lui, ridendo, esclamò: «Voi non sapete chi avete catturato! Ve ne darò cinquanta». Dopodiché spedì alcuni del suo seguito in varie città a procurarsi il denaro e rimasto lì con un amico e due servi in mezzo a quei Cilici, ch’erano gli uomini più sanguinari del mondo, li trattò con tale disprezzo che quando voleva riposare gli ordinava di fare silenzio. Passò così trentotto giorni come se fosse circondato non da carcerieri ma da guardie del corpo, giocando e facendo ginnastica insieme con loro, scrivendo versi e discorsi che poi gli faceva ascoltare, e se non lo applaudivano li redarguiva aspramente, chiamandoli barbari e ignoranti. Spesso, scherzando e ridendo, minacciava d’impiccarli, e quelli, attribuendo la sua sfrontatezza all’incoscienza tipica dell’età giovanile, a loro volta gli ridevano dietro. Ma appena giunse da Mileto il denaro del riscatto e pagata la somma fu rilasciato, allestì subito delle navi e dal porto di quella stessa città salpò alla caccia dei pirati. Li sorprese che stavano alla fonda nelle vicinanze dell’isola, li catturò quasi tutti, saccheggiò i frutti delle loro razzie, fece rinchiudere gli uomini nella prigione di Pergamo e si recò difilato dal governatore d’Asia, I’unico, che in qualità di pretore aveva il compito di punire i prigionieri. Ma quello, messi gli occhi sul bottino (piuttosto cospicuo, in verità), disse che si sarebbe occupato a suo tempo dei prigionieri. Allora Cesare, mandatolo alla malora, tornò di corsa a Pergamo e tratti fuori dal carcere i pirati li impalò tutti quanti così come nell’isola con l’aria di scherzare, gli aveva spesso pronosticato."
(Plutarco, Vite Parallele, Newton Compton Roma 2008)
A parte presentarci un bel Gaio Giulio Cesare Tepesh l'Impalatore, che alla fine risulta essere il vero mostro sanguinario del racconto, l'aneddoto presenta gli spietati pirati come dei buoni diavoli, persone di compagnia che tutto sommato ben sopportano le minacce e gli scherzi del loro prigioniero. Gente non rispettabile ma quasi a modo, gli antesignani dei bevitori di rum col pappagallo sulla spalla.
Un'immagine molto romantica del pirata, romantica e in definitiva non proprio rispondente alla realtà.
Ci piace pensare il mondo come in bianco e nero, coi buoni e coi cattivi, un mondo in cui i nemici dei cattivi non possono che essere buoni, in fondo in fondo, ma al di là dei sogni d'infanzia dobbiamo ammettere che il mondo è anche grigio: non è forse Long John Silver una canaglia, simpatica quanto si vuole ma pur sempre una canaglia e un criminale incallito? Sandokan non fa pur sempre strage di nemici tagliando teste col suo parang? E la vendetta del Corsaro Nero contro chi ha ucciso i suoi fratelli davvero può giustificare il massacro di intere ciurme? Il pirata, per quanto possa sembrarci simpatico, per quanto possa essere più libero ed empatico di un soldato assaltatore della perfida inquisizione imperiale™, rimane pur sempre uno che si guadagna da vivere in maniera non esattamente onesta col mestiere delle armi, armi che vengono usate sia per intimidire, sia per il loro scopo originale che non è esattamente spargere amore e pace.
Eppure, fino a che non ne paghiamo in prima persona lo scotto, il pirata ci appare sempre una persona romantica e invidiabile: la "pirateria informatica" ha un che di positivo, come definizione, che il "cyberbullismo" mai avrà.
Ebbene, parrà strano ma questa idea è in qualche modo intrinseca nella parola stessa "pirata". Signori, esce il nerd giocatore di ruolo, entra il filologo scassapalle.
Eppure, fino a che non ne paghiamo in prima persona lo scotto, il pirata ci appare sempre una persona romantica e invidiabile: la "pirateria informatica" ha un che di positivo, come definizione, che il "cyberbullismo" mai avrà.
Ebbene, parrà strano ma questa idea è in qualche modo intrinseca nella parola stessa "pirata". Signori, esce il nerd giocatore di ruolo, entra il filologo scassapalle.
La parola pirata, così come il suo equivalente francese e inglese, deriva senza troppe modifiche dal latino pirata, a sua volta derivato dalla parola greca πειρατής, peiratés. Ora, per gli antichi greci in realtà il πειρατής non era automaticamente un razziatore dei mari, tanto che i dizionari riportano il significato di "brigante" prima di quello di "pirata". Ma, ovviamente, i razziatori di cultura greca con cui i Romani ebbero i contatti più traumatici furono i pirati, rapitori e rapinatori dei mari come quelli di cui Cesare si prese gioco, e così la parola passò in latino per indicare quasi esclusivamente questi ultimi.
Dietro al termine greco, possiamo individuare la parola πεῖρα, péira, "tentativo", "impresa", "attacco"; πεῖρα deriva da un protoindoeuropeo *per-ya, con la radice *per- che in italiano si è mantenuta pari pari nella preposizione... e che compare in tante parole come esperienza, esperimento. Questo *per- stava quindi a indicare l'attraversamento di qualcosa, l'andare oltre un ostacolo e quindi, quando usato con funzione verbale, il tentare, il rischiare, il mettersi in gioco anche superando una linea che non andava superata, come nel caso del πειρατής.
Il pirata quindi può essere superbo, può essere violento (tutti concetti che gli antichi greci riunivano nella parola ὕβϱις, hybris, la qualità dei criminali e la colpa degli eroi), ma è comunque una persona audace, una persona che si spinge oltre, una persona che ben si presta a diventare protagonista più o meno positivo di storie più o meno romantiche.
I pirati del mondo reale ammazzano, rubano, stuprano, e nessuno si augurerebbe mai di incontrarli per davvero. Ma, nel mondo dell'immaginazione, i pirati sono audaci e coraggiosi, amanti della libertà che mai si sognerebbero di abusare della propria per annullare quella altrui.
E allora, come recita una canzone che qualche anno fa era un vero e proprio tormentone, fa' quel che vuoi, perché un pirata è libero. Tu sei un pirata!
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