Entrambe queste poesie nascono da un componimento che ho scritto un anno e mezzo fa su un vecchio quaderno, oggettivamente improponibile.
La prima è stata riscritta circa sei mesi fa, mentre la seconda l'ho finita da qualche giorno.
Personalmente, preferisco il secondo componimento: è più breve, ma fatto meglio.
Quando le tele d'infami demiurghi
Ci avvolgono come sogni oscuri
Dove corriamo esausti e disperati,
In fuga da quel che sempre cerchiamo.
Quando il ricordo si fa impalpabile
Come memoria perduta, di altri,
Dove noi non abbiamo alcun posto
E non ne avremo mai in futuro.
Quando il tempo inclemente ci incalza
Come carcere selvaggio, e duro,
Dove il tessuto del fato ci stringe
Fra le sue odiate spire letali.
Quando il mondo ci crolla sopra il capo,
Come nemico ancestrale e spietato.
Quando annaspiamo in mari crudeli,
Neri di tempesta e disperazione.
E quando il pensiero è tortura atroce,
Ferita auto inflitta da tristi eoni.
Ci opprimono le tele, alte nel cielo,
Strozzando l'urlo dell'ultimo spirito.
Infami, le hanno volute i demiurghi
Forti e nere, per meglio intrappolare
Le ali nostre, striscianti sull'asfalto
Di strade troppo strette per volare
Oltre i grattacieli, oltre le alte torri,
Oltre le gabbie di fumo striato
E oltre ogni altra loro savia menzogna.
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