Oggi avrei dovuto pubblicare l'ultimo
aggiornamento del blog prima di partire per una bella vacanza, la mia
prima vacanza extraeuropea e transoceanica, dritto a New York
City.
Poi è capitata la giornata di ieri. Non penso di dover annunciare niente sulla strage che c'è stata.
Poi è capitata la giornata di ieri. Non penso di dover annunciare niente sulla strage che c'è stata.
Minuscola ciliegina sulla torta di
sangue, mentre portavo il cane a fare la sua passeggiata notturna ho
visto il cadavere della gatta che era di una mia zia, morta alcuni
anni fa; non più tardi di due ore prima era venuta da me, come
faceva spesso, a mangiare qualcosa e a farsi coccolare, talvolta
anche a farsi spazzolare. E, per quanto mi vergogni quasi ad
ammetterlo, la morte di una gatta mi ha colpito sul personale più di
50 esseri umani sterminati da un coglione braccio armato degli
stronzi.
Perché 50 persone sono una cifra, un
numero; anche dei volti, ma dei volti che non conosci, dei volti che
non hanno sorriso assieme a te. La morte ci colpisce più forte
quanto più ci è vicina, e per questo motivo, in epoche di animali
domestici visti come amici e non come risorse, ci indigniamo molto di
più per la morte di un gatto che non per quella di decine di
persone.
Questo a un livello emotivo. Ma, se
recuperiamo quel livello razionale che ci dovrebbe essere proprio in
quanto esseri umani, ci rendiamo conto dell'enormità di anche una
sola vita umana spezzata, e dell'incommensurabile lutto di tante vite
strappate. Sì, rispetto a tempi andati e più barbarici oggi l'uso
della violenza è, almeno in certe aree del mondo, più limitato, ma
l'abbandono della violenza, la riscoperta del nostro essere simili ai
nostri simili, l'empatia che ci lega, tutti questi dovrebbero essere
obiettivi da consolidare sempre più.
Purtroppo non è ancora così.
Il gesto di un pazzo, si dice così
talvolta; altre volte il criminale diventa subito un terrorista. La
differenza, di fatto, sta solo nell'auto-assoluzione di chi, avendo
tuonato contro il diverso in nome di una qualche accozzaglia di
leggende o raccolta di aforismi assurta a religione, sente il bisogno
di pararsi il culo quando il suo odio diventa l'ideologia dietro
l'azione di un pazzo, un pazzo la cui follia probabilmente sarebbe
esplosa comunque ma, senza avere alle spalle così tanti guru e
maestri e profeti e istigatori, di certo non sarebbe stata così
sanguinaria.
Stranamente, nei libri sacri si trovano
messaggi di fratellanza come di odio, eppure diventano capaci di
dividere molto più che di unire gli uomini.
Secoli fa, un poeta latino scrisse
così: tantum religio potuit suadere malorum, a tanti mali
poté condurre la religione.
PS: forse qualche scaltro latinista
locale, di questa dimensione “locale” dove distinguiamo nazismo e
fascismo per pararci le chiappe e la coscienza, potrebbe obiettare
che nel passo di Lucrezio “religio” è la superstizione e non la
religione. Ma, guardando il mondo reale, non vedo come si possa
onestamente sostenere che le due pratiche siano distinte fra loro.
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